I LEMBI DELLA VITA

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Qualifiche dell'autore: 
psicanalista, cifrematico, presidente dell’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

Lo gnosticismo imperante considera la crisi come obiettiva, concreta, reale, e crede che occorra conoscerla nei suoi lati più oscuri per ritrovare la scintilla da cui ripartire. Secondo questo luogo comune, cosa c’è di più reale della crisi? Eppure, a oltre sei anni dal fallimento della Lehman Brothers, con cui viene rappresentata l’origine della crisi, risulta sempre più chiaro che l’incremento della disoccupazione e del numero di imprese che chiudono, l’aumento dei prezzi e le restrizioni del credito non trovano la loro causa nella crisi o nella globalizzazione, ma, come scrive nel suo intervento in questo numero l’imprenditore Giorgio Giatti, da teorie economiche obsolete e da arcaismi nella politica internazionale e italiana. E ciascun imprenditore non ha tempo per realizzare la situazione o conoscere il male, perché si attiene, con spirito costruttivo, al rischio e alla scommessa dell’impresa, le cui ragioni vanno oltre il realismo sociale, altra faccia del possibilismo politico.

Il reale non è realistico, naturale, alla nostra portata. Chi può dire che cosa è il reale senza dirne, ovvero nell’impossibilità di afferrarlo, di trattenerlo, di portarlo alla luce? Il reale non si oppone alla parola, contrassegna che della parola non c’è facoltà: la difficoltà indica che non c’è facilità che possa gestire il reale. Il reale non è il luogo del possibile, il reale è l’impossibile, l’impossibile da realizzare. “Vorrei darvi un lembo di reale”, disse Jacques Lacan nel seminario del 1976; e aggiunse: “Sono così ridotto a dirmi che c’è del sensato che provvisoriamente può servire. Ma questo provvisorio è fragile”. I lembi di reale non fondano codici e regolamenti, sono costituiti dall’incodificabile della funzione di rimozione e dall’indecidibile della funzione di resistenza, le due funzioni che marcano la difficoltà di parola, l’assenza di facoltà di parlare, di dire tutto o di dire sul dire, di dissipare l’oscurità promettendo la chiarezza, auspicando che ognuno realizzi e si realizzi. Ma chi crede di aver realizzato un concetto, sta ancora immaginando. I lembi di reale sono i lembi del labirinto, del va e vieni, della ricerca che non finisce. E nemmeno l’algebra può raggiungere il reale, cui si attiene la lingua di Babele, che esclude l’innatismo linguistico.

L’orlo, i lembi, i margini, l’estremità. Non c’è l’uscita dal tunnel, perché, nel fare, il tempo esclude che ci sia tunnel. Altra cosa la galleria, termine introdotto nel Rinascimento da Benvenuto Cellini: galleria delle opere, galleria delle cose che si fanno, galleria del tempo. La luce non s’intravede in fondo al tunnel, la luce procede dal chiaroscuro nella galleria del tempo, dove ciascuna cosa è estrema, mai ultima. Siamo sull’orlo dell’abisso? È il realismo sociale che ha dinanzi l’orlo dell’abisso. L’orlo della vita è l’estremità della vita, la vita che vale, in assenza di pena. Alla luce della crisi: nulla da illuminare, nessun bisogno di illuminismo o di illuminazione. La crisi non è il buio. Supponendo che la crisi sia al buio, lo gnosticismo divenuto luogo comune crede che la ragione possa fare luce, dissipare l’oscurità, preparare un avvenire luminoso. Cerca la scintilla d’origine per accendere la speranza, cerca il faro che debba compiere l’economia dell’ombra e del negativo, quindi che debba illuminare il ritorno al punto di partenza. Rinnovarsi, ricominciare, ripartire: dopo la rottamazione, ecco il riciclaggio e la rigenerazione. Ma la crisi non è il male che debba finire, non c’è da attendere l’illuminazione: in quanto instaurazione dell’altro tempo, la crisi rilascia ipotesi di luce e lembi di luce. Non tutto chiaro, non tutto scuro: con Leonardo dal chiaroscuro procede lo sfumato, l’introduzione stessa della luce.

Lembi di luce: la luce non supporta nuove visioni, è prerogativa dell’ascolto, tra l’udire e l’intendere, senza togliere il malinteso. Lembi di luce: nel contingente la luce è inassegnabile, non fa sistema, e non c’è un paese o un’economia che la detenga. L’ipotesi di luce è ipotesi pragmatica: la luce esige l’impresa, il fare, la città del tempo e si attiene alla lingua della Pentecoste, che esclude l’universalismo linguistico. Con la luce dell’ascolto, anche i lembi di terra non sono più spaziali, sottoposti alla sordità mediatica, ma partecipano all’intendimento politico, come la Crimea nella bellissima testimonianza del poeta Anatolij Krym pubblicata in questo numero.

La crisi è il giudizio del tempo e, come nota l’imprenditore Paolo Moscatti nella sua intervista, la trasformazione planetaria è in atto.

Alla luce della crisi, ovvero alla luce dell’attuale, del tempo infinito in atto, facendo.