IL MANIFATTURIERO E LA QUALITÀ DELLA VITA

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Presidente di Sefa Holding Group S.p.A., Bologna

Nella costruzione della città del secondo rinascimento è essenziale rilanciare il valore della produzione, che è intellettuale nella misura in cui procede dalla mano. La sua testimonianza ha sempre rilanciato il valore della manifattura in Italia e nel pianeta, ma com'è cambiata negli ultimi anni la geografia del manifatturiero nella siderurgia e nell'acciaio in particolare?
La storia dell’acciaio in Italia si snoda lungo i diversi poli manifatturieri sparsi nel paese, che hanno prodotto fra i migliori acciai d’Europa. Il polo industriale di Cogne è stato il primo a sorgere e per un lungo periodo anche l’unico a produrre acciai speciali, ma oggi non esiste più. Successivamente si sono sviluppati il polo siderurgico di Genova e poi quello di Piombino. Fra gli anni sessanta e settanta, dalle acciaierie di Piombino venivano sfornate le rotaie per la costruzione di nuove ferrovie in tutto il paese, erano le rotaie più lunghe che si riuscissero a produrre in quegli anni. In seguito, il polo di Terni è diventato un riferimento importante per la produzione di acciaio Inox, per questo soprannominata “La città d’Acciaio”. Anche quello di Taranto aveva una forte valenza, essendo l’acciaieria più grande d’Europa.
In Italia c’è sempre stata una grande cultura dell’acciaio. Tutt'ora abbiamo un istituto sperimentale fra i più invidiati in Europa, il Centro Sperimentale Metallurgico di Roma (CSM), in cui, sin dagli anni ottanta, si è sviluppata la storia della metallurgia tecnica e sono avvenute le prime innovazioni, molto utili alle acciaierie del territorio circostante come quella di Terni. Il periodo compreso tra il 1995 e il 2008 è stato il più florido nel settore. Il paese registrava la ripresa economica, grazie anche all'azione di personaggi illuminati del settore, come Steno Marcegaglia e Giovanni Arvedi. Dopo il 2008 la sperimentazione è drasticamente diminuita in Italia. Questo anche a causa di una serie di decreti legislativi e dell’azione della magistratura, che, per esempio nel caso dell'Ilva di Taranto, ha imposto la chiusura degli stabilimenti, senza chiamare i proprietari a rispettare gli impegni presi con la collettività. Ancora oggi esistono connubi tra politica e mafia che possono favorire le grandi imprese, soprattutto quelle che in passato hanno avuto importanti partecipazioni statali. L’acciaieria di Taranto era statale prima di essere acquistata dalla famiglia Riva. Quella di Terni era partecipata e in seguito è stata venduta a un gruppo tedesco, la TyssenKrupp, che avrebbe dovuto risolverne i tanti problemi. In effetti, all'inizio sono stati registrati alcuni miglioramenti, ma si trattava pur sempre di un'industria straniera e la politica in questi casi è sempre la stessa: arrivano, prendono e portano via quello che c’è. 
Fino al 2008 l’Italia era il secondo paese produttore di acciai in Europa e da questa produzione scaturiva un indotto notevole, fra raffinerie e trasformatori secondari. È una storia importante e complessa. Il commissariamento dell'Ilva di Taranto, nel 2013, è stato un fatto eclatante, che ha dimostrato ancora una volta come in questo paese il lavoro e la produzione di ricchezza non abbiano valore. In altri paesi si sarebbero trovate soluzioni diverse con gli imprenditori e con le autorità, per mantenere più posti di lavoro e mantenere attivi gli impianti. Sono trascorsi già diversi anni e la situazione ora è particolarmente complessa per fare ripartire l’industria siderurgica di Taranto, perché, per esempio, occorrono tempi tecnici che si aggirano fra i 18-20 mesi solo per rimettere in funzione un forno. La gente pensa che da un giorno all'altro si possa tornare ad avere l’acciaio o l’energia che serve, semplicemente spingendo un bottone. 
