IL PROFITTO DELL'IMPRESA SOCIALE

Qualifiche dell'autore: 
cifrante, segretario dell'Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna, responsabile a Bologna della Cooperativa Sociale "Sanitas atque Salus"

Il 1991, in Italia, è stato un anno molto importante per quanto attiene a due elementi rilevanti della società civile: le istanze sociali e il mondo del lavoro, soprattutto di quello giovanile, poiché ha visto nascere un nuovo tipo d’impresa, sancito da due leggi dello stato italiano. Il nuovo tipo d’impresa è l’impresa sociale e le leggi che la regolamentano e ne delineano i termini sono la 266/91 e la 381/91. Si tratta di leggi quadro, specificate attraverso ulteriori leggi da ciascuna Regione, a cui è stato attribuito un ruolo particolarmente significativo di riconoscimento legale, di coordinamento, di programmazione e di sostegno economico e finanziario all’imprenditoria sociale. L’impresa sociale ha, a tutti gli effetti, carattere d’imprenditorialità, per quanto riguarda l’organizzazione, l’impiego al suo interno, la formulazione del progetto e del programma, il bilancio, l’assoluta considerazione per gli aspetti economici e per quelli finanziari. È tuttavia caratterizzata dall’essere costituita formalmente da imprese non profit: associazioni operanti nell’ambito sociale riconosciute dalle Regioni, cooperative sociali, fondazioni, organizzazioni non governative e di operare prevalentemente nell’ambito della cosiddetta utilità sociale. Oggi essa va al di là delle nozioni di bisogno e di emergenza che l’hanno caratterizzata nei due secoli precedenti, per comprendere altri aspetti, come l’emergenza dell’assoluto che riguarda la cultura e l’arte, la conservazione, la tutela e la valorizzazione di patrimoni culturali, artistici, storici e del cosiddetto ambiente naturale, considerato anch’esso come patrimonio da tutelare e da valorizzare. Il decreto legislativo 460/97, conosciuto anche come Legge Zamagni per il terzo settore, dal nome del suo principale estensore, o legge che ha introdotto il sistema delle onlus, organizzazioni non lucrative di utilità sociale, ha indicato con molta precisione i termini di applicazione di tale concetto, consentendo all’imprenditoria sociale di operare in un ambito allargato e di far sì, pertanto, che diventi uno strumento di primaria importanza anche sul versante economico, pur mantenendo le peculiarità che ne hanno informato la nascita. Tra queste, occorre certamente ricordare l’altra nozione di profitto, che prescinde da quelle di principio del profitto e di lucro, il reinvestimento degli utili per le finalità sociali, lo scopo ideale che deve sempre essere presente sia nell’organizzazione statutaria di ciascuna impresa sia nella sua conduzione e nel suo procedere.

