NON È PIÙ IL MOMENTO PER FACILI SLOGAN E SETTARISMI

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presidente di I.S.T. (Italia Sistemi Tecnologici), Modena

Con oltre dodicimila macchine (rigeneratori per solventi, lavatrici per macchine da stampa e distillatori per acque reflue) venduti in 78 paesi nel mondo, IST ha alle spalle venticinque anni di tecnologia per l’ecologia, invidiata anche da competitors di grandi dimensioni. Non a caso, all’edizione 2012 della Drupa (la più grande fiera internazionale delle macchine e materiali per stampa, publishing e converting, tenutasi a Düsseldorf dal 3 al 16 maggio), era l’unica azienda italiana presente, con uno stand più grande di quello delle concorrenti tedesche… 

È stata una bella soddisfazione vedere che alcuni esponenti delle due aziende tedesche che erano già grandi quando siamo nati noi, venticinque anni fa, sono rimasti per mezz’ora davanti al nostro stand ad ammirare le nostre macchine. Un po’ di preoccupazione è arrivata quando abbiamo saputo che gli stessi stanno già proponendo ai nostri clienti sul mercato internazionale un prezzo competitivo rispetto al nostro, pur di accaparrarseli. 

La Drupa è uno degli appuntamenti più importanti per il settore del converting, che rappresenta uno dei mercati più estesi al mondo – se pensiamo che dalla carta e dal film si producono libri, quaderni, buste di plastica, giornali, scatole da scarpe, e così via – e investe tutto il settore dell’imballaggio. È il settore più trasversale, che accomuna oggetti completamente diversi fra loro, per il semplice fatto che qualsiasi oggetto ha bisogno di un imballaggio per essere spedito e venduto. 

Il vostro esempio dimostra come una piccola impresa possa divenire un’eccellenza del made in Italy nel mondo, grazie alla cultura dell’imprenditore che, indipendentemente dalle dimensioni, dota la sua azienda degli stessi strumenti delle grandi…

La nostra azienda è dedicata ai mercati esteri fin dalla nascita e, nel bilancio 2011, l’export interessa oltre l’ottanta percento del fatturato. L’Italia in questo momento è un paese che investe poco, noi ci siamo organizzati rafforzando la struttura commerciale estera, che oggi ha le dimensioni della rete di una media azienda. 

A proposito di novità, può raccontarcene qualcuna da Düsseldorf?

C’era una partecipazione crescente degli orientali, che questa volta non sono venuti per copiarci, ma hanno presentato le loro novità tecnologiche. In particolare, mi ha colpito la dimostrazione di una ditta giapponese che ha prodotto in tempo reale cento copie del “New York Times” del giorno, piegate e distribuite ai presenti, in venti minuti, con una macchina stampatrice speciale jet printer di venticinque metri di lunghezza, anziché con una rotativa come quelle che stampano i giornali comunemente. Ho visto anche altre novità di aziende dei paesi dell’Est, non di altissima tecnologia ma con prezzi molto bassi. E competere sul prezzo non è il nostro forte: anche provando a trasferire la produzione in quei paesi, non sono poche le aziende che si sono trovate in difficoltà e stanno tornando indietro, perché il personale locale non è preparato a raggiungere la qualità, ma soprattutto perché le differenze culturali giocano un ruolo di primo piano. E non esiste in Italia una scuola che dia una formazione adeguata all’imprenditore che decide d’investire in quelle aree, per non parlare dei nostri enti preposti al commercio estero, che raramente sono in grado di dare un supporto concreto all’imprenditore per formulare un business plan che possa orientare le azioni da intraprendere, a seconda, per esempio, delle infrastrutture reali del paese ospite. Una piccola azienda come la nostra trova i suoi varchi in cui infilarsi, come il topolino che si salva dal gatto che lo rincorre, ma avrebbe bisogno di una spinta propulsiva, mentre, anche in questi giorni, in seguito alle drammatiche conseguenze del sisma, assistiamo a una continua demonizzazione dell’imprenditore, come se fosse uno schiavista col frustino in mano che bada esclusivamente ai propri interessi. Si dimentica facilmente che le nostre non sono multinazionali dirette da anonimi, ma aziende in cui l’imprenditore è sempre il più esposto nella battaglia quotidiana per la riuscita. Questo discorso, portato avanti anche da scelte a volte estreme, ha comportato la chiusura di importanti fabbriche nel modenese, con il pretesto che erano inquinanti o vi si svolgevano lavori molto pesanti. Il risultato è che a Modena abbiamo pulito l’ambiente di molti posti di lavoro. 

I politici lanciano slogan che spesso non hanno senso, anziché preoccuparsi di ciò che sta accadendo realmente: “incrementare i consumi interni”, se gli italiani consumano solo prodotti importati, non migliora la nostra bilancia commerciale, anzi! Solo producendo ciò che consumiamo potremo invertire la rotta verso l’impoverimento che abbiamo intrapreso. Innalzare barriere per impedire l’ingresso di competitors cinesi in Italia non basta; loro e gli indiani stanno copiando le nostre macchine per venderle, oltre che nei loro paesi, in Thailandia, Australia, Egitto, Marocco, Maghreb e Spagna, dove noi abbiamo una fetta di mercato consistente. È su questo fronte che stiamo perdendo la battaglia, è sui mercati internazionali che sta sfumando la sopravvivenza della nostra economia. Le nostre istituzioni dovrebbero preoccuparsi adesso – perché gli indiani e i cinesi si stanno muovendo per conquistare il mercato africano, quello sudamericano e quello del sudest asiatico, dove crescono, fanno i numeri e si fanno l’ossatura –, non quando arriveranno in Italia, perché a quel punto le nostre aziende saranno già in ginocchio.

È il momento di stringerci attorno ai lavoratori e agli imprenditori della nostra provincia che stanno affrontando con coraggio da leoni gli eventi catastrofici che ci flagellano. Dobbiamo prendere questi esempi con umiltà e perseveranza, lasciare da parte gli stupidi settarismi di maniera che si oppongono ancora alle poche possibilità di riuscita che ci restano e unirci nell’unico vero slogan necessario in questo momento: lavorare tutti assieme e impegnarsi tanto.