METTIAMO IN BILANCIO IL CAPITALE INTELLETTUALE

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presidente di TEC Eurolab, Campogalliano (MO)

“Nessuno meglio di voi conosce il vostro prodotto, nessuno meglio di noi conosce i materiali che impiegate per costruirlo” è lo slogan che leggiamo sul sito web di TEC Eurolab: vent’anni di prove su materiali metallici, polimerici e compositi, e non solo, per garantire l’eccellenza nei settori aeronautico, automotive, energetico e biomedicale. Un’esperienza che vi ha consentito di constatare fino a che punto la materia è intellettuale, sia nella nascita di nuovi materiali sia nello sviluppo del cervello dell’impresa…
Rispetto a vent’anni fa, la varietà e la tipologia di materiali e trattamenti speciali a disposizione per la progettazione e la costruzione di un prodotto è aumentata in modo impressionante, tanto da rendere impossibile per un’azienda avere al suo interno una figura professionale con competenze su ogni materiale impiegato. Questo per noi sta avendo un significato particolare: in tantissimi casi abbiamo perso quell’interlocutore che parlava il nostro stesso linguaggio e a volte, utilizzando sempre lo stesso materiale, ne sapeva anche più di noi che eravamo il suo riferimento per le prove di laboratorio.
Oggi la competenza sui materiali, in particolare tutte le volte che si deve affrontare un fenomeno di difettosità o rottura, è demandata, giocoforza, all’esterno dell’azienda. È un vero e proprio outsourcing di competenze che ha determinato, e sempre più sta determinando, un grande cambiamento nella professione del tecnologo dei materiali: non più solo esperto di testing ma pronto a fornire il necessario consulting alle aziende, per aiutarle ad affrontare ogni problematica inerente ai materiali impiegati e ai processi ai quali vengono sottoposti.
Quindi rispetto a vent’anni fa, ma anche rispetto a pochi anni fa, si è reso necessario un grande cambiamento anche al nostro interno, maggiori competenze verticali su materiali e processi al fine di poter essere partner dei nostri clienti non solo nel testare i materiali ma anche e soprattutto nello studiare insieme a loro le soluzioni più efficaci, quelle in grado di valorizzare al meglio il loro prodotto.
Forse ai più può sfuggire che questo cambiamento ha comportato anche la necessità di implementare le competenze relazionali per riuscire a parlare lo stesso linguaggio del cliente, comprendere il suo progetto, centrare il suo obiettivo. Non è banale. Quello che normalmente vediamo in laboratorio è uno spezzone di materiale, una parte di prodotto e inizialmente nulla sappiamo circa il suo impiego, le condizioni di esercizio al quale è stato o verrà sottoposto, quali sono le attese del cliente, tutte cose che possono essere colte e approfondite esclusivamente se si hanno quelle competenze relazionali che ti permettono di “parlare la stessa lingua”, pensare nello stesso modo.
Ad esempio, non sempre un cliente che ci sottopone un pezzo rotto, chiedendoci di determinare le cause della rottura, è veramente interessato a conoscere quelle cause. A volte è semplicemente alla ricerca della conferma che quella rottura non è imputabile alla sua attività e cioè che “è colpa di qualcun altro”. Oppure, se lui è il progettista del pezzo, è alla ricerca di conferme che il pezzo non si è rotto perché mal progettato ma, magari, a causa di un suo non corretto utilizzo o del suo utilizzo in un ambiente ostile per il quale non era stato progettato. Certo non si possono indirizzare le risposte verso quello che è il desiderio del cliente, i test di laboratorio e l’esperienza dei tecnici diranno come sono andate le cose, ma capire il reale bisogno del cliente è essenziale.
Lei in un’intervista affermò che le sarebbe piaciuto realizzare un “laboratorio su rotelle”, per studiare caso per caso i problemi di ciascun cliente. Questo è indicativo dell’ascolto che voi prestate anche alle sfumature linguistiche di una conversazione. Come riuscite a sviluppare il capitale intellettuale dei vostri collaboratori fino a questo punto?
Sì, l’immagine del “laboratorio su rotelle” rende l’idea che in molti casi sarebbe utile trasferire tutto il laboratorio presso il cliente, in modo da avere a disposizione, sul campo, di fianco agli uomini del cliente, le nostre attrezzature, le nostre competenze e lavorare alla soluzione insieme al cliente. Naturalmente non è possibile, ma oggi le moderne tecnologie ci permettono di avvicinarci molto al cliente: videoconferenze, immagini dei pezzi in fase di lavorazione o testing, lo stesso intensivo utilizzo del web, dei social network e della posta elettronica. Quello che accade intorno a noi, e che ha poco a che vedere con le competenze tecniche, ci costringe a rivedere continuamente il nostro modo di pensare, di comunicare, di agire. La comunicazione di un pensiero tecnico, di una soluzione, deve avvenire in modo diverso in funzione dello strumento che si utilizza per la comunicazione; fortunatamente, sono competenze che i giovani acquisiscono facilmente, in modo naturale. In ogni caso, l’investimento sul capitale intellettuale è notevole e determina un “patrimonio intellettuale” non evidenziabile nel bilancio dell’azienda, bilancio che non è più sufficiente a rappresentare correttamente il valore di un’azienda. Per esempio, due bilanci della stessa azienda ne rappresentano nel tempo le variazioni patrimoniali, ma nulla dicono circa la variazione di capitale intellettuale e delle opportunità da questo generate.
Sarebbe giunto il momento di evidenziare nei bilanci qualcosa che va oltre il conto economico, lo stato patrimoniale e la posizione finanziaria: tutti aspetti fondamentali, ma non sufficienti alla determinazione del valore assoluto di un’impresa.
Per questo, è auspicabile che gli economisti aprano un dibattito sulla valorizzazione del capitale intellettuale delle aziende da portare a bilancio, fra gli intangibili, con un indicatore, che divenga strumento per misurare questo capitale, ancora così trascurato, pur essendo ciò che fa la differenza.