LE DONNE, LA FINANZA, LA CLINICA

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Brainworker, scienziato della parola, presidente dell’Istituto culturale “Centro Industria”

“Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto…”. Con i primi versi dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, nel rinascimento dell’Emilia Romagna e del pianeta, irrompono le donne e le audaci imprese nella scena civile, attuandosi così uno scarto dagli standard e dai canoni dell’epoca, in un momento di rilevanti trasformazioni nell’arte e nella cultura, nella produzione e nel commercio.

Ma questa breccia, che si era aperta nel rinascimento, ha trovato nello scientismo illuminista e romantico un ridimensionamento, fino all’antropologia di Claude Lévi-Strauss che, nelle Strutture elementari della parentela, indicava l’utilità delle donne nella loro funzione di supporto della relazione fra gli uomini attraverso il sistema genealogico. In questo sistema genealogico le aveva collocate già Aristotele, che considerava le donne il segno della perdita, perché affette da uno spreco di sangue, quindi caratterizzate da un’impurità. Di questo spreco occorreva fare l’economia, pertanto era opportuno che il superiore fosse separato dall’inferiore, secondo l’idea gnostica di purezza. Così, la donna in Grecia era deputata alla contabilità del tempo a partire dalla sua fine, come indica il mito delle Moire, o Parche secondo la mitologia romana, le tre donne addette a tenere di conto la nascita e la fine della vita con il taglio del filo. Secondo la lezione di Aristotele nella Politica, la donna è presa in un ideale che nega la differenza e la varietà, perché l’economia della differenza, l’economia del tempo è utile alla città nel comune fine ultimo di bene. Così, nella rappresentazione del potere, c’è chi comanda e chi è comandato, chi è al vertice e chi è alla base, come nella genealogia. Questa rappresentazione sociale della differenza alimenta l’antinomia fra uomo e donna, secondo cui l’uomo è protagonista dell’invenzione e della produzione, e corrisponde all’apparato cerebrale, all’alto, al capo. La donna, senza nome e protagonista della procreazione, corrisponde all’apparato riproduttivo, al basso, ed è questo il compito della madre.

Questa inattribuibilità del nome alla donna è stata considerata un limite sostanziale della donna, condannata all’anonimato e alla perdita da economizzare. Ma se il nome non è genealogico, cioè se non garantisce la corretta spartizione delle cose considerate sostanze, l’anonimato – di cui la donna è indice – non è segno della castrazione, che la donna dovrebbe significare, ma è proprio ciò che impedisce che la perdita divenga spreco, è ciò che esige che il godimento non sia finalizzato. Se il nome non è più sostanziale né rappresentabile, se il nome è funzionale anziché genealogico, le cose incominciano e il tempo interviene nel fare.

La questione è di parola, più che di genere. Le cose si dicono, e dicendosi si fanno. Nella mia pratica constato che parlando si articola un’altra logica, un altro modo del fare in cui si effettua la differenza. Non si tratta, quindi, di pareggiare il conto con l’uomo, ancora una volta partendo dall’ideologia del potere, ma di un altro godimento e di un’altra sessualità. Pertanto, diviene imprenditrice non chi si assimila al principio di padronanza presunto maschile, ma chi, in quanto non procede da conformismi e dal peso dei ricordi nell’azienda, si espone al rischio della differenza, al rischio d’impresa, al rischio della riuscita, esercitandosi nelle virtù temporali: l’umiltà, la generosità, l’indulgenza. Se il tempo non è quello delle Parche, il tempo che deve finire, ciascuna donna è emula del tempo del fare, della produzione, dell’organizzazione, dell’invenzione, della finanza come istanza di conclusione delle cose. Le donne sono escluse dalla finanza? Le donne esigono una finanza non sostanziale e non mortifera, un’impresa e una finanzache siano le basi della differenza sessuale ovvero temporale.

Finanza, da finis, indica non la fine, ma la frontiera e il limite del tempo, ovvero il tempo esige la finanza come istanza di conclusione delle cose che si fanno. Non c’è differenza sessuale senza la finanza. Il burocrate amministra il tempo, che deve finire, il leader si avvale del tempo, che non basta mai. Per questo è essenziale il cervello come dispositivo temporale, non naturale né conformista.

Aveva torto Aristotele nella credenza che occorresse fare l’economia del sangue come sostanza. Il sangue, come l’acqua, è indice dell’automazione, non è genealogico. L’automazione è proprietà del tempo, che non scorre e non passa, che non è ciclico e non torna all’origine. Pertanto, il flusso è proprietà del tempo che non finisce, come la finanza e la vendita.

Ma, se il tempo non finisce, che ne è delle cose che si fanno? Le cose si dicono, dicendosi si fanno, facendosi si piegano. Klinein, in greco significa piegare. La clinica è la piega del tempo. La clinica è compimento della scrittura pragmatica, della scrittura delle cose che si fanno. Ciò che si conclude si rivolge alla piega, esige il compimento.

Il tempo è cifrante, cifra, qualifica. Non si tratta quindi di fare economia della sostanza, di accumulare la sostanza su cui poggerebbe il capitale, secondo Marx. Se il tempo non finisce produce i suoi frutti. Questo è il piacere proprio del fare, dell’inventare, del costruire, del contribuire alla vita, alla città, con un apporto di qualità e di valore intellettuale, artistico, imprenditoriale. Questo fare comporta un’altra sessualità, perciò è stato interdetto per tanto tempo alle donne.

Se la città è dispositivo temporale dove le cose si fanno, dove c’è vendita e commercio, quindi se non è spaziale, non è esposta alla contemplazione ma al fare, ha la chance di divenire la città del secondo rinascimento in direzione del valore assoluto.

 **Il testo di Caterina Giannelli è tratto dal suo intervento al convegno dal titolo Le donne e la leadership, organizzato dal Lions Club Bologna Archiginnasio, in collaborazione con Unindustria Bologna e AIDDA (Cappella Farnese, Palazzo d’Accursio, Bologna, 21 gennaio 2012)