L’INCONTRO, LA SCRITTURA, LA SALUTE

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cifrematico, presidente dell’Istituto Culturale Felsina

La cifrematica rileva che l’humanitas ha il suo terreno nell’incontro. Soltanto nell’incontro, nel suo tessuto straordinario, che trova la sua condizione nell’assoluto, può prodursi il miracolo. La psichiatria spesso manca quest’aspetto, perché, in chi si trova stigmatizzato in una categoria nosologica, vede soltanto come negatività l’anomalia, la stranianza, l’assenza di socializzazione, ed esclude la novità e l’invenzione insite in ciascun incontro. Ciò riguarda anche il senso comune e la cosiddetta mentalità di ognuno, quando si avvicina all’altro escludendo l’ascolto e negando la straordinarietà, la ricchezza e il piacere che ciascun incontro può offrire. E vale anche per l’incontro con uno scrittore, con un musicista, con un artista. È impossibile intendere la portata della loro opera senza averne letto i libri, senza averne ascoltato la musica, senza averne osservato dipinti e sculture in modo scevro da pregiudizi culturali, morali, politici, religiosi. Molte volte in Occidente non è avvenuto così, quando il potere politico, quello religioso o la morale comune hanno esercitato nei confronti di scrittori, intellettuali, artisti censure e repressioni, avvalendosi di strumenti giudiziari, psichiatrici, burocratico-amministrativi e oggi anche mediatici nel timore della novità e della dissidenza. Questa è innanzi tutto dissidenza della parola, propria di ciascun prodotto intellettuale e di ciascuna opera d’ingegno. Negli ultimi anni, a Bologna, l’Università Internazionale del Secondo Rinascimento e l’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna hanno organizzato tre importanti incontri dedicati ad altrettanti grandi autori, di cui due molto noti, come il musicista Robert Schumann e la scrittrice Virginia Woolf, considerata una delle più importanti in lingua inglese del novecento, e uno non ancora altrettanto noto, almeno in Italia, come il medico psichiatra e scrittore tedesco Oskar Panizza. Tutti e tre hanno incontrato l’apparato istituzionale medico-psichiatrico e due di loro, Schumann e Panizza, la vera e propria manicomializzazione. Si tratta di temi forti ma tuttora estremamente centrali, che hanno riguardato anche altri personaggi di rilievo dell’arte, della cultura, della scienza e della storia, tra cui gli artisti Van Gogh e Artaud, Holderlin nel campo della grande letteratura, i poeti Dino Campana e Alda Merini, il matematico premio Nobel John Nash e lo stesso filosofo del linguaggio Ludwig Wittgenstein, per il quale fu redatta una diagnosi di autismo funzionale. Ma anche tutti quei personaggi, rimasti anonimi, che colpivano i visitatori degl’istituti asilari per la loro sensibilità, la loro intelligenza, la loro arte creativa, di cui parla in modo molto preciso Giorgio Antonucci nel suo formidabile libro Diario dal manicomio. Si tratta di temi che da secoli interessano la medicina e la sua prassi, ma anche la cultura, il pensiero, la scienza occidentali e la vita di ciascuno di noi. Panizza, con la sua vita, anche nel periodo della sua attività di medico psichiatra, ma soprattutto con la sua scrittura, lo testimonia in modo molto forte. Questo traspare in ciascuno dei suoi libri tradotti in italiano e pubblicati dalla casa editrice Spirali: Psychopathia criminalis, Wagneriana, L’immacolata concezione dei Papi e Dal diario di un cane. Ha attraversato la questione medicina e la questione psichiatria non sottraendole, come le altre istituzioni da lui considerate, alla satira. In lui c’è una fortissima dissidenza della parola, che trapela in modo particolare proprio nella satira della sua scrittura, che dice di un disagio assoluto rispetto alle forme culturali e sociali dell’epoca. Forme in gran parte presenti ancora oggi, la cui messa in discussione, soprattutto pubblica, comportava e talvolta comporta ancora il carcere, il manicomio o i loro succedanei attuali, le nuove forme di criminalizzazione e di manicomializzazione. In Psychopathia criminalis la sua satira si sposta su obiettivi più politici, per virare poi su uno dei pilastri repressivi della società, il manicomio, appunto, apparentemente affrontato secondo la versione più edulcorata e “curativa”, quasi socialmente accettabile, fornita dalle autorità sanitarie del tempo, in realtà già delineato come strumento di condizionamento del pensiero e di coartazione del modo di essere delle persone. 

La sua figura e la sua opera hanno anticipato alcune considerazioni essenziali di Freud, che possiamo trovare nei saggi Lo straniante e Il disagio della civiltà. Togliere, come fu tentato ottant’anni dopo dalla Kultur che produsse il nazismo, lo straniante, personificato nell’ebreo, nello zingaro, nell’omosessuale, nel “malato di mente” e in altre cosiddette minoranze, negare la straordinarietà e la ricchezza che intervengono nell’incontro che esige l’Altro irrappresentabile sono la punta massima di quel disagio cui può giungere la civiltà, disagio che percepiamo, talvolta in modo drammatico, ancora oggi.