LE DREAM CAR DELLA PULIZIA STRADALE E INDUSTRIALE

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amministratore delegato di RCM SpA, Casinalbo (MO)

Già nel 1996, l’economista modenese Giuliano Muzzioli, nel libro La Raimondi Costruzioni Meccaniche, definiva la RCM emblema di quelle caratteristiche – “abilità tecnica, cultura del lavoro, capacità d’inventiva e spirito d’intraprendenza” – che hanno reso possibile la crescita economica dell’Emilia. Ma la vostra storia imprenditoriale risale al 1899, anno in cui, mentre nasceva la Fiat, il nonno paterno Ippolito Raimondi avviava una fabbrica di biciclette, che sarebbe stata proseguita da suo figlio Romeo, vostro padre, il quale avrebbe poi fondato nel 1922 la MR per la costruzione di ciclomotori e nel 1928 l’Officina Meccanica Romeo Raimondi per la costruzione di motori industriali. Iniziava così quel cammino costellato di invenzioni che – passando attraverso la produzione di motori marini e industriali, motori diesel, trattori agricoli e spazzaneve – sarebbe giunto all’idea di produrre una spazzatrice economica, piccola e molto performante, nel 1967, quando l’azienda si trasferì nell’attuale sede di Casinalbo (MO). Oggi possiamo dire a buon diritto che il settore delle macchine per la pulizia industriale è cresciuto anche grazie alle vostre innovazioni, alcune delle quali, come la R500, rappresentarono una vera e propria rivoluzione…
La R500 era la Topolino delle macchine per la pulizia industriale: come la famosa piccola Fiat era nata per dare l’opportunità al maggior numero possibile di italiani di guidare un’automobile, così le minuscole motoscope R500, novità assoluta per dimensioni e concezione costruttiva, dal 1971 fecero scoprire a migliaia di piccole e medie aziende la grande utilità della pulizia meccanizzata. Con questa e altre innovazioni, abbiamo partecipato allo sviluppo del settore, che sta avendo tuttora un grande successo, tant’è che l’Italia oggi è il secondo paese produttore dopo la Germania.
In che modo le istituzioni locali e nazionali potrebbero valorizzare il patrimonio intellettuale e tecnico di un’azienda come la vostra, dove l’ingegno e il talento sono sempre in esercizio?
Riporto un esempio per far capire lo scarso interesse, se non l’indifferenza, che le istituzioni nutrono verso l’impresa. Nel 2005, quando s’incominciava a parlare di Motor Valley, in una delle più importanti fiere del nostro settore che si tiene a Verona, Pulire, abbiamo esposto nel nostro stand l’Edonis, una dream car, costruita da alcuni ingegneri che avevano lavorato alla Bugatti. Abbiamo pensato che fosse importante legare la nostra storia a quella del territorio, volevamo far capire ai visitatori provenienti da tutto il mondo che le nostre macchine sono frutto della tanto celebrata Motor Valley. In seguito al grande successo dell’iniziativa, ho pensato che sarebbe stato bello e interessante se un ente locale avesse offerto supporto organizzativo e logistico perché l’esperienza si ripetesse: ciascuna azienda di Modena, Bologna o Ferrara, in occasione di fiere e mostre internazionali, avrebbe potuto esporre una delle auto sportive che ci rendono famosi nel mondo, in modo da dare un segnale importante del nostro territorio. Così, ho illustrato questa idea alla Camera di Commercio, ma avrei potuto farlo al Ministero o all’ICI, sarebbe stata la stessa cosa: non c’è stato alcun seguito, nemmeno la richiesta di un ulteriore incontro di approfondimento. Purtroppo, le nostre istituzioni sono troppo spesso bloccate da un’autoreferenzialità tale che sembrano macigni da cui non esce e in cui non entra niente. Questa è la realtà. Sono apparati che devono garantire la continuità interna, per cui a volte il parere di un presidente conta meno di quello dei tanti funzionari impegnati a mantenere lo status quo. Eppure, di quanto sia importante la burocrazia per il funzionamento di qualsiasi aspetto dell’economia e della società, compreso l’andamento generale di un paese, ce ne stiamo rendendo conto sempre più. Ma nessuno ci sta mettendo mano seriamente.
Con l’avvento della globalizzazione prima e della crisi poi, le aziende hanno dovuto orientare in modo deciso il loro business all’estero. La vostra esperienza di internazionalizzazione invece è incominciata molti anni fa…
Basti dire che la copertina della pubblicazione che documentava le novità della fiera più importante del mondo per la pulizia industriale, la Issa/Interclean di Amsterdam, nel 1986 riproduceva una nostra macchina all’avanguardia, la RX918, che fece molto scalpore perché era anche troppo innovativa per l’epoca, tant’è che poi non ha avuto il successo che avrebbe meritato. Considerando che la nostra prima presenza all’Issa/Interclean risale al 1976, se non possiamo dire che siamo nati all’estero, siamo stati quasi immediatamente proiettati verso paesi in cui il mercato era più evoluto, anche se sembra paradossale. Nel 1967 in Italia la pulizia industriale era talmente poco conosciuta e apprezzata che le vendite richiedevano una fatica immane. Anche se, una volta scaricata la macchina dal nostro camioncino per una dimostrazione, il potenziale cliente restava sbalordito nel vedere che puliva rapidamente e perfettamente, senza sollevare polvere, e l’acquistava all’istante.
