IL LETTORE DELL’IMPRESA

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Brainworker, scienziato della parola, presidente dell’Istituto culturale “Centro Industria”

La narrazione e il racconto sono costitutivi del viaggio. Anche la ricerca è presa nella narrazione, anche il fare. Ciascuno ha la chance di trovarsi in un viaggio narrativo che non gli è proprio. Il conto, il calcolo e il racconto appartengono alla narrazione, con cui il viaggio man mano si scrive. Non a caso Giambattista Basile (1575-1632) intitola la sua raccolta di cinquanta fiabe Lo cunto de li cunti, il racconto dei racconti. Il racconto ha a che fare con il conto. Ciascuno raccontando conta, conta rispetto al progetto e al programma. Nella scrittura di Serge Gavronsky risalta il modo del racconto e ciascuno dei protagonisti è convocato a una testimonianza che, nell’atto in cui viene enunciata, diviene non propria. Nei suoi romanzi, come nell’esperienza della parola originaria, non è il soggetto a parlare, non c’è soggetto nella parola. Pertanto, il racconto non è mai personale, racconta di ciò che non sappiamo del progetto, per questo non è il racconto del fatto, come crede il discorso giudiziario, e neppure il rendiconto del conto, come crede il fiscalismo. Il racconto non è di qualcosa che è già dato, avvenuto, finito. Anche Gavronsky testimonia come il racconto sia dell’avvenire e del divenire.

La città, l’impresa, l’industria sorgono lungo il racconto. Lo scrittore e l’imprenditore, attraverso la tessitura del racconto, si costituiscono facendo. Il racconto non ha nulla a che fare con il ricordo e si avvale dei dispositivi del ritmo. Facendo, il ritmo. Non viceversa. La scrittura interviene quando s’instaura il dispositivo del ritmo. Quintiliano traduceva il greco rythmòs con il latino dispositio. Come lo scrittore, ciascun imprenditore ha bisogno di una tensione linguistica costante, senza cedimenti, ha bisogno del dispositivo del ritmo, del dispositivo di forza. Perché ci sia dispositivo occorre il tempo. Ma il tempo non è cronologico, proprio come nei romanzi di Gavronsky, è il tempo della parola, il tempo della scrittura, con il suo ritmo e i suoi dispositivi narrativi. Ciascuno può riuscire soltanto se s’instaurano i dispositivi di parola, se s’instaura il ritmo, che si nutre d’infinito. E il dispositivo s’instaura dicendo e facendo. Ingenium industria alitur: l’ingegno si nutre dell’industria e sta dove le cose, dicendosi, si fanno. L’industria, già con Machiavelli, è industria della parola, è la struttura materiale, ovvero originaria, delle cose nella parola, è la struttura dove il tempo non finisce, fra cammino artistico e percorso culturale. A ciascuno la sua industria, attraverso il fare – per la cui via ciascuno ha la chance di giungere alla cifra – e con i dispositivi della riuscita.

Nell’impresa occorre instaurare i dispositivi di parola, che dissipano le credenze, dispositivi tali da risultare narrativi, pragmatici, amministrativi, di comunicazione. Sono i dispositivi della fabula, che impediscono personalismi e conformismi, dispositivi non standard. In questo senso l’itinerario di ciascuno e il viaggio dell’impresa sono intellettuali, perché si avvalgono del dispositivo intellettuale in cui ciascuno è convocato a intervenire con il suo apporto, in un dispositivo narrativo, non nella soggettività.

Non c’è dispositivo narrativo senza l’ascolto. Compito del brainworker è instaurare l’ascolto, indispensabile perché i prodotti dell’azienda siano valorizzati e il viaggio dell’impresa giunga al valore assoluto, alla cifra. Viaggio da cui sono imprescindibili l’arte e l’invenzione, aspetti dell’industria, tutt’altro che la creatività o la fantasia, che alcuni economisti seguaci del luogo comune vorrebbero inserire nel PIL. Con il brainworking, occorre verificare i dispositivi commerciali, i dispositivi di forza, i dispositivi di direzione, i dispositivi finanziari, i dispositivi di vendita in ciascuna impresa. Soltanto i dispositivi intellettuali possono indicare se un’impresa avrà un avvenire. E ciò comporta che ciascuno non sia soggetto, non si trovi nella soggettività ma divenga dispositivo di qualità.

Serge Gavronsky nota come il lettore inventi lo scrittore nell’atto di lettura. Non c’è identità, perché chi legge sta scrivendo un altro libro. Lungo il suggerimento di Gavronsky, potremmo dire che il brainworker, in quanto lettore dell’impresa, inventa l’imprenditore, offre un apporto alla scrittura dell’impresa fino alla sua cifra, la cifra del suo viaggio. Il lettore si avvale della traduzione, della trasmissione e della trasposizione, per una lettura poetica, pragmatica, senza realismo e senza sostanzialismo, che non serve a ristrutturare l’impresa presunta malata, ma ne restituisce la cifra, la qualità. Con la lettura, la cifratura è in atto, nel contingente. Questione del valore intellettuale dell’impresa. Questo il capitale intellettuale, che non ha nulla a che fare con il capitale umano e costituisce il valore assoluto nell’esperienza dell’impresa. Con l’apporto del brainworker in quanto lettore, la scrittura dell’impresa, la scrittura pragmatica, giunge alla punta del suo compimento, alla lettura. Con la lettura, l’edizione, quindi la riuscita.

**Il testo di Caterina Giannelli è tratto dal suo intervento al dibattito dal titolo Parigi, New York, Bologna. Gavronsky e la scrittura del pianeta, intorno ai libri di Serge Gavronsky editi da Spirali (Libreria Il secondo rinascimento, Bologna, 17 luglio 2013).