I DISPOSITIVI DELLA RIUSCITA NEL GRUPPO LAMEPLAST

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presidente di Lameplast Group

Il titolo di questo numero della nostra rivista, I dispositivi della riuscita, potrebbe divenire il titolo di un libro dedicato al Gruppo Lameplast: in una precedente intervista (“La città del secondo rinascimento”, n. 46), lei sottolineava proprio il contributo delle “persone che qualificano il Gruppo grazie alla loro capacità, competenza e spirito costruttivo, non solo singolarmente, ma anche in quanto parte di un team che funziona in modo meraviglioso”. In che modo l’imprenditore organizza i dispositivi di riuscita?

L’organizzazione è la base di qualsiasi realtà economica, dal piccolo laboratorio artigiano alla grande industria, ma non c’è organizzazione senza programma: per raggiungere un risultato occorre stabilire tempi e modi, e attenervisi senza sconti e giustificazioni. Se mi accade spesso di lodare il team di persone che collaborano con il nostro progetto d’impresa è perché riscontro in loro un grande entusiasmo e un grande investimento in termini d’impegno nella riuscita delle attività in programma e di scommessa nell’invenzione che ci consente di andare sempre oltre e di anticipare ciò che poi il mercato richiederà.

Non è un caso che questo si verifichi dal 1976, anno di costituzione della prima società del Gruppo da parte di tre soci, fino all’attuale dimensione che conta 280 collaboratori: se il capitano, come il principe di cui parla Machiavelli, non si permette nulla, non crede di poter fare ciò che vuole e si attiene al programma in modo assoluto, trova chi lo segue nel suo viaggio…

Ciascuna meta raggiunta dal nostro Gruppo ha richiesto grandi investimenti, sforzi e sacrifici per arrivare al traguardo nei tempi concordati, ma ha portato anche grandi soddisfazioni per ciascuno e una crescita costante, nonostante la crisi e il terremoto. È la prova che la riuscita dipende dal programma dell’azienda e dall’impegno a seguirlo, indipendentemente dai problemi più o meno gravi che si presentano lungo il cammino. Non esiste un giorno senza problemi, ma la riuscita dipende dal modo in cui vengono affrontati: chi si abbatte, chi si abbandona, anziché ingegnarsi, è votato al fallimento in partenza. Sembrano frasi scontate, ma non lo sono affatto: senza un dispositivo di riuscita, dove s’ingaggia una gara in emulazione, per trovare la risposta migliore a un problema, le persone rischiano di girare in tondo e a vuoto. Prendiamo l’esempio della pubblica amministrazione: perché i tempi di risposta da parte dei responsabili degli uffici pubblici troppo spesso nel nostro paese diventano biblici? Prima di tutto perché nel loro lavoro non c’è un traguardo da raggiungere, quindi una scadenza da rispettare (proprio mentre, paradossalmente, il cittadino che si rivolge a loro rischia spesso sanzioni e penali se non presenta la documentazione in questione nei tempi previsti dalla legge). Poi perché le decisioni sono delegate a diverse persone che il cittadino non può incontrare direttamente e gli impiegati di sportello si limitano a riferire o, al massimo, a esprimere la loro volontà di sollecitare il disbrigo della pratica. Ora, se c’è un elemento indispensabile al dispositivo di riuscita è proprio la decisione del capitano: nulla riesce se il capitano è indeciso o titubante, figuriamoci se è latitante, anziché indicare ipotesi di direzione alla squadra in campo. Ecco perché in Italia non c’è niente che funzioni nei tempi e nei modi opportuni e stabiliti. 

L’anno scorso il vostro Gruppo ha dato prova di una battaglia vinta in condizioni estreme: a tre settimane dal terremoto, siete stati in grado di assicurare le forniture ai vostri clienti di tutto il mondo che, nonostante la solidarietà espressa, difficilmente avrebbero aspettato oltre…

Chi vuole essere seguito deve prima di tutto vincere le proprie paure e andare oltre i propri dubbi di non riuscire, soprattutto quando le avversità sono veramente tante, come nel nostro caso: le scosse sono state così forti da mettere in pericolo il lavoro dei trentasei anni precedenti e, in un primo momento, anche la nostra fiducia nell’avvenire. Ma, dopo appena due giorni, i nostri collaboratori hanno reagito con la prontezza che distingue le persone della Bassa, mettendosi a disposizione della proprietà per ogni decisione intrapresa. Una scelta che ha ripagato e ha permesso al gruppo di ripartire e di garantire ai clienti le forniture già ordinate. A un anno di distanza, gli stessi collaboratori hanno voluto produrre un video (pubblicato sul nostro sito www.lameplastgroup.com) per riflettere e ricordare quanto è accaduto e quanto è stato importante il lavoro di squadra, a maggior ragione nell’emergenza.

