COME RIUSCIRE VIVENDO

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psicanalista, cifrematico, presidente dell’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

Vivere non è sopravvivere, cioè scampare a un pericolo di morte, magari rappresentato nel terremoto e nella crisi. Ma sopravvivere è anche “vivere sopra”, aver bisogno di qualcosa su cui poggiare la vita, che valga a sostenerla per motivarla. Come la sostanza, quel che è immaginato sub stare, stare sotto. Tutto può diventare sostanza, tutto serve a sopravvivere anziché a vivere, se deve servire a giustificare, a supportare, a delimitare, a padroneggiare la vita.

Con l’inconscio, parlando, vivendo, la vita non è padroneggiabile, dunque non ha bisogno di sostanza. Nessuna cosa è sostanza parlando, nemmeno la morte, nemmeno la crisi, nemmeno la paura, nemmeno il terremoto. La scommessa della cifrematica è che ciascuna cosa, anche la circostanza più sfavorevole, vada in direzione della riuscita, se entra nella parola, se entra in una procedura d’integrazione, che nulla unifica e nulla esclude, perché lascia la questione aperta.

Eppure, alla riuscita vengono opposti rimandi, remore, rinunce, riserve. “Questo non m’interessa”, oppure: “Io in questo non riesco, allora faccio quello”. Questo principio di elezione e di selezione poggia sulla questione chiusa, basata sulla presunzione più limitante, la presunzione di conoscere sé e l’Altro. La conoscenza di sé e dell’Altro esclude l’apertura: ci chiudiamo in noi stessi e non facciamo. “Conosco i miei limiti”: non rischio, dunque nessuna impresa e nessuna riuscita. “Conosco i gusti dei miei clienti”, così non vendo quel che penso non possa loro interessare. Allora, nessuna riuscita.

La psicanalisi secondo la cifrematica non è una delle tecniche per conoscersi o per conoscere l’Altro. Già Freud parlava di Auflösung, di risoluzione, di dissoluzione delle rappresentazioni che noi ci facciamo delle donne, degli uomini, dell’impresa. Queste rappresentazioni diventano i nostri pregiudizi. Le terapie cognitivo-comportamentali mirano a cambiare i nostri parametri di conoscenza, ma così ci fanno passare da un pregiudizio all’altro e mantengono il pregiudizio: la conoscenza è sempre un pregiudizio.

L’idea di prigione dipende da un pregiudizio sull’origine, dall’idea di origine. Conoscendo la mia origine, la mia vita non è qui, è altrove; io sono qui per sbaglio e quello che sto vivendo è una prigione. Così aspetto sempre la liberazione, ovvero il riscatto e l’affrancamento. Sto vivendo qui? No, questa non è vita, io sono altrove. Occorre un’idea per la riuscita? No, qui non posso pensare. Così l’idea di prigione diviene la prigione dell’idea. Tutto viene chiamato prigione: la casa, il lavoro, la vita stessa. L’idea di prigione è un’idea del tempo, della sessualità, della scrittura. E Socrate beve la cicuta pur di uscire dalla prigione, che per la sua anima, dice, non era il carcere, ma il corpo, la Terra stessa.

La riuscita non è l’uscita dalla prigione come nell’ontologia. La riuscita è riuscita dell’esperienza e nell’esperienza, non uscita da qualcosa. Non è il cavarsela, il venir fuori dalla crisi, dal trauma. Lo psicanalista non è la levatrice, madre di Socrate, non aiuta a venirne fuori.

Morendo, Socrate conferma l’idea di prigione. Vivendo, cioè parlando, facendo, l’idea di prigione si dissipa. L’idea di morte fonda ogni giustificazione, ogni irresponsabilità, ogni paura. Soprattutto la paura di non avere più paura.

In particolare, l’idea che il tempo possa finire fonda la paura di vivere, che è chiamata paura di morire. In questo caso il soggetto prende il posto del tempo, sicché all’occorrenza del tempo vengono sostituite le possibilità-impossibilità del soggetto e al giudizio (in greco krìsis) del tempo viene sostituito il criterio bene-male del soggetto, l’impresa che va bene o che va male.

La crisi è il giudizio, non un tunnel. La riuscita non aspetta la fine della crisi, tanto più perché la crisi non finisce, in quanto il tempo non finisce. Quel che viene chiamata crisi, la crisi presente, è un’ideologia e una politica che mira, idealmente, a cancellare la parola, il fare, il tempo, in nome della burocrazia e della circolarità delle cose.

Il trauma e la crisi sono proprietà del tempo, indispensabili alla riuscita; non del soggetto che a essi soccombe. Per questo la crisi ha la chance di rilanciare l’impresa, perché rende inattuabile la soggettività. E, facendo, le cose giungono a concludersi, nella semplicità. La semplicità, la piega delle cose, tutt’altro dalla facilità.

La riuscita non è il bene da scegliere contro il male. La riuscita è senza alternativa: se siamo ancora nell’alternativa siamo distanti dalla vita. “Non riesco, devo trovare il piano B”. L’alternativa, la scelta tra A e B, postula che il fare dipenda dai limiti della soggettività, non dalle esigenze pragmatiche. C’è un’idea del tempo come qualcosa che passa e scorre, che finisce. Ma il tempo non finisce. Facendo, s’instaura il programma. Facendo, si trova il tempo.

Facendo senza rimandi, remore, rinunce, riserve, il tempo non passa e non scorre. Se il tempo passasse, potremmo appellarci al passato. Se il tempo scorresse, potremmo appellarci alla scorsa giornata, allo scorso anno, alla scorsa vita. Al vissuto, il grande alibi.

Ma, vivendo, non interessa il vissuto. L’impresa: nulla di già vissuto, nulla di vissuto, nulla mai fu vissuto né sarà vissuto. L’impresa, vivendo. Vivendo indica ora. Ora, cioè l’impresa sta nel gerundio. La città, la battaglia sta nel gerundio, non è mai vissuta né vivibile: è nel gerundio, vivendo. L’ora. Ora, non qui e ora, hic et nunc. L’ora, la frontiera e il limite. Il vissuto non procede mai dalla questione aperta, sempre dalla questione chiusa, come il comportamento. Le logie – la psicologia, la sociologia, l’antropologia e qualsiasi logia, anche la ginecologia, anche l’andrologia – procedono dalla questione chiusa, escludono il gerundio, sono fondate sul principio di selezione. Il gerundio procede dalla questione aperta, vivendo. Vivendo: noi facciamo, vivendo, noi riusciamo, vivendo. Cioè, nel gerundio. Quindi, anche facendo, riuscendo. Sulla via della cifra, del valore.

**Con questo articolo si avvia la pubblicazione di alcuni brani tratti dagli interventi ai dibattiti in occasione dell’uscita del libro di Sergio Dalla Val In direzione della cifra. La scienza della parola, l’impresa, la clinica (Spirali).