LE QUOTE INTELLETTUALI

Immagine: 
Qualifiche dell'autore: 
psicanalista, cifrematico, presidente dell’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

O la borsa o la vita? La borsa, la vita. Con la borsa che non si oppone alla vita, perché non è un sacco ma figura dell’apertura, come si quotano gli umani? Con quali forze, con quali denari, con quali titoli? Come si qualificano, si valorizzano, si cifrano le cose? Prendere quota, a bassa quota, la quota parte. Con la borsa della vita importa la quotazione di ciascuno, anziché il prezzo di ogni uomo. Altrimenti la quota diventa algebrica, risulta quoziente, frutto di una divisione algebrica, di un frazionamento.

La quotazione non è spartizione, esige la divisione nella parola, il tempo come taglio nella parola. Nella parola le cose si dicono, dicendosi si fanno, e facendosi si dividono, non si unificano né si omologano. È una differenza temporale, non spaziale, non visibile, non rappresentabile. Differenza aritmetica, non algebrica o geometrica, differenza assoluta. Mentre il quoziente, come parte spettante, parte rappresentata, divide e colora le cose, gli umani, le donne, in una differenza relativa, in una piccola differenza. Così le quote diventano rosa, consentono la spartizione in uomini e donne, ben significati, in una differenza degli umani frazionaria, non sessuale, non intellettuale. 

Le donne non si quotano, ovvero non si valorizzano, con il rosa, ma con la cultura e l’arte, la formazione e il gioco, fino all’impresa. Anzi, le donne in quanto tali non esistono, ma la questione donna è la questione della differenza sessuale, base della quotazione. Importa qual è il contributo di ciascuna donna all’arte, all’invenzione, all’impresa. Solo così le donne non sono il segno del negativo che deve riscattarsi, che deve parificarsi, entrare in una quota pari, nella parità sessuale.

Puntava all’eccellenza, non alla parità, Angelica Kauffmann, la più importante pittrice di fine Settecento. La sua produzione, straordinaria per quantità e qualità, la inscrive nel novero dei più grandi maestri di tutti i tempi, oltre la categoria segregativa delle donne pittrici. Nel suo libro Angelica Kauffmann (Spirali edizioni), che ha fornito il pretesto per il dibattito pubblicato in questo numero, Giuseppe Ardolino scrive che la casa romana della pittrice era occasione d’incontro per artisti di vari paesi e che dalle sue tele furono tratte, da oltre quarantacinque artisti, migliaia d’incisioni. Queste grafiche resero il suo stile famoso nel pianeta e documentano che attorno alla sua opera si sono costituiti dispositivi imprenditoriali, un’industria di arte e invenzione, e che l’arte e l’invenzione, dunque, sono giunti all’impresa.

Ma non potremmo porre la questione donna oggi se fin dal rinascimento non si fosse precisata la questione cattolica. Cattolicesimo ovvero, anche secondo l’etimo, integrazione. E nel rinascimento si precisa l’integrazione tra cultura e industria, tra scienza e finanza, tra ricerca e impresa. Le donne irrompono nella parola dei poeti e degli scrittori, ma anche dove sembra non esserci parola, nei monasteri, dove sembra regnare il silenzio. Ma il silenzio non si oppone alla parola, è funzione vuota nella parola, tutt’altro che funzione svuotata dalla parola, ovvero mutismo o omertà. Come annotano gli interventi al convegno Oltre le mura del silenzio. Il contributo delle donne: dai monasteri alle moderne imprese internazionali, pubblicati in questo numero, quanto silenzio occorre per fare! Dissipando la parola facile o il rumore perpetuo, il silenzio è proprietà pragmatica, è proprietà del fare, come hanno indicato i monasteri e i conventi, primi modi dell’impresa che non escludeva, ma trovava protagoniste le donne. 

La questione anoressia, così frequente nei monasteri, ha dato un contributo al sorgere dell’impresa. L’anoressia di tante sante e suore era intellettuale, non mentale, testimoniava di una non accettazione del cibo, delle relazioni, delle funzioni, anche religiose, se proposte come sostanziali o mentali, ovvero conformiste, convenzionali, di comodo. Nessuna ribellione per queste donne, semmai, la non accettazione di mediazione e transazione sul godimento, sul sapere e sulla verità. Nessuna ostilità per l’uomo o per il padre, ma insofferenza per una rappresentazione domestica di Dio, per i tentativi di addomesticare l’idea dell’assoluto o sostantificare la stessa parola.

Nei monasteri anche il corpo e la carne entrano nella parola, non sono sostanziali o mentali. Questa anoressia come non accettazione intellettuale della sostanza, come virtù del principio della parola è imprescindibile per il cervello dell’impresa, perché l’impresa sia intellettuale, pragmatica e non gravida di idee e rappresentazioni sostanziali e mentali. A che varrebbe l’intervento delle donne nell’impresa se servisse a confermare la mentalità o l’ideologia della sostanza? Con l’anoressia intellettuale, introdotta “oltre le mura del silenzio”, l’impresa poggia sulla parola originaria: solo così, nell’integrazione dei vari elementi e in assenza di segregazione, può giungere alla quotazione intellettuale, fino a divenire caso di qualità.