CARLO BORROMEO E LA MODERNITÀ

Qualifiche dell'autore: 
docente di Storia della Chiesa, Università di Bologna

Per intendere la relazione tra Carlo Borromeo e la modernità, occorre partire dal Concilio di Trento – che si svolge in tre tornate, in un lungo lasso di tempo, dal 1545 al 1563 –, il cui grande momento di elaborazione, l’ultima sessione, sotto il pontificato di suo zio, Pio IV, coincise con sua la presenza a Roma. Il Concilio rispose alla necessità di creare le condizioni per la costruzione di una nuova disciplina di convivenza, che adeguasse le relazioni e i rapporti sociali alle nuove esigenze e alle nuove sfide che quel tempo imponeva.

Tale disciplina, apparentemente rivolta all’interno della Chiesa, presto coinvolge fortemente la costruzione di quell’entità che è lo Stato moderno. Con il Concilio, si regolano la vita dei sacerdoti e le nuove forme della pastorale, si stabiliscono nuovi momenti di controllo e di conta dei fedeli – pensiamo ai libri delle anime, a quelli dei battezzati e dei matrimoni –, in breve, nascono le anagrafi parrocchiali. Questi strumenti risultano la base su cui lo Stato moderno potrà costruire l’attuale anagrafe e, dunque, stabilire la relazione tra una persona, il suo spazio e il suo tempo, cioè attribuire a ognuno uno spazio temporale, che si sviluppa tra la nascita, il matrimonio e la morte, e uno spazio fisico, la residenza. Si mette in moto quel processo inarrestabile, che oggi è arrivato al punto in cui tutti siamo monitorati attraverso i nostri spostamenti da una cella all’altra dei telefonini, da un prelievo del bancomat o della carta di credito oppure da un passaggio da un casello autostradale: l’identificabilità della singola persona nasce fondamentalmente negli anni del Concilio di Trento, e san Carlo Borromeo, a Milano, dopo la conclusione del Concilio, sarà uno dei più decisi applicatori delle norme da esso emanate e soprattutto le renderà vitali, coinvolgerà l’ampia Diocesi milanese nel processo di ricostruzione di una disciplina sociale. Infatti, nonostante le visite pastorali – che sono un momento di controllo dello stato della Diocesi –, i Sinodi, i Concili, ossia le riunioni del vescovo con il clero, sembrino, e sono, rivolti all’interno della Chiesa, si riverberano rapidamente fornendo mattoni, piccoli ma ben solidi, alla costruzione di quell’edificio che porterà alla costruzione dello Stato moderno. In pratica, il potere politico, o meglio la filosofia della politica, si appropria con molta disinvoltura di questi elementi che la Chiesa mette a disposizione e, via via, riuscirà a giungere al paradosso dell’età moderna, per cui uno Stato, che si secolarizza dal punto di vista religioso, sacralizza la sfera della politica, raccogliendo quegli elementi sacrali che prima appartenevano esclusivamente alla sfera religiosa e che poi invece diventano componenti essenziali del potere. San Carlo Borromeo diventa una delle figure chiave nella costruzione di questo nuovo ruolo della Chiesa nella società moderna, proprio perché è uno dei più validi e instancabili protagonisti di questo processo. A lui si possono affiancare altre personalità, come il primo arcivescovo di Bologna, Gabriele Paleotti, suo amico, che più o meno si mette sulla stessa strada: sono due modelli quasi contemporanei che mirano allo stesso obiettivo politico ed economico.

In quest’ottica, la Riforma protestante e il Concilio di Trento, e la loro applicazione, rappresentano non un punto di partenza, ma il culmine di un processo, di una genesi, che poi sboccia, a partire dal Seicento, con quelle forme – sia nella filosofia politica sia nella realizzazione dello Stato – che noi appunto identifichiamo con il concetto di modernità. Lo Stato entra sempre di più, ampliando le sue funzioni, nelle questioni relative alla nascita, al controllo della popolazione, all’educazione, alla famiglia, all’assistenza, tutti territori che, all’epoca del tridentino, sono ancora esclusi da un’area della politica. Col passare del tempo, lo Stato acquisisce, e questo è uno dei passaggi decisivi nella formazione della modernità, dall’apparato ecclesiastico le tecniche necessarie alla gestione e al controllo dei momenti di formazione della società. Il fatto che l’educazione passi ad un certo punto dalla Chiesa allo Stato, e così l’anagrafe, non è una semplice espansione dei poteri statuali che nasce esclusivamente da uno scontro giurisdizionale: il punto è che la Chiesa fornisce gli elementi basilari su cui lo Stato potrà a sua volta fondarsi. L’appropriazione e l’utilizzo di contributi che le chiese protestante e cattolica hanno messo a disposizione, tra l’altro, è una delle caratteristiche che hanno reso la civiltà occidentale ed europea così capace di adattamento e di espansione nei confronti del resto del mondo. La capacità da parte del potere politico di utilizzare strumenti altrui dimostra una straordinaria elasticità e chi ha maggiore capacità di assorbire ciò che di meglio emerge dal tessuto di una realtà è destinato all’egemonia, almeno in una determinata fase.

Per l’episcopato cattolico sono tre le sorgenti che hanno alimentato i tanti rivoli della riforma post-tridentina, o Controriforma che dir si voglia: la prima è il Concilio di Trento, che fornisce il momento storico, le norme canoniche, la teoria e la spinta emozionale; la seconda è Roma, che fonda le istituzioni per la formazione della nuova elite cristiana; infine Milano, ossia san Carlo Borromeo, rappresenterà la capacità di sintetizzare queste due operazioni convergenti, cioè di utilizzare i nuovi strumenti. Per questo san Carlo Borromeo diventa il campione della modernità.