IL CONTRIBUTO DELLE IMPRESE ALL'INTEGRAZIONE

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presidente di Lameplast Group

Spesso si parla dell’integrazione come se riguardasse soltanto gli immigrati e il loro inserimento nel paese di arrivo, ma raramente si pensa al contributo che un gruppo come Lameplast – con sedi e mercati in quasi tutti i paesi del mondo – dà allo scambio e all’integrazione di culture, esperienze e modi di pensare e di vivere differenti…
Il primo contributo all’integrazione da parte delle imprese che hanno un mercato internazionale sta nel far cadere i pregiudizi e i luoghi comuni verso una nazione e i suoi abitanti. Dal 1976 a oggi abbiamo costruito rapporti continuativi in almeno venti paesi e abbiamo in tutto il mondo clienti da cui riceviamo richieste un paio di volte all’anno: ebbene, in passato, abbiamo dovuto spesso lottare contro il pregiudizio di un’Italia come paese dell’arte e del divertimento, dove la serietà e la professionalità erano considerati pressoché assenti. È chiaro che il lavoro svolto per costruire la credibilità di un gruppo come il nostro giova all’immagine dell’intero paese: grazie all’impegno e alla professionalità dimostrati, oggi è diffusa all’estero la consapevolezza che in Italia sono presenti molte piccole e medie imprese in grado di fornire servizi innovativi di qualità. Nel nostro caso, abbiamo constatato che l’effetto maggiore si ha nel momento in cui i potenziali partner o clienti stranieri vengono a visitare i nostri stabilimenti e si accorgono dell’incredibile livello di tecnologia e know-how raggiunti e soprattutto della presenza di collaboratori capaci di dialogare ai massimi livelli di conoscenza del settore.
Non dimentichiamo che il vostro Gruppo ha rapporti consolidati con le principali multinazionali dei settori farmaceutico e cosmetico e investe un milione e mezzo di euro all’anno nella ricerca. Ma com’è incominciata la vostra avventura internazionale?
Già prima degli anni ottanta avevamo clienti in Svezia, Danimarca, Germania, Francia e Belgio, ma la svolta per il Gruppo è arrivata con i primi contatti in America, grazie a un cliente con cui avevamo instaurato un rapporto di amicizia, che c’indicò la strada per lavorare secondo una logica industriale: ci suggerì di non limitarci a essere semplici trasformatori di plastica, ossia a produrre contenitori, ma di dare un servizio completo al cliente, quello del riempimento. Questo suggerimento c’indirizzò verso un approccio nuovo, che ci permise di lavorare con quelle multinazionali di cui oggi siamo veri e propri partner. Il know-how acquisito in tanti anni è frutto di un percorso di collaborazione con clienti che avevano esigenze e standard qualitativi elevatissimi, ai quali è stato molto impegnativo rispondere adeguatamente. Ma anche questo fa parte dell’itinerario verso l’integrazione: l’apertura consente sempre nuove opportunità, l’imprenditore non può barricarsi dietro le proprie presunte certezze, deve sempre chiedersi perché non ha raggiunto i risultati che si era prefissato, come raggiungerli e perché magari altri li hanno raggiunti.
Con il cliente americano, ma anche in altre occasioni, quanto è stato importante l’ascolto?
L’ascolto è sempre stato alla base del nostro successo: ascoltando, si riescono a recepire le novità, ad accoglierle, a introdurle in azienda e a discuterle con i collaboratori, per poi stabilire quali trasformazioni instaurare. Per mettersi in discussione, occorre ascoltare e confrontarsi con chi ha esperienze e conoscenze differenti dalle proprie. Senza l’ascolto e il confronto, è facile ritenersi bravi, pensare di avere raggiunto risultati eccezionali, per questo è importante l’internazionalismo, anche se in tanti anni ho potuto constatare che in Italia abbiamo i migliori tecnici al mondo, forse perché camminiamo ancora sui solchi tracciati dagli inventori che hanno fatto grande l’Italia nel rinascimento. Sicuramente, il nostro paese non ha mai avuto un governo che valorizzasse i suoi talenti, ma forse anche questo è il motivo per cui gli individui, presi singolarmente, sviluppano capacità intellettuali incredibili, perché sono costretti a ingegnarsi per trovare ciò che lo stato non ha mai messo a loro disposizione, diversamente da quei paesi in cui il collettivo ha un’importanza superiore all’individuo.
L’ascolto per l’imprenditore è importante anche quando deve capire fino a che punto può arrivare un collaboratore e fino a che punto deve spronarlo ad assumere il ruolo e la responsabilità che è in grado di assumere, anziché arrendersi al pensiero che sia troppo difficile o superiore alla sua portata. A costo di provocare una reazione forte, l’imprenditore ha il compito d’insistere finché il collaboratore non mette in gioco i propri talenti.
Oltre alla Cina, dove avete avuto come cliente l’esercito, quali sono i paesi emergenti con cui state lavorando?
La Turchia, il Vietnam, l’Indonesia, il Centro e il Sud America e il Sud Africa sono alcuni fra i paesi emergenti, che sono partiti lentamente, ma poi sono cresciuti molto, parallelamente al nostro mercato.
Tant’è che abbiamo trovato imprenditori validi con cui ci proponiamo come partner: in pratica, noi mettiamo a disposizione il nostro know-how e loro la conoscenza del mercato nel loro paese, in modo da acquisire clienti velocemente.