Negli ultimi anni tali imprese sono entrate a far parte a pieno titolo delle cosiddette politiche attive del lavoro, consentendo un’applicazione preferenziale e particolarmente flessibile di molti articoli delle leggi 300/70 sui diritti dei lavoratori e sul diritto al lavoro, 196/97 per la promozione e la tutela del lavoro e l’introduzione di rapporti di lavoro di tipo nuovo, 215/92 sull’imprenditoria femminile e 68/99 per il lavoro dei disabili. Ciò ha portato le imprese sociali, in Italia, a superare la soglia del 3% sul totale degli occupati, che la pone al sesto posto, in tale settore, nell’ambito delle cosiddette nazioni industrializzate. Tale percentuale è sensibilmente superiore alla media relativa per quanto concerne l’occupazione giovanile e quella femminile e per l’apporto dato al prodotto interno lordo, poiché le imprese sociali possono usufruire di una quota di lavoro volontario legale e regolamentato dalla legge 266/91 che non risulta dal dato occupazionale. La constatazione che l’impresa sociale è, per l’appunto, un’impresa, ci indica che ha bisogno degli stessi dispositivi di quelle che operano nel settore profit: economici, finanziari, amministrativi, gestionali, contrattualistico lavorativi, ma anche d’innovazione, d’invenzione, d’intelligenza. Si tratta di quei dispositivi che ci rimandano al brainworking e alla figura del brainworker, in grado di dare risposte non scontate e non conformistiche a target e a istanze che sono variabili e in continua trasformazione, quanto quelle legate al mercato. Si tratta di un manager, anche in questo caso, preparato e pronto a scommettere sull’intelligenza, con compiti anche di ricerca e di progettazione e con funzione di orientamento e, secondo l’occorrenza, di direzione. Manager che deve conoscere a fondo le peculiarità di un settore, quello non profit, che non sono esclusivamente di tipo specialistico, ma sono interessate anche da aspetti dell’etica, della politica e in molti casi della cultura. Essere in grado di reinvestire gli utili al di là del principio del profitto consentendo tuttavia profitto e guadagno all’impresa stessa e ai suoi aderenti vuol dire trovare soluzioni nuove a problemi necessariamente sempre mutevoli. Avanzare una corretta gestione e estendere bilanci consoni al proseguimento per imprese che non si danno scadenze basate sui termini dell’utile e della sua algebra ma lontanissime o addirittura scommettono sull’infinito, e su tale scommessa di continuità e di garanzia per la società civile fondano gran parte della loro legittimità, richiede competenze e abilità assolutamente nuove e specifiche. Imprese come le cooperative sociali, che vedono gran parte dei destinatari delle loro azioni essere anche gli attori dell’impresa stessa, impongono, prima di tutto logicamente, che s’instauri una cultura del lavoro di tipo nuovo, che pone a suo fondamento la formazione specifica e tecnica al lavoro e sul lavoro e una formazione costante che tenga conto anche delle risultanze di scienze come la comunicazione, la psicanalisi, la scienza della parola. Le cooperative sociali, ultime nate, tra le istituzioni non profit, ma indubbiamente le più importanti, per articolazione d’impresa e per possibilità occupazionali, per il mondo del lavoro, costituiscono l’indice più rappresentativo del superamento, nell’integrazione, della pratica volontaristica della solidarietà a vantaggio della logica d’impresa rivolta alla stessa direzione. Lo stesso spirito di Rochdale, che ha informato per oltre un secolo lo sviluppo della cooperazione in nome del principio della mutualità, negli ultimi anni si è dimostrato sempre più insufficiente ad affrontare la varietà delle tematiche del lavoro e l’intersettorialità e la trasversalità delle istanze sociali, che non possono più essere ridotte agl’interessi di gruppi singoli, anche se importanti, di cittadini. Le cooperative sociali sono sorte per venire incontro alle istanze sociali e a quelle del disagio della società nel suo complesso e nella sua complessità, in particolare nelle sue componenti più svantaggiate. I brainworker operanti nel suo ambito devono saperle riconoscere e intervenire nella conduzione dell’impresa tenendone conto costantemente e considerandole parti essenziali di ciascuna formulazione progettuale. Business plane e progetto hanno un valore prioritario per l’affermazione e il proseguimento dell’impresa sociale, in modo peculiare e forse più incisivo rispetto alle altre imprese, in quanto non è il mercato con la sua estrema imprevedibilità, o lo è molto meno, a decidere delle sorti dell’impresa stessa. L’esperienza dei primi dieci anni di attività regolamentata e la logica che ne è emersa sottolineano come ciascuna azione debba essere preceduta inderogabilmente da un adeguato setup progettuale e programmatico, per consentire l’organizzazione efficace e coerente del lavoro, l’espletamento della funzione di ciascun servizio nella qualità e la presentazione di scritture contabili, finanziarie e di progetto atte sia all’accesso al credito agevolato e al fundraising privato sia ai contributi e alle convenzioni con gli enti pubblici nella continuità, come previsto dalle attuali leggi italiane e europee.

Una nuova accezione di profitto può così delinearsi a partire dall’esperienza dell’imprenditoria sociale, profitto che non sia più inteso come principio o come causa finale. Profitto che tenga conto di nozioni quali quelle di legge e di etica, di solidarietà e di diritto, così come a quelle di scrittura pragmatica, di fare secondo l’occorrenza e di tenuta in considerazione di quello che ne resta. Profitto di cui il manager brainworker non sia semplice officiante, bensì protagonista sensibile e attento: alla riuscita dell’impresa ma anche al diritto dell’Altro.