IL DISPOSITIVO DI SANITÀ E LA STRADA DELLA SALUTE

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Qualifiche dell'autore: 
cifrematico, presidente dell’Istituto marchigiano di Scienze e Arti

Dal mese di giugno 2014 alcune professioni di riferimento per la sanità e la salute in Italia sono state oggetto di un cambiamento normativo che avrà effetti rilevanti sia per chi si troverà a svolgerle sia per chi vi farà ricorso per avere risposte alle proprie istanze di sanità e di salute. Il cambiamento riguarda la creazione di un nuovo albo delle professioni sanitarie, comprendente diciassette tra le ventotto riconosciute dal Ministero della Salute, e l’attribuzione a queste di nuove prerogative di responsabilità, definendo i parametri procedurali e professionali specifici. Si tratta per lo più di figure facenti già parte di professioni del campo infermieristico e tecnico sanitario, da alcuni anni arricchite da una formazione di profilo molto più alto, anche di ambito universitario.
A una prima considerazione, sembra un’iniziativa encomiabile, che riconosce dignità professionale a figure essenziali, a volte quasi quanto i medici, per affrontare malattie o problemi di assistenza. Così non viene più attribuito esclusivamente al medico il sapere in materia di sanità e di salute, né le altre professioni sanitarie sono mere esecutrici delle sue decisioni. D’ora in avanti, chi esercita una delle professioni del nuovo ordinamento sanitario può divenire interlocutore diretto, per gli aspetti concernenti la sua formazione specifica, di chi lo interpella su questioni di salute. Il medico rimane la figura principale e definitiva di riferimento e di responsabilità per la direzione della cura.
Tra le nuove figure di questo albo vi è anche quella dello psicologo formatosi presso una facoltà di psicologia di un’università italiana. L’inserimento dello psicologo fra le professioni sanitarie è stato in discussione fino all’ultimo, perché la psicologia professionale è una pratica che si rivolge a casi particolari, irriducibili alla standardizzazione, in cui gioca un ruolo predominante la statistica. Da anni ormai lo standard e la statistica sono i criteri fondanti le attuali pratiche sanitarie in tutto il pianeta, al punto che si parla di “Medicina delle prove d’efficacia”. E l’inserimento fra le professioni cosiddette sanitarie sarebbe addirittura problematico se dovesse coinvolgere la psicanalisi, che è “scienza del caso singolo”, come la definì lo stesso Freud. Il problema sta proprio qui, nel sottoporre ciascun caso, di malattia o di salute, al riconoscimento e all’osservanza di criteri di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione interdipendenti e sottesi da linee guida cui devono attenersi tutti gli esercenti le professioni sanitarie. Sono criteri che indubbiamente hanno consentito, insieme alle scoperte della medicina degli ultimi decenni, un grande avanzamento della pratica medica e della sua efficacia nel mantenimento di condizioni di salute, ma che non possono essere applicati alla psicanalisi, e nemmeno diventare una camicia di Nesso della stessa pratica. Come avevano previsto il grande immunologo e oncologo Georges Mathé nel libro 1999. L’uomo che voleva essere guarito e il sociologo Lucien Sfez nella Salute perfetta, oggi la raccolta dati e l’”inquadramento” dei casi, secondo i principi sopra citati, rischia di occupare altrettanto tempo della pratica di cura vera e propria. È un rischio noto a chi si occupa di sanità e deve essere affrontato quotidianamente. Oggi chi entra in una struttura sanitaria deve affrontare interviste per la compilazione della cartella medica, poi anche di quella infermieristica, sempre più spesso di quella psicologica, nelle strutture più grandi anche di quella sociologica. I dati raccolti devono essere “incrociati” e diventare operativi seguendo gerarchie di valutazione e linee guida. Ma le risposte a domande prefissate escludono tanti elementi del racconto del paziente. In quanto responsabile della qualità delle relazioni di una struttura sanitaria e delegato all’ultima intervista al paziente al momento della dimissione, constato che, sempre più spesso, oltre alla qualità percepita delle varie pratiche, quali igiene, competenza, precisione, manualità e destrezza, risulta decisiva, nel valutare gli operatori sanitari, medici, infermieri, tecnici, psicologi, la loro propensione alla responsività, all’ascolto, alla considerazione di quanto viene loro riferito al di fuori dell’intervista anamnestica, all’empatia dimostrata. Queste virtù, un tempo essenziali nella pratica medica e importanti per l’accettazione della cura, oggi sono forzatamente in declino per la complessità attuale della “macchina” sanitaria.
Risulta allora indispensabile una nuova assunzione di responsabilità da parte di ciascuno, quando si trova “paziente” o “utente” di una struttura, per divenire interlocutore di ciascuna delle figure sanitarie e per costituire con esse un dispositivo che non sia solamente di delega. A questo proposito Sergio Dalla Val scrive nel capitolo “La strada della salute” del suo libro In direzione della cifra. La scienza della parola, l’impresa, la clinica: “Nella medicina scientifica, non c’è il rapporto medico paziente stabilito dai protocolli, ma un dispositivo di parola [...] in cui la conversazione procede dall’apertura”.