LA DISSIDENZA DELL’IMPRESA

Immagine: 
Qualifiche dell'autore: 
presidente di Sefa Holding Group S.p.A., Bologna

Sefa Holding Group, in quarant’anni di attività del suo fondatore, ha instaurato importanti partnership con diverse società internazionali nei settori della produzione e della distribuzione dell’acciaio da costruzione e da utensili, del commercio e delle leghe di titanio e delle lavorazioni meccaniche su disegno, divenendo uno fra i gruppi industriali di riferimento in Italia al servizio dei distretti manifatturieri per la crescita economica del paese. Quali sono gli scenari che si profilano per il manifatturiero in Italia?

Un paese che non produce non ha futuro, per questo è importante che si attuino al più presto strategie per rilanciare il nostro made in Italy nei diversi settori del comparto produttivo. L’Italia è nota all’estero, per esempio, anche per la qualità della materia prima alimentare. Tuttavia, l’intera filiera di alcuni prodotti di eccellenza è praticamente in mano all’esperienza di manodopera straniera, persone che formano i propri figli in Italia e, appena possono, ritornano nel paese d’origine per avviare un’attività, mentre nel nostro paese non sarebbero favoriti dal peso della burocrazia e della fiscalità. Questa filiera oggi conta quindicimila persone solo nella Bassa; eppure molte stalle sono chiuse e materie prime come il latte, per esempio, arrivano prevalentemente da altri paesi, mentre la nostra agricoltura non ha alcun margine a causa del costo del lavoro che supera il 70 per cento. Il nostro è un paese che assiste al depauperamento delle sue risorse nel momento in cui costringe all’esilio i suoi cittadini più produttivi. Chi resta qui, con queste condizioni, non può che essere dissidente.

Nel nostro caso, continuiamo a investire qui perché abbiamo costruito importanti partnership con gruppi industriali internazionali per il centro nord, offrendo un servizio su misura di eccellenza anche grazie alla conoscenza dettagliata della materia prima che trattiamo e dei distretti in cui operiamo. Inoltre, abbiamo costituito un cluster aeronautico emiliano romagnolo, IR4I – Innovation Researh For Industry – che oggi conta quasi cinquanta aziende di eccellenza del territorio, con l’intento di procurare lavoro da ridistribuire e di rilanciare le diverse professionalità dei nostri collaboratori e partner. Chi produce, invece, oggi deve fare i conti con un paese che gli è avverso nel pregiudizio che fare impresa equivalga a un profitto che va a esclusivo vantaggio dell’azienda. Il paese deve capire che l’impresa è un suo patrimonio che consente un benessere diffuso, per questo non serve che le amministrazioni chiedano alle imprese una politica di welfare, se sperperano i soldi pubblici a esso destinati. I nostri figli chiederanno conto non di quello che è stato perso, ma di ciò che gli è stato lasciato, perché è sempre meno di quello che abbiamo perso. Occorre che siano valorizzate le attività che hanno ancora una tenuta e proseguono la nostra tradizione di eccellenza, nonostante una crisi che ha penalizzato soprattutto le aziende rivolte più al mercato interno che a quello estero.

Come constata la dissidenza dell’impresa in questo momento?

Nel periodo più acuto della crisi, noi siamo stati i primi in Italia, se non gli unici, a ottenere un prestito chirografario fra amici, parenti e dipendenti, che abbiamo ampiamente restituito, raccogliendo mezzo milione di euro in appena quattro mesi e scommettendo sul futuro di questo territorio, mentre diversi studi di consulenza consigliavano tagli al personale per il proseguimento dell’azienda. Come potevamo mandare a casa i nostri collaboratori che fanno parte del patrimonio attivo di questa impresa? Occorrono almeno due o tre anni per formare un collaboratore, con il rischio che non riesca a sentire questo lavoro come proprio. Il risultato è stato che l’amministratore non ha preso un euro e ha scommesso tutto il credito degli investitori nel rilancio dell’attività e, appena abbiamo potuto, abbiamo assunto nuovi collaboratori, mentre tuttora alcune persone ci chiedono se abbiamo bisogno di soldi da investire in materia prima.

Ci sono ancora tante persone che scommettono sul futuro del paese, come ad esempio dimostrano le zone colpite dal terremoto in Emilia, dove ci sono imprenditori che non hanno preso un soldo per sé per pagare prima i dipendenti, poi l’azienda, dopo i figli e infine onorare gli oneri fiscali e amministrativi. In queste zone abbiamo sostenuto alcuni nostri clienti, perché anch’essi costituiscono il nostro patrimonio nel momento in cui si avvalgono dei prodotti che facciamo e utilizzano tutte le nostre risorse, garantendoci una costante crescita professionale e riconoscendo i nostri sforzi. Questa è la dissidenza dell’impresa che ha tenuto in vita il paese nel suo momento più buio, con proposte costruttive quando c’era chi non vedeva prospettive, salvo andarsene, o era obbligato a chiudere l’attività con la politica dei concordati fallimentari. L’imprenditore italiano è umiliato quando non riesce più a esprimere i suoi talenti e quando è privato della possibilità di confrontarsi su quello che è capace di fare, per questo, in Italia, resta l’ultimo dissidente.