Quindi possiamo dire che, ancora una volta, la decisione del capitano di portare a compimento il programma dell’impresa ha comportato la riuscita anche in condizioni che sembravano impossibili: non dimentichiamo che per tutta l’estate avete lavorato nei container allestiti negli spazi adiacenti ai capannoni in ristrutturazione…

Sì, in simili contesti, il capitano non può e non deve assolutamente concedersi la minima espressione di cedimento, ne va della lucidità propria e dei propri collaboratori. L’unico momento in cui mi sono commosso è stato il giorno in cui abbiamo ripreso la produzione nei tempi che avevamo stabilito, ma non era il caso di allentare l’altissima tensione dei giorni precedenti, che avrebbe dovuto accompagnarci ancora per qualche settimana fino alla ripresa dell’attività nella sua globalità: perciò ho preferito restare da solo in una stanza per pochi minuti prima che mi sfuggisse qualche lacrima.

Come accade spesso, Lameplast è emblema di qualità e sarà di grande interesse ascoltare la sua testimonianza al convegno Restituire l’Emilia in qualità, che si terrà il 25 ottobre prossimo, con i protagonisti della ricostruzione post-terremoto…

Nel nostro caso non possiamo lamentarci: abbiamo avuto la massima collaborazione da parte delle istituzioni locali, che hanno risposto prontamente a tutte le nostre richieste. Certo rimane tanto ancora da fare, non tutte le amministrazioni delle aree terremotate hanno avuto la stessa efficacia nell’accelerare i tempi della burocrazia, anche se, come dicevamo, non dipende tanto dalla volontà dei singoli quanto dall’assenza di organizzazione efficace nella macchina pubblica.

Un amministratore pubblico di un paese colpito dal terremoto ha tenuto a precisare che “è meglio fare bene, piuttosto che fare presto”, come se la velocità andasse a scapito della qualità. Ancora una volta, chi non si trova nel rischio d’impresa parla per luoghi comuni e pregiudizi. Ma come si può trasmettere l’approccio pragmatico a chi deve collaborare con l’imprenditore?

L’approccio pragmatico si acquisisce con gli anni, attraverso le esperienze, lungo il percorso, anche attraverso gli errori che ti permettono di migliorare sempre di più e d’inventare cose che non avresti mai pensato d’inventare all’inizio del percorso, proprio come Cristoforo Colombo che parte per le Indie e trova una nuova terra.

L’approccio imprenditoriale non è innato. Può esserci una differenza tra chi vorrebbe un lavoro tranquillo, dove può evitare i problemi, e chi invece va a caccia di sfide. Tuttavia, non è detto che questa differenza emerga all’inizio. Io, per esempio, sono partito da zero, facendo il mio tirocinio come tutti, poi ho incominciato a capire che fare le cose in modo diverso ti permette di crescere, allora ho avviato un’esperienza imprenditoriale con uno spirito che mantengo ancora oggi: fare solo cose che gli altri non fanno. Adesso, tra parentesi, stiamo creando una nuova struttura per il riempimento dei flaconcini per la nicotina e le essenze per le sigarette elettroniche, e anche in questo caso faremo qualcosa di diverso dagli altri.

Certo, non è facile che l’approccio pragmatico s’instauri nelle realtà in cui non c’è il rischio d’impresa, negli ambienti in cui la responsabilità è frammentata al punto da non riuscire più a capire chi possa divenire interlocutore.

Non è così nei paesi in cui vige la meritocrazia e ciascuno rischia il posto di lavoro, se non dà prova di efficacia nei compiti che svolge. In Italia, il peso della politica è tale che risulta inconcepibile mettere in discussione l’operato di funzionari e impiegati pubblici. In America, invece, anche dove le capacità individuali delle persone sono inferiori, l’organizzazione è talmente efficace che il risultato finale è sempre migliore del nostro. Questo deve capire la pubblica amministrazione, che solo attraverso un’organizzazione funzionante si può migliorare. Magari ci sarà bisogno di assumere consulenti che abbiano esperienza d’impresa, che sanno cosa vuol dire programmare e compiere sacrifici per raggiungere i risultati attesi, ma se non c’è una svolta in questa direzione, se si continuano ad assumere persone senza esperienza e competenza, solo per favorire il clientelismo o perché appartengono a una corrente politica piuttosto che a un’altra, il risultato è quello che abbiamo oggi: lo sfacelo dell’Italia. E, come ho dichiarato alla Pharmintech, se c’è un piano organizzato a tavolino per la distruzione dell’Italia, sta funzionando alla perfezione: peggio di così non può andare. E se chiediamo ai cittadini quali sono le cause dei principali problemi del paese, tutti sono in grado di dare una risposta, tranne i politici, che ogni giorno ci raccontano le stesse cose.