LA RESTITUZIONE IN QUALITÀ

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Qualifiche dell'autore: 
psicanalista, brainworker, presidente dell'Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

Questo numero prende spunto dal dibattito suscitato a Bologna e in altre città dalla pubblicazione del libro di Gianni Verga, Come avere cura della città (Spirali), e ne propone, tra gli altri, alcuni testi. Più che commenti al libro, sono testimonianze, proposte, programmi di protagonisti dell’impresa che è più implicata dalla città: amministratori, urbanisti, ingegneri, architetti, impresari, qui interpellati in uno statuto intellettuale, non professionale o di categoria. In particolare, amministratori e imprenditori di Milano, Bologna e Parma che, dopo le elezioni, si trovano a inventare nuovi modi d’organizzazione della città. Dopo anni d’ideologia, di cura contro la città: l’ideologia voleva gestire la città, imponendo criteri tanto più politicizzati quanto più mascherati da necessità tecniche o ambientali, con delimitazioni che separano il lavoro dall’abitare, l’impresa dalla vita. In una parola, voleva pianificare, in una logica della previsione e dell’appianamento, che impedisce l’invenzione e la novità, espungendo il commercio e l’impresa dalla città. 
Perché allora, si chiede Gianni Verga, “avere cura della città anziché progettare, pianificare, governare? Perché avere cura della città ha alcuni presupposti. Anzitutto, amare la città. Si ha cura di una cosa che si ama, alla quale si vuole bene, e questo significa anche viverla, sentirsi parte di essa, perché la si vuole condividere, ci si sente impegnati, si vuole contribuire a farla crescere, a migliorare”.
Quale cura dunque della città? In questo numero ciascuno si pone il problema della città come civitas e non come territorio, cioè del come vivere, come abitare, come fare, non del come pianificare, spazializzare, geometrizzare, cioè tracciare quei parametri che hanno inaridito la città e trasformato il centro storico in una sorta di zona mummificata e i quartieri residenziali attorno alla città in dormitori, talora di lusso, distanti dall’attività, dal fare, dalla comunicazione. La città spaziale, geometrica o algebrica, è senza la comunicazione, è tracciata dalla linea che sancisce il proibito e il permesso, l’interno e l’esterno, l’amico e il nemico. Dai tempi di Romolo, è la linea del fratricidio, dell’invidia, dell’occhio per occhio, che solo nella parabola della pagliuzza e della trave, di cui parla Verdiglione in questo numero, trova la sua dissipazione. 
La cura della città temporale, della città delle cose che si fanno non è occupazione, preoccupazione, gestione, controllo sulla città. La città non ha bisogno di guaritori, ma di chi valorizzi, porti a qualità le sue proprietà, le sue virtù. La cura non è la restituzione in pristino, perché la cura non è contro il tempo, ma è del tempo, non è contro l’Altro, ma è dell’Altro. Cura temporale, cura pragmatica. Se la città è temporale la cura è propria della città, il tempo, l’Altro, sono propri della città.
Solo con queste proprietà, la restituzione che la città impone a ciascuno è in qualità, in capitale, in cifra della vita.