IL MANTENIMENTO INTELLETTUALE

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psicanalista cifrematico, direttore dell’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

Con una sentenza del 9 maggio 2013, la Corte di Cassazione ha ribadito l’obbligo di mantenimento da parte dei genitori, “anche se il figlio ha superato la maggiore età ma non ha raggiunto una situazione di indipendenza economica per motivi a lui non imputabili”. Il mantenimento cui allude la sentenza comporta che sia possibile mantenere qualcuno, “tenerlo in mano” (mantenere deriva dal latino manu tenere). Il figlio, nonostante sia maggiorenne, deve avere la garanzia che qualcuno lo “tenga in mano”: o i genitori o un datore di lavoro. Ma così si rappresenta come mancante e, per ciò, sempre da accontentare nei suoi presunti desideri. Agli antipodi di quanto scriveva l’economista Emilio Fontela nel suo libro Sfide per giovani economisti, affermando che andremo sempre più verso una società di brainworkers, di lavoratori di cervello che si costituiscono come imprenditori, anziché cercare una sistemazione attraverso un lavoro dipendente. Senza il rischio non c’è la riuscita, ma l’ideologia che obbliga i genitori al mantenimento si fonda sul presupposto che il figlio sia un soggetto debole, irresponsabile o incapace, per esempio incapace di rischiare e di scommettere, e tanto debole da non poter vivere senza il sostegno dei genitori. Soprattutto nell’epoca della cosiddetta crisi planetaria, la famiglia spesso diviene il luogo dove trovare protezione dal presunto pericolo dell’Altro e alimentare il tabù della vendita, dell’incontro e dello scambio. Come può sorgere una società senza salariati e assistiti, una società di brainworkers, finché rimane in voga questa ideologia del mantenimento?
Eppure, l’Italia e l’Europa, lungo l’eredità di Leonardo da Vinci e Niccolò Machiavelli e della bottega rinascimentale – dove le cose si cercavano e si facevano secondo l’occorrenza, senza la dicotomia tra il cervello e la mano, tra chi comanda e chi esegue, tra chi mantiene e chi è mantenuto –, hanno la chance d’introdurre un’altra accezione di famiglia come dispositivo artificiale, su cui poggia l’impresa. Nessuno è debole o incapace in questa famiglia, non c’è obbligo sociale, la mano è libera, leggera, originaria, non è vincolata, non c’è chi possa darla, prenderla, lasciarla, concederla, passarla. In questo dispositivo il mantenimento è la tenuta e la tensione, non della mano ma secondo la mano, e dunque secondo l’occorrenza (come nota Martin Heidegger, nell’etimo del termine greco occorrenza, χρεών, c’è anche la mano: χεὶρ). La famiglia che segue l’occorrenza non si basa più sull’idea di fine del tempo e il figlio non teme che finisca il tempo del mantenimento, prima che cominci quello dell’indipendenza. Nessuno deve più aspettare, né aspettarsi alcunché se, nella famiglia come dispositivo intellettuale, ciascuno s’instaura come cervello rispetto al progetto e al programma che costituiscono il viaggio della vita. L’attesa è assoluta, per ciò la tensione verso la qualità è costante, non viene mai meno: sta qui la forza che attua una tenuta delle cose, senza più temere lo stress o la depressione, che non hanno nulla di patologico ma indicano come la pulsione, la tensione intellettuale non possa essere elusa, salvo rappresentarsi come soggetto stressato o depresso.
Ecco allora un altro mantenimento, il mantenimento intellettuale, in cui le cose non si degradano perché il tempo non si può gestire, controllare, misurare, mediare, risparmiare. Il mantenimento intellettuale esige la battaglia e la sua tensione, non la calma e il rilassamento. Chi ha il tabù del tempo, chi si lamenta di non riuscire a fare ciò che vorrebbe, perché l’occorrenza prevale sui propositi per la giornata, si immobilizza, si paralizza, si blocca e non trova nessuna ipotesi di direzione. Se la famiglia diviene il luogo in cui i figli possono trovare protezione e assistenza, in cui sono esonerati dalle questioni economiche e finanziarie e preservati rispetto alle difficoltà, allora, ciò che viene negato è il contingente, il tempo infinito, l’Altro e, di conseguenza, l’avvenire.
È imprescindibile scommettere con i giovani nei loro progetti di vita, ma innanzi tutto occorre porre le condizioni affinché essi possano dare un contributo nei dispositivi da inventare ciascun giorno, in cui essi possano esercitare i loro talenti. Ma questo può accadere solo se trovano interlocutori della loro scommessa, non se ricevono aiuto da parte di genitori, per giunta obbligati dalla legge a togliere ostacoli e difficoltà. Interlocutore non è chi rende facile la via: anche nel cosiddetto passaggio generazionale, l’imprenditore che dà per scontato il proseguimento del figlio nell’azienda dopo di lui non riesce a costituirsi come interlocutore. Occorre l’ascolto per lasciare che le idee operino alla riuscita, anziché frapporsi a essa, ma l’ascolto non è di qualcuno o di qualcosa, è di ciò che sta dinanzi, della novità in ciò che si va facendo. Ma non è facile cogliere la novità, l’abitudine è piuttosto quella di assimilare tutto al già noto. Per questo la cifrematica, come scienza della parola, e la psicanalisi, come aspetto della cifrematica, danno un apporto essenziale alla famiglia e all’impresa del secondo rinascimento, con le sue arti e le sue invenzioni. Ma chi può ascoltare la novità? Chi si attiene alla libertà della parola, senza la preoccupazione di dimostrare, di riscattare o di ricattare sé o l’Altro. In questo senso, psicanalista non è chi ascolta ma chi si attiene alla condizione dell’ascolto, la voce, punto vuoto e punto di oblio, causa di verità e di riso, oggetto insituabile, inafferrabile, intoccabile, invisibile, ostacolo assoluto. Occorre che i giovani sempre più non si rappresentino l’ostacolo assoluto negli ostacoli da superare o da cui fuggire. Solo così, nel confronto impossibile con l’oggetto illocalizzabile della parola, essi possono divenire interlocutori di una scommessa di riuscita nel viaggio che approda alla cifra come capitale intellettuale.