HESPERIA HOSPITAL: TRENT’ANNI DI ECCELLENZA NELLA RICERCA E NELLA CURA

Qualifiche dell'autore: 
direttore generale di Hesperia Hospital, Modena

Trent’anni di Hesperia Hospital sono trent’anni di eccellenza nella ricerca e nella cura, soprattutto in cardiologia medico-chirurgica – ricordiamo che Hesperia Hospital è riconosciuto come “Centro di Cardiochirurgia Nazionale” migliore d’Italia da parte del ministero della Salute –, ortopedia e urologia. Per non parlare dei collegamenti e riconoscimenti internazionali: la Duke University americana ha inserito Hesperia fra i centri mondiali per la chirurgia dello scompenso “Stich” e il centro è risultato il secondo al mondo per numero di pazienti trattati e risultati ottenuti in questa patologia; da diversi anni Hesperia collabora con la Humboldt-Universität di Berlino a un progetto sulle valvole cardiache biologiche, con l’obiettivo di ridurre i problemi – di degenerazione o rigetto – derivanti dall’utilizzo di tessuti provenienti da altre specie animali; è sede Europea dell’Arizona Heart Institute & Foundation (Phoenix, Arizona, U.S.A.), con presenze mensili in Italia del Direttore, Edward Diethrich, e scambi costanti di professionisti fra il vostro e il loro centro. Ma occorrerebbero decine di pagine solo per elencare risultati, collaborazioni, certificazioni e riconoscimenti basati su primati raggiunti in tanti anni di attività…

Questi trent’anni non sono stati di successo fin dall’inizio. Come per ciascuna azienda, c’è stato il momento della nascita, quello della crescita e ora è arrivato il momento della maturità. Ma il progetto, che poi è stato portato avanti, c’era già quando siamo partiti: creare una struttura di eccellenza. Per definire cosa s’intendesse per eccellenza, ci siamo ispirati anche ai prodotti più conosciuti del nostro territorio, esportati in tutto il mondo. Noi non avevamo nulla da esportare, ma da importare, per diventare un centro di richiamo per il settore sanitario a livello nazionale, quando gli italiani cercavano le novità in altri paesi. Per questo abbiamo avviato un’indagine per capire come le attività di eccellenza e di richiamo fossero organizzate all’estero, in particolare negli Stati Uniti, che sono sempre stati trainanti, e capire le differenze fra le due realtà. Fin da subito, abbiamo dovuto constatare che, mentre negli Stati Uniti la sanità era recepita come servizio, in Italia si parlava, e si continua a parlare, di assistenza (magari prestata dalle opere pie, dall’Opus Dei, dalle suore) come una concessione e non un servizio con il quale si potesse fare business. Negli Stati Uniti invece, fin dal 1985, l’Hospital Corporation of America, dove mi sono recato personalmente, gestiva ottocentomila posti letto nel mondo ed era quotata in borsa.

All’epoca, quindi, gli italiani andavano all’estero per farsi operare al cuore e noi, portando gli specialisti in Italia, abbiamo fatto in modo che questo non avvenisse più. Inoltre, abbiamo verificato che in Italia c’erano specialisti di altissimo livello e li abbiamo messi in condizione di lavorare. Ma non si è trattato di eventi occasionali e sporadici, è stato un processo di programmazione, sviluppo e organizzazione delle attività. Sono trent’anni di un viaggio straordinario, il primo dei quali dedicato a studiare gli obiettivi della struttura, a elaborare la filosofia dell’azienda e a dare l’impostazione della mission che abbiamo portato avanti negli anni, e ora possiamo confermare che il successo c’è stato.

Siamo partiti come Nuova Casa di Cura Villa Laura, una struttura a conduzione familiare che poi è diventata hospital, ha cambiato nome e filosofia ed ha acquisito un approccio manageriale. I soci con cui ho fondato l’ospedale erano petrolieri, per cui sapevano perfettamente che cosa fossero il business, il budget, il rendiconto e la qualità. Dal primo studio che abbiamo condotto per definire il nostro prodotto, è emersa la sua peculiarità: è un prodotto che chi ne ha bisogno non sa di averne necessità. Chi vuole acquistare un’auto ha già un’idea del colore, della potenza e degli optional che preferisce, ma chi deve risolvere un problema di salute non sa cosa gli serva e il suo problema deve essere capito da altri. La nostra filosofia verso i clienti che si rivolgono a noi per un problema, allora, doveva essere quella di offrire loro tutto ciò che esisteva nel settore, sia le procedure più tradizionali con tecnologie evolute, sia le procedure più innovative. Grande importanza è stata attribuita alla formazione culturale dei professionisti, abituati alle vecchie case di cura, che spesso si limitavano al ruolo di “affittacamere”, poiché offrivano stanze, sala operatoria e attrezzature, demandando al professionista la risoluzione di tutti i problemi con il paziente. Noi abbiamo iniziato a offrire servizi nel vero senso della parola. Per esempio, per una delle professionalità critiche come quella di anestesia e rianimazione, fin da subito, abbiamo dotato la struttura di collaboratori fissi, anziché avvalerci di specialisti che intervenivano all’occorrenza per un’operazione. E questo ha rappresentato una grande garanzia non solo di continuità, ma anche di qualità, perché, come diceva il compianto socio e amico Beppe Calori, per vincere occorre fare qualità. Per noi la qualità si riscontra innanzitutto nella completezza dei servizi e nei risultati che riusciamo a offrire con efficacia ed efficienza, confrontandoci sempre con le migliori esperienze a livello internazionale e coinvolgendo specialisti di altri paesi, attraverso uno scambio costante.