All'estero, l’interesse maggiore per questo paese ormai verte sulle importazioni. Qualche giorno fa ho incontrato alcune persone di un’acciaieria svedese, che produce acciai altoresistenziali nelle foreste del suo territorio e li esporta in tutto il mondo. Tra i primi paesi importatori di questi acciai c’è proprio l’Italia. La stessa cosa vale per le automobili come Audi, Mercedes e Volvo. L’Italia importa e acquista dall'estero, ma produce sempre meno. Non siamo capaci, per esempio, di valorizzare il comparto della macchina utensile, che serve alla lavorazione e alla trasformazione dei metalli, e di individuare in questo un’opportunità per lo sviluppo del paese. Allo stesso modo non riusciamo a costruire un polo integrato per la distribuzione degli acciai, con ulteriore dispersione di risorse, non solo economiche e finanziarie. È naturale poi che, mancando una politica industriale, siano tante le imprese italiane che trovano il proprio business all'estero.
Qual è la tendenza in atto nel settore manifatturiero? 
Le poche industrie rimaste nel territorio puntano sulla produzione di eccellenza, facendo prodotti di nicchia. Il problema sta nel fatto che a questa elevata specializzazione partecipa una miriade di altre piccole imprese che invece occorre valorizzare. L’eccellenza delle industrie italiane non ci sarebbe, se mancasse il tessuto di piccole e medie imprese che stanno loro intorno. Questo è il vantaggio del tessuto industriale di Bologna. Il polo produttivo attorno a questa città, che va da Reggio Emilia a Imola, è al secondo posto in Europa per numero di imprese manifatturiere. Questo è stato possibile grazie alla tenacia degli imprenditori che non hanno smesso di lottare e grazie alla cultura manifatturiera della nostra regione, in cui c’è un modo di vivere e di lavorare alimentato da tolleranza e rispetto, che ha favorito gli scambi, la tenuta delle imprese e la qualità della vita. Gli imprenditori continuano questa battaglia per la riuscita perché hanno l’esempio di altri imprenditori che non si arrendono. 
Oggi, queste persone subiscono l’umiliazione che viene dall'arroganza dei burocrati e delle strutture di controllo, che trattano le imprese come loro suddite. Dal 2008 a oggi si sono invertiti gli equilibri fra chi produce e chi beneficia della produzione: i controllori sono aumentati, mentre i controllati sono diminuiti.
Come vi state organizzando? 
Abbiamo predisposto quello che occorre perché il nostro acciaio abbia un valore aggiunto, avviando reparti di lavorazione meccanica e potenziando il numero degli articoli siderurgici a disposizione. Impieghiamo l’intelligenza e le competenze che abbiamo acquisito in tanti anni di esperienza e che vanno oltre la pura vendita. I controlli sui prodotti vengono eseguiti all'interno dell’azienda e non più da laboratori esterni, il che implica la formazione specifica degli addetti a mansioni di questo tipo. Attualmente, siamo uno dei pochi magazzini che hanno la possibilità di controllare la sanità e la conformità dei manufatti. I controlli sul materiale sono importanti anche in relazione all'area geografica del mondo in cui saranno utilizzati i nostri prodotti, che certifichiamo e personalizziamo a seconda dell’uso e del luogo in cui saranno impiegati. 
Quale messaggio può dare a un giovane che pensa di andare a lavorare all'estero?
I giovani che decidono di rimanere in Italia sono da elogiare, questa è la prima cosa che bisogna fare. Chi decide di affrontare la sfida di riuscire in un paese come il nostro va sostenuto e dà a tutti noi grande speranza. Oggi accade che qualche imprenditore si penta di aver accolto la collaborazione dei propri figli in azienda. Io rispondo che nessuno di noi è eterno, ma le aziende, invece, possono andare avanti ancora per molti anni grazie alle nuove generazioni. I giovani possono dare un apporto importante e noi abbiamo il compito di trasmettere loro il patrimonio culturale acquisito. 
Chi è cresciuto in Emilia, in particolare, ha vissuto in un paese fortunato, ma questa fortuna è stata anche alimentata dallo spirito costruttivo e dall'umiltà di tanti imprenditori, secondo cui il guadagno più importante non sono i soldi, ma vedere realizzati i propri progetti e contribuire al benessere del territorio. Questo spirito ha ripercussioni positive sul tessuto sociale e urge che sia trasmesso ai giovani. Bologna in questo è molto all'avanguardia.