LA RIVOLUZIONE DEL VENTO

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Qualifiche dell'autore: 
psicanalista, cifrematico, presidente dell’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

Secondo gli Atti degli Apostoli, “mentre il giorno della Pentecoste stava per finire”, all’improvviso “venne dal cielo un rombo, come di un vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano [i discepoli]”. Apparirono lingue di fuoco “ed essi furono tutti pieni di spirito santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo spirito santo dava loro il potere di esprimersi”.
Il vento, il fuoco, lo spirito. Il vento non abbatte, si abbatte, gagliardo (feroménes), e riempie tutta la casa. Nessun angolo ne è escluso, nessuna nicchia può evitarlo. Fino ad allora gli apostoli erano impauriti, erano ancora intimiditi per la morte del loro maestro, che pure era apparso più volte dopo la sua resurrezione? Il testo non lo dice, certo è che, a cinquanta giorni dalla resurrezione, essi non avevano ancora incominciato la loro missione. Ma ora il vento si abbatte, il vento è gagliardo, impetuoso, e introduce il fuoco e lo spirito, e loro “si esprimono” (apofthéngesthai). Nonostante l’ignoranza delle lingue, ciascuno intende: con la Pentecoste, la libertà della parola, la libertà di “espressione” è introdotta, grazie allo spirito è inconfiscabile e trae ciascuno all’intendimento.
In questo testo, attribuito a Luca, il vento (pnoé, non ànemos) introduce lo spirito (pneuma). Invece, nel brano del Vangelo di Giovanni (“Il vento soffia dove vuole e ne odi la voce, ma non sai da dove venga o dove vada: così è chi è nato dallo spirito”), si tratta dello stesso significante, pnèuma, per vento e per spirito. Il vento, lo spirito, chi è nato dallo spirito: non sai da dove venga e dove vada. Chi può localizzare, gestire, padroneggiare il vento? Come fondare sul vento o sullo spirito un’origine o una finalità? Nessun fondamentalismo e nessun finalismo possono costituirsi sul vento. Il vento, la voce, lo spirito. Il vento va e poi viene s’intitola il libro di Vladimir Bukovskij, non, come è stato tradotto, Il vento va e poi ritorna. Il va e vieni del vento non consente il ritorno, tanto meno al passato o all’origine.
“Un vento che turbò l’aria serena,/ e turbò il mare”, scrive Ludovico Ariosto. Incontrollabile, ingestibile, ingovernabile, gagliardo, il vento riempie la casa, che risulta indomestica, turba l’aria e il mare. Per taluni disturba, è temuto, è evitato perché è presunto pazzo, cioè è presunto fare quello che vuole, avere una sua volontà. “Soffia dove vuole”, scrive Giovanni. Il vento vuole? Cosa vuole il vento? Vuole la riuscita? Vuole il bene, come ogni tiranno? È sottoposto all’idea di bene? Con il mito della Pentecoste, lo spirito è l’idea che opera, l’idea costruttiva, non l’idea di bene, che è guida per l’azione senza la parola. Il pensiero è libero perché opera nella parola, senza bisogno di sostanze e di soggettività, non perché fa quel che vuole. Giovanni chiama “soffiare dove vuole” l’andare e venire senza soggettività, senza proprietà, delle idee, perché non c’è proprietà sul vento, semmai è il vento che è proprietà del viaggio e dell’azione della parola. Invece, ecco che il soggetto pretende di gestire il vento, cerca di capire dove va il vento, di farselo proprio, di ridurre il fare alla volontà, e alla volontà di bene, ma il vento è oltre la limitazione del bene e del male.
Dove sta il favore del vento? Il favore è senza l’idea di bene. Non c’è il favore del vento se noi restiamo ancorati all’idea di bene, se pensiamo di fare secondo l’idea di bene anziché secondo l’occorrenza. Gagliardo viene dal provenzale galmart, che riprende il radicale cimbro gall, forza. Il vento gagliardo, la forza del vento. Il favore del vento esige la forza del vento. La forza, la pulsione, la tensione del vento, non determinabile dal soggetto o dalle sostanze. La rivoluzione del vento. Il vento della salute non ha bisogno di sostanze, perché il suo favore non è il benessere né porta al successo. Come notano gli interventi in questo numero, il benessere sottopone ogni esperienza all’idea di bene, all’eliminazione dello stress, della tensione, della pulsione. Mentre il successo è la performance, è sommario e frazionario, risponde a un’algebra o a una geometria del tempo. Il favore del vento è il vento del contingente, è l’aritmetica del vento, è il vento con il suo ritmo. Un’esperienza a misura d’uomo, a misura della volontà o dei propri impegni, non è sorretta dalla forza del vento. Come lasciare le vele al vento, se pretendiamo di sottoporne la direzione al nostro potere o volere?
Il vento in poppa è il vento che viene dalle spalle, non è davanti. Non è il radioso avvenire: seguire il vento non è seguire la corrente. La poppa è alle spalle, il vento non è la corrente, procede dall’apertura, non offre coperture. Il vento procede dall’apertura e va in direzione della qualità, si rivolge alla cifra. Questa la sua rivoluzione, incompatibile con ogni fondamentalismo. Nessuno parla al vento, il vento è nella parola, nella parola originaria, in cui ciascuna cosa procede dall’apertura, dal due, dalla contraddizione. Il vento della parola. La parola non è mai sprecata, con il vento nessuna parola si spreca o si risparmia. Ecco la Pentecoste, la libertà di espressione, la lingua diplomatica. Solo nell’impossibile negazione della parola, con l’omertà, con il dialogo e con il pettegolezzo, sorretti dai principi di elezione e di selezione, potremmo supporre di dire parole al vento. Tolto il due, l’apertura della parola, abbiamo lo spreco, ovvero il conflitto, l’opposizione, l’alternativa, secondo cui il vento può essere buono (“qual buon vento?”) o cattivo, come nel detto “chi semina vento raccoglie tempesta”. Pensando di essere destinati a tutto il bene possibile – è una fantasia che colloca nell’avvenire un’idea di origine – ogni volta che interviene il vento, anche una folata, può essere immaginata o creduta una tempesta.
La rivoluzione del vento non è lineare o circolare perché procede dal due e non mira all’unità, alla ricomposizione, alla cosmologia, in cui conflitto, opposizione e alternativa si unificano nella sintesi o nel sistema. Nessun sistema del vento, bensì dispositivo, ritmo e tensione del vento. La salute che si avvantaggia del vento trae profitto dal suo andare e venire e dal suo ritmo, dal dispositivo di parola, non dal sistema farmacologico e drogologico, che vorrebbe sottoporre l’impresa e ciascuno alle mitologie del benessere e del successo. Secondo l’etimo, propizio è ciò che va avanti, non ciò che fa stare bene. Il va e vieni del vento, il dispositivo del vento, indispensabile per la memoria e per l’esperienza è, nell’attuale, propizio all’impresa e alla sua riuscita, alla vita e alla sua scrittura.