LA PARTITA SECONDO L’OCCORRENZA

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Qualifiche dell'autore: 
psicanalista, cifrematico, presidente dell’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

Quando finirà questa crisi? Alla fine del 2014? A metà del 2015? Intravediamo uno spiraglio? Ci sono i colpi di coda? Come ne usciremo? Abbandonando l’euro? Con questo governo? Con le elezioni? Tra euforie e disforie, tra visioni e previsioni, queste domande popolano il luogo comune dei mass media, che presentano la trasformazione planetaria in corso in termini di polemiche e di pacificazioni, di scontri e di compromessi, di fratture e di ricomposizioni. Chi vincerà? Quale schieramento prevarrà? La partita che viene rappresentata è sempre tra due: falchi o colombe, destra o sinistra, economia o finanza, liberalismo o statalismo. Una partita in cui, idealmente, c’è chi vince e c’è chi perde, come nella lotta di puro prestigio, che deciderà chi è servo e chi è padrone, secondo Hegel. Per Hegel la partita è una lotta tra due, che ha come terzo, come Altro, il signore assoluto che la governa: la morte.

La partita a due, la partita dell’uno contro uno toglie di mezzo il terzo, l’Altro insituabile, e lo rappresenta in un altro, nemico, ostile, pericoloso. Partita dialettica, conflittuale, scontro tra il bene e il male. Il dialogo non dissipa questa conflittualità, la costituisce, come dimostra Platone, per il quale il dialogo è una partita senza gioco e senza storia: si sa già come va a finire, anzi, si sa già che va a finire, se l’interrogazione fonda la risposta. Vince sempre il bene. Con l’interrogazione chiusa, non c’è partita. 

Eppure, idealmente negata dalla spettacolarizzazione della crisi, una partita straordinaria si scrive nel pianeta. La partita della parola, la partita che procede dall’apertura, dal due originario, ma non è tra due, né è partita doppia, cioè non serve al principio della ragione sufficiente, secondo cui nulla accade senza che sia possibile spiegare, da chi conoscerebbe sufficientemente le cose, perché sia così e non altrimenti. 

Ma chi conosce in maniera sufficiente le cose? Chi conosce le cose? Perché dovrebbero essere così e non altrimenti? La vittoria che proceda dall’apertura e non dall’esclusione, cioè dalla presunta sconfitta dell’Altro, non è la conferma del punto di partenza, del postulato da dimostrare, del principio di non contraddizione. Il pianeta è nella parola, non è un reality show in cui la vittoria procede per eliminazione, per cui occorrerebbe stare dalla parte giusta, o scegliere il cavallo vincente. La partita della parola, che non è il partito della parola, trae alla vittoria mai definitiva, perché la battaglia non è contro qualcuno, è senza nemico. La vittoria non si oppone a che qualcosa sia in perdita (non perduta), e questa perdita è ineliminabile dalla parola, non consente di economizzare e di finalizzare lo sforzo. Questa vittoria è una proprietà della partita, risponde a un’esigenza della battaglia senza alternativa, senza polarità. Così la conclusione, la riuscita pragmatica. In questa partita non governata dall’idea di morte, fare è bello, perché riesce, perché si conclude, perché si scrive. Secondo l’occorrenza, in direzione della qualità. 

Le cose si concludono perché la partita non si chiude, non espunge l’Altro, il tempo, la divisione. La divisione è espunta se è divisione dell’uno in due, se è tra due: se la divisione è tra due, è spartizione, uno è fatto fuori, è out. Abele, Remo: il fratricidio postula l’abolizione della divisione a vantaggio della spartizione, che è la fine della partizione, della partita. La partita poggia sulla divisione pragmatica, sul tempo come taglio. Il pragma, il fare, la poesia. Dicendo, facendo, nessuna facoltà di taglio, nessun controllo sul tempo, nessuna esclusione del terzo. Facendo, nessuno toglie nulla all’Altro, facendo s’instaura l’Altro tempo, la politica del tempo: il tempo non interviene senza la funzione di Altro, che dunque risulta indispensabile per l’industria, per la città, per il pianeta. 

Il rinascimento della parola e la sua industria sono la base di un pianeta che non abbia bisogno di cercare la linea di frattura, di sostituire l’Altro tempo con la linea di frattura fra due cose, democrazia e tirannia, occidente e islam, oppure fra tutti i paesi “occidentali” e la Cina o fra paesi ricchi e paesi poveri. Scontro di civiltà? Rispetto della diversità? La frattura si produce se vengono cercate la ricomposizione o la diversificazione. Nessun bisogno di ricomposizione, come sottolineano gli interventi al convegno Restituire l’Emilia in qualità qui pubblicati, nessun bisogno di diversificarsi, come provava il convegno Le donne del XXI secolo, di cui riportiamo alcuni contributi.

La partita planetaria è senza finale, cioè non esclude l’Altro a vantaggio dell’uno. Partita della differenza (oltre la diversità) e della varietà (oltre la variabilità) instaurate dall’Altro tempo, dunque partita sessuale, politica, diplomatica. Partita in cui ciascuno ignora le proprie forze, in cui l’intervento è secondo l’occorrenza, non secondo la soggettività. Partita decisiva, partita della vita, partita della parola. Il fare è nella parola: questa la poesia. Il pianeta è della parola, salvo essere condannato a ogni genere di sostanze e schiacciato dal peso delle mentalità, costretto a finire non a causa dell’esaurimento (termine psichiatrico) delle risorse, ma del venir meno dell’industria, della scienza, dell’intelligenza. La partita sessuale è la partita intellettuale, partita senza fine, partita dell’instaurazione dell’infinito, in direzione del valore. Come enuncia in questo numero Fernando Arrabal: “Dalle catacombe in cui viene relegata, la poesia ha cambiato e sta cambiando il mondo”. Chi, facendo, si attiene all’occorrenza non ha alternativa alla riuscita.