CHI MINACCIA LA SALUTE DEI BAMBINI?

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medico, psicanalista, poeta

Sempre più spesso in Italia vengono etichettati con la sigla ADHD o DDAI (Disturbo da deficit di attenzione e iperattività) i bambini che nelle scuole, negli asili e in altre istituzioni vengono giudicati distratti o irrequieti. Cosa pensa di questo tipo di diagnosi?

Il “deficit di attenzione e iperattività” è una definizione generica che serve agli psichiatri perché, siccome non vuol dire nulla, possono farci rientrare quello che vogliono. È chiaro che un bambino è più o meno attento, a seconda degli interessi che vengono destati in lui. Può essere definito irrequieto, ma irrequieto non vuol dir nulla: i bambini devono essere in movimento, devono essere vivaci, devono essere anche disattenti perché devono crescere, devono pensare, devono essere se stessi. I bambini non sono a disposizione degli altri e della disciplina, sarebbe un’assurdità. Per trovare qualche riferimento culturale, basta pensare a un capolavoro della letteratura per l’infanzia come Pinocchio, dove il protagonista preferisce andare in giro a divertirsi, anziché andare a scuola per imparare a leggere. Un bambino ha bisogno della propria libertà e della propria creatività. Oppure consideriamo Gian Burrasca, un altro capolavoro della letteratura fiorentina: Gian Burrasca si ribella agli adulti perché gli adulti vogliono incastrarlo, mentre lui vuole essere libero. Per non parlare di altre opere straordinarie, come Alice nel Paese delle Meraviglie, dove si dimostra che la fantasia, fortunatamente, per i bambini è l’attività principale: i bambini hanno bisogno di fantasticare e di andare con il pensiero dove desiderano.

Gli psichiatri non sembrano imparare molto dagli scrittori...

Per quanto riguarda le iniziative degli psichiatri e degli psicologi, posso raccontare la vicenda di un ragazzo di Los Angeles, che mi hanno raccontato quando sono andato in quella città a ritirare il premio Thomas Szasz. Questo ragazzo di dodici anni andava a scuola e, a un certo punto, i suoi genitori sono stati avvertiti che lo psicologo della scuola aveva qualche problema; molto spesso gli psicologi hanno problemi. I genitori sono andati a parlare con l’insegnante e lo psicologo, i quali dicevano che il bambino non era abbastanza attento e non era disciplinato. I genitori hanno risposto che non era un problema: era giusto che il bambino fosse vivace e che poteva essere attento quando le cose gli interessavano e disciplinato quando lo riteneva interessante. Ma le autorità scolastiche hanno proposto che al bambino venissero somministrati farmaci neurotropici, che sono pericolosi, perché sono anfetamine o sostanze simili. I genitori hanno rifiutato il trattamento, ma gli insegnanti li hanno minacciati di espellere il bambino dalla scuola. Poiché non erano ricchi, non potevano permettere che il bambino fosse espulso dalla scuola, non avevano i mezzi per affrontare questo cambiamento. Allora, si sentirono costretti ad accettare il trattamento con stimolanti e altre sostanze neurotropiche, che portarono il bambino alla morte.

Ci risulta che anche in Italia, sempre più, se fanno resistenze ad accettare le certificazioni dei cosiddetti disturbi e ai conseguenti trattamenti, i genitori vengono colpevolizzati e talvolta anche ricattati di togliere la patria potestà…

Ho parlato di Los Angeles perché, avendo avuto la fortuna di avervi trascorso un periodo di soggiorno con Thomas Szasz, ho conosciuto diversi importanti pediatri che si oppongono a queste violenze.

Potrei raccontarne altre, ma questa è già una storia emblematica: nei casi fortunati in cui i genitori non sono d’accordo, vengono scavalcati o ricattati, con il pericolo di morte per il bambino, perché somministrare sostanze che influiscono sul sistema nervoso centrale e periferico è più pericoloso per i bambini che per gli adulti. E non si tratta di un incidente casuale, ma rientra nel quadro generale della psichiatria.