LA FEDE NELLA RIUSCITA

Qualifiche dell'autore: 
presidente di I.S.T. (Italia Sistemi Tecnologici), Modena

La trasformazione esige prima di tutto la materia intellettuale, esige che noi abbandoniamo le nostre abitudini, come suggeriva lei nell’intervista pubblicata nel numero 33 di questa rivista. E forse non è un caso se la I.S.T. (Italia Sistemi Tecnologici), con clienti in cinquantadue paesi in tutti i settori che utilizzano solventi industriali, non ha avuto grandi flessioni di mercato in questi ultimi tre anni…

Sono arrivato qui otto anni fa per dirigere la I.S.T., dopo aver lavorato per ventisei anni nell’area dei Caraibi come tecnico meccanico. È stata la seconda volta in cui ho dovuto abbandonare totalmente le mie abitudini: mi è costato una fatica immensa. Eppure, nei sette anni successivi, senza accorgermene, mi ero già “riabituato”, avevo ricreato un mio tran tran quotidiano. Quando è arrivata quella che ci si ostina a chiamare crisi, ma che io chiamo “cambiamento”, mi sono reso conto dello sforzo enorme che occorre per cambiare di nuovo, soprattutto per chi pensa che la crisi sia un fenomeno passeggero e che le cose torneranno come prima. Questo non succederà più. La carta geografica che viene esibita sulle pareti delle nostre aziende e delle nostre scuole è uno dei più grandi nemici della materia intellettuale in questo momento: noi italiani continuiamo a vederci al centro del mondo e siamo portati a pensare che ciò che noi pensiamo e facciamo sia “il giusto” e che possiamo giudicare ciò è che è giusto o sbagliato negli altri. Questo si riflette sul nostro modo di fare azienda, famiglia, società. E non siamo disposti a discuterne. Noi siamo il meglio. Il problema è che non ci accorgiamo di avere questa convinzione. Fino a quando non ci troviamo in un altro paese, a ottomila chilometri da casa, e vediamo che la carta geografica dei suoi abitanti è diversa e loro sono convinti di essere il centro del mondo e chi non è come loro sbaglia.Se non riusciamo ad accettare che siamo in un punto qualsiasi e non al centro, ci spazzano via. È come se fossi convinto di essere molto più forte del mio avversario e lo affrontassi con le mani in tasca, ignorando che nel frattempo lui ha fatto dieci anni di culturismo ed è in grado di percorrere cento metri in undici secondi e che il famoso primato mondiale di salto in alto di Valeri Brummel ( 1,80 metri) è stato ampiamente superato.

Il vostro caso dimostra che, grazie alla cultura, come la piccola bottega del rinascimento riusciva a vendere i suoi manufatti in tutto il mondo, la piccola impresa artigiana della nostra provincia può vincere la sua battaglia sui mercati esteri dotandosi degli stessi strumenti informatici, telematici, economici e finanziari dei grandi, magari con qualche difficoltà in più a ottenerli, ma con qualche semplicità in più quando, per esempio, deve spostare l’asse del proprio business da un segmento di mercato all’altro…

Una delle maggiori difficoltà per l’imprenditore sta nel coinvolgimento degli uomini, deve fare uno sforzo intellettuale per far sì che abbiano fede nella riuscita dei prodotti e dell’azienda. Quando c’è questa fede, allora partono come crociati o missionari per evangelizzare il mondo. I gesuiti erano maestri nella “culturizzazione” dei loro apostoli, i quali avevano poi dentro di sé la forza di cambiare il mondo.

Nella nostra realtà aziendale abbiamo un esempio eclatante nella persona di Paulo Oliveira, il nostro agente che cura il Brasile da tre anni: credendo e scommettendo nel nostro prodotto, in trentasei mesi ha acquisito oltre il 30 per cento del mercato brasiliano, mentre le nostre vendite dirette avrebbero potuto raggiungere al massimo il 3-4 per cento.

Oggi invece in Italia è piuttosto diffusa la diffidenza, per cui quello che dice l’imprenditore viene considerato prima di tutto a suo vantaggio. Ma questo è anche frutto dell’assenza di formazione degli imprenditori, che fino a qualche anno fa pensavano che bastasse essere proprietari dell’azienda per farsi seguire dai propri collaboratori.

Lei pensa che ci sia ancora molto da fare per formare le persone alla vendita nella nostra provincia?

Assolutamente sì, la cultura della vendita come servizio non è molto ben definita, non c’è quella disposizione all’incontro di cui la vendita ha bisogno, manca quello che in spagnolo si chiama “entregarse”, il darsi, come avviene nell’amore, ma anche nel senso del dono di sé che fa un cattolico.

È ciò che consente d’instaurare un dispositivo di riuscita…

Solo con persone che non hanno paura di darsi si possono costituire dispositivi vincenti.

D’altronde, anche il nostro paese, in diversi ambiti, gioca senza entrare completamente nella partita, come se fosse un’amichevole. Da tempo l’Italia non si sta impegnando per vincere in modo assoluto, e sta perdendo tante opportunità.

Tra l’altro, la vendita procede dall’istanza della vittoria…

La fede si trasmette se c’è, mentre oggi persino la fede cattolica è in crisi. D’altra parte, tutti gli imperi sono implosi perché i loro abitanti hanno smesso di credere ai valori di cui erano portatori. E noi non abbiamo capito che siamo un “impero romano” che implode. E che il mondo non sta aspettando noi. Sta andando oltre. I cinesi non copiano più: brevettano. Hanno laboratori straordinari e una società meritocratica che seleziona i migliori cervelli. E allora non siamo più il centro e dobbiamo abbandonare questo schema mentale, insieme alla carta geografica sbagliata, la nostra moderna liturgia, il nostro saio. Incominciamo dalle scuole, facciamo capire alla gente che dobbiamo lottare per trovarci un altro posto: in questo momento la cartina si è spostata.

È incredibile come, nonostante non ci sia più la messa all’indice e l’imposizione del pensiero con la minaccia del rogo, siamo ancorati a credenze arcaiche e manteniamo una mentalità chiusa, quasi medievale.