Non mancano però neppure le collaborazioni con le università italiane…

Infatti, la struttura ha al suo attivo collaborazioni, convenzioni e partnership con enti e istituzioni pubbliche e private sia per fini formativi/educativi che di ricerca tecnico-scientifica, fra cui la convenzione con Alma Mater Studiorum, Università degli Studi di Bologna, Scuola di Specializzazione di Cardiochirurgia dell’Università degli Studi di Bologna dal 1993; la convenzione con l’Università degli Studi di Ferrara, Cattedra di Chirurgia Vascolare dell’Università degli Studi di Ferrara; la convenzione con l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Dipartimento Integrato di Emergenza-Urgenza, Scuola di Specializzazione in Cardiologia, per esigenze didattiche integrative, per la Scuola diretta ai fini speciali per Tecnici di Fisiopatologia Cardiocircolatoria; la convenzione con il Dipartimento di Scienze Igienistiche Microbiologiche e Biostatistiche dell’Università degli Studi di Modena e Reggio-Emilia, avente per oggetto prestazioni di consulenza in materia di Medicina dello Sport.

Inoltre, stiamo partecipando al Progetto Mattone Outcome BPAC3 (metodi di risk-adjustment per la valutazione degli esisti a breve termine di interventi di by-pass aorto-coronarico (tuttora in corso) che è una delle quattro sperimentazioni del Progetto del Ministero della Salute “Mattoni del SSN-Misura Outcome”. Non è un caso: nel 2004, infatti, il ministero della Salute – all’epoca guidato da Girolamo Sirchia – ha avuto la volontà e il coraggio di pubblicare i dati dei centri di cardiochirurgia in Italia e la nostra struttura è risultata fra le migliori del paese.

Dicevamo che negli Stati Uniti la sanità è un business, mentre in Italia c’è un pregiudizio, che forse è quello che spesso grava in generale sull’impresa e sul profitto?

Se il profitto per la sinistra hegeliana era un furto, oggi per la maggior parte delle attività imprenditoriali nessuno più lo contesta, ma nella sanità può resistere ancora il pregiudizio che l’impresa privata lucri sui disagi delle persone. Niente di più lontano dalla realtà: si fornisce un servizio a tutti gli effetti e, se il servizio viene offerto nelle migliori condizioni e senza sprechi, si ottengono risultati eccellenti. Il confronto con la sanità pubblica nel nostro paese è improponibile: il rimborso delle prestazioni per gli ospedali privati avviene per tipologia di prestazioni, viene rimborsato il servizio in sé, la prestazione, senza tenere conto degli investimenti, della formazione, della manutenzione e delle tasse, mentre il servizio pubblico per ciascuna di queste voci gode di un finanziamento dedicato, non sono remunerate le prestazioni e non c’è alcuna imposizione fiscale. Per di più, a fronte di tale concorrenza sleale, l’ospedale privato non può nemmeno modificare l’offerta come farebbe un’impresa qualsiasi: per un prodotto alimentare, per esempio, il cliente può passare da una tipologia a un’altra, cercare il prezzo più basso, mentre nel servizio sanitario il cliente ha esigenze specifiche e inderogabili, se ha un problema al cuore non può essere operato al piede per mancanza di fondi.

L’itinerario di Hesperia ha dato un contributo importante anche alla cultura della sanità: oltre che costituirsi come riferimento per l’alta formazione di specialisti che s’incontrano ciascun mese e a volte ciascuna settimana, per discutere sui problemi più complessi e sulle nuove tecnologie, ha istituito il premio Hesperia d’Oro, che è stato l’occasione per invitare scienziati come Rita Levi Montalcini, Umberto Veronesi, Mario Coppo e altri “medici e ricercatori che hanno svolto la loro attività con umano impegno e alta professionalità, mirando al continuo miglioramento della qualità della vita”, ai quali è stato assegnato…

Abbiamo lavorato anche per la comunicazione, abbiamo ottenuto il riconoscimento di Harvard per pubblicare in Italia la loro rivista, la “Harvard Health Letter”, inserendo anche nostri articoli che ormai non dobbiamo neppure inviare per richiedere l’autorizzazione, come avveniva all’inizio, tale è la stima nei confronti della nostra competenza.