Ovviamente, ci siamo confrontati con tutte le difficoltà di chi si reca in un paese straniero senza parlare la lingua in modo adeguato a condurre una trattativa, soprattutto in un periodo in cui gli italiani erano visti con sospetto: è bene ricordare che noi allora eravamo i cinesi d’Europa, che vendevano a prezzi inferiori dei tedeschi e rappresentavano un pericolo per il loro primato. Adesso noi ci preoccupiamo dell’invasione dei paesi che producono a minor prezzo, ma dobbiamo chiederci se non siamo noi a sbagliare, mentre loro stanno semplicemente seguendo l’evoluzione.
Ci sono stati sempre affiatamento e solidarietà fra i membri della vostra famiglia. Non a caso siete alla quarta generazione. Qual è il valore aggiunto della famiglia per mantenere la rotta nei momenti più difficili?
Sicuramente non è piccolo, pur senza la retorica che segue, accompagna e sovrasta le storie delle aziende familiari che spesso, contrariamente a quanto si pensa, sono storie di fallimenti. Fallimenti perché l’azienda era nata intorno al fondatore, in un momento in cui le condizioni erano completamente diverse dagli anni sessanta, settanta o ottanta, e il passaggio generazionale ha portato contrasti che hanno pesato quando si trattava di affrontare grandi trasformazioni economiche e sociali. Noi invece abbiamo avuto la fortuna di essere cresciuti con un padre e una madre che, a nostra insaputa, ci hanno insegnato a essere solidali, generosi e tolleranti, e questo ci ha consentito di andare d’accordo negli ultimi sessant’anni, nonostante abbiamo abitato nella stessa casa, con mogli, figli e suocere: un Guinness dei primati. E lo stesso affiatamento siamo riusciti a trasmetterlo anche ai quattro figli, che lavorano già da quindici anni nell’azienda e ormai hanno preso in mano le redini. Credo che questo sia un bene non quantificabile, è una grande forza e una fortuna veramente incommensurabile. Prima di affrontare la prova della crisi – da cui siamo stati colpiti, come tutti –, abbiamo gestito il passaggio generazionale ufficiale, con l’aiuto di Roberto Demicco, un ingegnere nostro consulente che poi è diventato un vero amico. Poiché in quel momento l’azienda aveva molto successo e poteva essere appetibile per una multinazionale, ci siamo posti la questione se venderla o andare avanti. Considerando la nostra età, toccava ai giovani decidere. Allora si sono riuniti in una stanza e hanno discusso per un intero giorno, al termine del quale hanno espresso la volontà di proseguire: evidentemente avevano posto le basi di quelli che avrebbero dovuto essere i loro rapporti, a cui ancora oggi si attengono. Questo è avvenuto prima della crisi. Se non avessimo avuto l’accortezza di dare ufficialità a questo passaggio e avessimo lasciato che ognuno vivesse la propria vicenda aziendale in modo personale, magari con rancori sotterranei e senza chiarezza, questa crisi ci avrebbe rovinati, perché di fronte al grande pericolo, se non c’è solidarietà, interviene il disorientamento e spesso si lascia perdere tutto. Invece così siamo riusciti a mantenere la rotta. Non siamo ancora fuori dalla tempesta, ma d’altronde non lo è ancora nessuno.
E adesso cosa attende l’avvenire del settore grazie a RCM?
Come accennavo, la RX918 è stata abbandonata perché troppo all’avanguardia, ma da quell’esperienza si è sviluppata una serie di macchine rivolte alla pulizia urbana: piccole macchine per pulire i centri storici, i marciapiedi, i portici e le aree pedonali. In questo ambito stiamo sperimentando un ulteriore passo che apparentemente ci riporta all’inizio del Novecento, agli albori della pulizia urbana, quando c’era lo spazzino, con il triciclo, la paletta e il secchio. Non è una provocazione, in realtà ci siamo accorti che ridurre all’essenziale i componenti ha molti vantaggi in termini di leggerezza, silenziosità, economicità e minore impatto ambientale. Naturalmente la semplicità estrema è abbinata alla più avanzata tecnologia, che prevede per esempio l’utilizzo del fotovoltaico per la ricarica delle batterie. E anche questa nostra innovazione, che abbiamo chiamato Zero System, ha portato una rivoluzione nel settore: siamo stati i primi a occuparci in modo specifico della pulizia di quelle aree urbane difficilmente raggiungibili dalle grandi macchine e adesso siamo arrivati al micro spazzamento urbano ecologico e sostenibile, per evitare di pulire con azioni che alla fine della giornata inquinano più di quel che puliscono. Inoltre, siamo riusciti anche a contenere i costi, per evitare, come accade spesso per i prodotti ecocompatibili, che per inquinare meno si debba spendere di più.