IL CERVELLO DELL’IMPRESA È NELLA COMUNICAZIONE

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presidente di Carbonveneta Srl e di Rancan Elettrotecnica

Nel 2009, in piena crisi planetaria, lei ha fondato la Carbonveneta, azienda innovativa nel settore delle fibre di carbonio con sede a Chiampo (VI), ma ha rilanciato anche la  Elettrotecnica, l’attività artigianale nel settore più tradizionale della riparazione macchine elettriche, che aveva aperto diciotto anni fa ad Arzignano (VI), patria delle concerie. Come sono cambiati gli scenari economici nell’area in cui opera?

Se, fino a qualche anno fa, il modello economico dell’Italia del Nordest si poteva a buon diritto definire vincente, con molteplici esempi di aziende che hanno maturato in brevissimo tempo un successo economico altissimo, oggi non è più così. L’Italia economica dagli anni del dopoguerra all’unificazione monetaria europea del primo gennaio 2002, ha goduto di condizioni di mercato uniche. Soprattutto nel primo periodo, la richiesta di beni era molto alta, l’offerta era in ginocchio a causa della guerra appena conclusa e le normative erano molto tolleranti. L’Italia di allora aveva bisogno di tutto, e ciò che si produceva si vendeva facilmente. Chi aveva un minimo d’inventiva e di attitudine al rischio si metteva in proprio, con una piccola area produttiva e un basso capitale d’investimento, forte anche di una manodopera letteralmente affamata, e in brevissimo tempo, senza nessuna azione marketing, vedeva aumentare il proprio fatturato quasi automaticamente. 

Molti imprenditori della generazione del dopoguerra realizzavano facilmente utili, che, se opportunamente reinvestiti anziché dilapidati, davano la possibilità d’ingrandire velocemente l’area produttiva, nella certezza che la richiesta avrebbe assorbito la produzione aggiuntiva. Allora il modello del Nordest funzionava a meraviglia: un imprenditore capace di fare e d’insegnare a fare un prodotto era nelle condizioni ottimali per avere a disposizione credito a basso costo, gli investimenti da fare erano esigui, i costi generali minimi, c’era grande richiesta di beni con alto margine sul prezzo finale di vendita e grande disponibilità di manodopera del proprio paese intrinsecamente collaborativa.

Da dieci anni a questa parte, non è più così: tutte le condizioni favorevoli al modello del Nordest si stanno affievolendo, lentamente ma inesorabilmente, per fare posto a un modello d’impresa volutamente di carattere “europeo”. Peccato che tale modello sia naturalmente tarato per grandi imprese e quindi si adatta con molte difficoltà alle nostre realtà. Gli imprenditori della prima generazione, pian piano, si stanno finalmente accorgendo che qualcosa sta cambiando, anzi, è già cambiato e che finora hanno vissuto in un’isola felice, forse troppo.

Da quando le regole sono europee, il saper fare degli imprenditori veneti non è più sufficiente, la teoria d’impresa del dopoguerra, se di teoria si può parlare, oggi ormai è solo un libro di storia, da tenere in bellavista in biblioteca.

Da quando le imprese venete sono state costrette ad affacciarsi oltre confine, ai proverbi veneti che indicavano ingenuamente una soluzione a qualsiasi problema, si sono sostituite le prime parole in inglese. Ma il cliente straniero, che a differenza di noi è già abituato a lavorare con altri paesi, non comprende la faciloneria veneta, chiede continue spiegazioni del nostro modo di fare. 

La Rancan Elettrotecnica annovera fra i suoi clienti alcuni dei maggiori gruppi industriali del Nordest, e non solo, e anche in questi difficili anni non ha avuto grandi ripercussioni sul fatturato. Eppure, da quanto lei afferma, non può dormire sugli allori, perché nessun imprenditore lungimirante può accontentarsi dei risultati raggiunti, se considera la trasformazione in atto…

Se la tradizionale funzione dell’imprenditore era quella di capire in anticipo quali sono le lavorazioni e i prodotti da sviluppare, predisponendo quanto era necessario per l’attuazione del programma, la funzione di direzione oggi esige una costante ridefinizione del programma industriale, in base alle mutate condizioni di richiesta dei clienti, ai suggerimenti dei collaboratori, ma anche al variare degli equilibri economici internazionali. 

Affinché le imprese venete si raccordino al nuovo che avanza, occorre una grande svolta, le imprese che vogliono continuare a lavorare devono compiere un grande salto di qualità, prima di tutto con il cervello, devono portare in azienda un nuovo modo di pensare, un approccio differente alla complessità attuale: per dirla in inglese, il brainworking, o per dirla in veneto, prima di fare, dobbiamo pensare (al domani e per il domani). Ecco perché, per attuare il programma, oggi è essenziale la squadra, anche in una piccola realtà artigiana, un team di collaboratori che lavori in stretto contatto con l’imprenditore, perché il cervello è nella comunicazione, nello scambio di idee, non nella testa di qualcuno. E se il team fa propria la filosofia e la strategia dell’azienda e ciascun componente del team dà un contributo per la direzione verso la qualità nel proprio specifico settore – intendendo che il cliente è il vero datore di lavoro a cui tutti, compresa la direzione, devono prestare la massima attenzione, migliorando giorno per giorno la capacità di ascoltare le sue esigenze –, allora possiamo dire che la crisi del modello del Nordest è diventata la nostra opportunità di crescita.