La comunicazione nell’impresa e dell’impresa, che è anche cultura d’impresa, c’è sempre stata. All’inizio dell’attività tracciavo diagrammi a mano su una lavagna luminosa, per introdurre il flow chart e l’organigramma funzionale. Nel 2012 ho calcolato che i cinquantamila contatti di Hesperia sono stati mediamente di 47 secondi: 47 secondi in cui si è cercato di trasmettere l’eccellenza della struttura e in cui l’interlocutore si è fatto un’immagine di Hesperia. Se chi risponde al pubblico è informato dell’attività nella sua globalità e partecipa alla vita dell’impresa, riesce a dare un contributo di immagine molto maggiore. Ho sempre pensato che non si possa dirigere stando seduti in una stanza, occorre visitare i vari reparti dell’impresa, parlando con le persone. Anche in un meeting lo scambio di informazioni più importante avviene forse nei momenti conviviali, a cena, quando ci si siede vicini e si discutono le questioni con ciascuno, anziché davanti a un pubblico allargato. È importante poi che la comunicazione sia anche formativa, non solo informativa, soprattutto quando si parla con i collaboratori.

In questo approccio alla comunicazione, quanto conta la sua formazione?

Il risultato di ciascuno di noi è dato dall’insieme di tanti fattori. È una fortuna essere simultaneamente ottimi tecnici e ottimi comunicatori. La mia tesi di laurea era sulla scienza della comunicazione e sui teoremi di Shannon.

Oggi la comunicazione è trasferita anche ai modelli matematici dei neuroni e degli embrioni. Ho conseguito la maturità al liceo classico San Nilo di Rossano, la laurea in fisica, con indirizzo applicativo a orientamento nucleare e cibernetico, all’Università di Napoli, dove ho frequentato la scuola di perfezionamento in biocibernetica; subito dopo la laurea ho conseguito l’abilitazione all’insegnamento di Fisica ed elettrotecnica nelle scuole superiori; poi ho ricevuto un incarico universitario di tecnico laureato presso l’Università di Perugia, facoltà di Medicina e chirurgia, dove sono diventato ordinario di Fisica.

Prima di costituire l’Hesperia Hospital, che oggi fa parte del Gruppo Garofalo, lei ha ricoperto diversi incarichi come presidente di varie società, a partire dal 1969. Come mai ha scelto di svolgere la sua attività nel settore della medicina?

La mia storia nella medicina incomincia proprio quando, come professore di Fisica, tenevo le mie lezioni a studenti delle Facoltà di Medicina e di Scienze dell’Università di Perugia. Dal 1973, ho lavorato a fianco dei medici, essendo fra i primi, se non il primo, in Italia a utilizzare il sistema computerizzato per il quale ho elaborato il modello matematico per la dosimetria nella radioterapia. Quella esperienza mi è servita a conoscere l’organizzazione sanitaria e a pensare un modello organizzativo che si è rivelato molto valido quando ho costituito Hesperia.

Percorrendo i titoli dei suoi lavori scientifici e pubblicazioni, comunque, s’intuisce che l’interesse per la medicina è anche anteriore: Modello matematico dell’embrione (Perugia, 1970), Report sull’automazione sanitaria (Perugia, 1973), Modello matematico e programma in Fortran IV per la dosimetria nei piani di trattamento in radioterapia interstiziale ed endocavitale (Perugia, 1973)…

Ancora prima, nel 1969, ero presidente del CdA dell’I.DI.M. (Istituto Diagnostico Meridionale), ma, dopo aver inventato il modello matematico per il dosaggio della radioterapia, avevo chiesto all’Università di acquistare un computer. Poiché l’Università aveva demandato l’impegno all’ospedale, che a sua volta non era riuscito a comprare una macchina, nel 1978 fondai il C.E.S.CO.T. (Centro Elettronico Servizi e Concessione Terminali) per offrire i servizi di cui c’era bisogno.

Il suo patrimonio intellettuale è stato messo al servizio dell’impresa, intervenendo dove occorreva apportare un miglioramento…

È importante fare scommettendo in ciò che si fa, con passione, ma non bisogna mai improvvisarsi. Nelle cose nuove c’è il rischio d’improvvisarsi, invece occorre approfondire per formare le basi su cui lavorare: la ricerca e l’impresa non possono mai prescindere l’una dall’altra.

Questo è l’emblema del secondo rinascimento. Come nelle botteghe il maestro faceva ricerca e produceva, così occorre che lavori oggi l’imprenditore.