L'AMORE SENZA FINE, L'ODIO SENZA RIMANDO

Immagine: 
Qualifiche dell'autore: 
psicanalista, psichiatra, presidente dell’Associazione cifrematica di Padova

Intorno all’amore e all’odio è diffusa una ricchissima produzione letteraria, artistica e pseudoscientifica che esalta l’amore inteso nella transitività, dove si tratta dell’amante e dell’amato e del desiderio di bene percepito come sentimento, che farebbe legame, che costituirebbe relazione: qualcosa di definito e convenzionale di cui si possa dire “So di cosa si tratta”, “È capitato anche a me”, e che possa anche essere quantificato. Infatti, alcune delle domande più frequenti a proposito dell’amore sono: “Tu mi ami?”, “E quanto mi ami?”, “Mi ami quanto io amo te?”. Come stabilire la quantità dell’amore? Attorno all’ipotesi di parità tra gli amanti sorge la disputa sull’amore ricambiato e la misura dell’amore.
Nella parola, la quantità non è quantificabile, è infinita ed essenziale allo scambio; per questo la domanda va in direzione della sua cifra, del compimento del progetto e del programma. Occorre che progetto e programma s’instaurino, si precisino, si avviino e proseguano. Il proseguimento non è scontato, non è automatico; il proseguimento esige la non accettazione dell’idea di cedimento. Può sembrare cosa rara il cedimento, ma anche il fatto di rimandare al giorno dopo o a un’ora dopo l’occorrenza che il programma esige, è un cedimento. Rispetto a ciò che urge, pensare di non farcela, pensare di non essere all’altezza, pensare di non essere adeguati, stare a pensare, è un cedimento. Credere di dovere fare ricorso a qualcosa che aiuti dall’esterno per avere la forza sufficiente per fare è un cedimento. E non si tratta nemmeno di trascendere nell’euforia, perché anche l’euforia è un cedimento. Solo che è un cedimento ammesso dall’apparato, perché l’apparato fornisce il rimedio. Così come ciò che sta nella nozione di depressione è un cedimento, ma è un cedimento accettato dall’apparato, perché l’apparato fornisce il rimedio. Così, ogni cedimento rientra nell’economia del sistema. Nella parola, questa economia del sistema non c’è, perché non c’è sistema.
Oggi, diffusamente, l’amore è definito un sentimento. Ritengo che, tra breve, nella manualistica psicologica, sociologica e disciplinare di ogni tipo, “diventerà” un’emozione. Mentre il sentimento sarebbe uno stato dell’animo tra la coscienza, la capacità e la facoltà di sentire, l’emozione è considerata la reazione a un impulso, a uno stimolo, a un’azione che viene dall’esterno. Sia nell’apparato medico e psicologico sia in quello educativo sia in altri settori, l’importanza che oggi viene ascritta alle emozioni è in forte aumento. Su questa impostazione, alle imprese e alle aziende oggi viene proposta come grande invenzione l’intelligenza emotiva, una forma di padronanza e di controllo delle emozioni, che sfocerebbe nel comportamento consapevole, in grado di consentire l’autoefficacia. Di cosa si tratta? Sembra una bella cosa: una nuova intelligenza, l’intelligenza emotiva. Quella che sembra una novità è la riedizione del vecchio organicismo millenario, per cui ogni cosa deve avere una sua sede in un organo. L’intelligenza emotiva, con le sue emozioni attribuite e localizzate nell’encefalo, è la cosmesi di un principio della medicina aristotelica greca e di quella cinese, secondo cui ogni organo è sede di un’emozione, con i suoi umori. Una concezione umorale. L’intelligenza emotiva è un’emozione encefalica padroneggiata. E buona parte di ciò che è definito neuroscienze ha come programma l’innalzamento dell’importanza dell’emotività, con la relativa abolizione del valore del ragionamento. Si tratta sempre e solo delle emozioni! Tutto si basa sulle emozioni! “Che posso farci se mi comporto così? È per via dell’emozione!”. Ognuno ha emozioni. Incontrollabili. Lo schema è questo: c’è uno stimolo e una risposta; il tutto è mediato dalla chimica. Questa è la novità scientifica. Occorre fare attenzione quando si sente proporre questa “novità della scienza”, perché non si tratta di scienza, si tratta d’ideologia. È quell’ideologia che propone la padronanza, il controllo, la gestione di sé e dell’Altro affidata alla sostanza.
Quante volte abbiamo sentito dire che anche nell’amore, in fin dei conti, si tratta di chimica, la chimica della personalità, e nella sessualità si tratta della chimica, la chimica dei corpi? Chimica ormonale, chimica dei mediatori, chimica della sostanza. Chimica dell’animalità, per l’amore animale. Questa è la chance della civiltà che si annuncia con le neuroscienze: l’apoteosi delle emozioni, l’amore emotivo, azione e reazione, meglio se chimica, con botta e risposta. Nessun calcolo, nessun progetto, nessuna comunicazione, nessun dispositivo intellettuale per il programma di vita. Importa solo la chimica, si tratta del sentimento chimico, dell’emozione chimica. La parola è tolta, la sua logica è tolta, la sua cifra è abolita. E l’abolizione incomincia con la rappresentazione del due in due persone, in due entità, in due modi, il positivo e il negativo, e con l’idea di durata.
L’amore incomincia: quanto potrà durare? È già finito. L’amore, sottoposto all’idea di durata, è già finito, perché l’idea di durata è idea di fine: così è pensato il tempo. Così sorge la paura, il sentimento più diffuso degli umani. Invece l’amore pulsionale, l’amore nella parola, è l’istanza di soddisfazione della ricerca e della sua scrittura. L’amore è l’esigenza costitutiva della pulsione, in direzione della soddisfazione. Nell’annunciazione del progetto è impossibile che non ci sia l’amore: senza l’amore, come istanza di soddisfazione che tende a scriversi, il progetto non si formula. E si scrive proseguendo la domanda, nello svolgimento della ricerca.
Freud ha elaborato la proposta dell’amore da transfert. Anche Freud, si può dire, scriveva in etrusco per la sua epoca, e non era letto, non era capito, perché chi lo leggeva convertiva immediatamente quello che trovava scritto nella cosa più vicina al suo modo di pensare. E anche oggi, avviene così. Quando un testo è difficile, si compie un adeguamento. La formula “amore da transfert”, coniata da Freud oltre cento anni fa, è stata intesa come l’amore che rivolge all’analista chi si trova nell’esperienza analitica. Cioè, l’amore è stato convertito in erotismo. L’amore da transfert sarebbe la relazione tra chi fa l’analisi e lo psicanalista? È una rappresentazione della coppietta. Un modo di riprodurre la coppia papà e mamma, marito e moglie, medico e paziente, maestro e allievo, nella presunta coppia psicanalista e analizzante. E cosa li lega? L’idea del bene dell’Altro. Banale, a dir poco, se non fosse chiaro che questa è la via facile per rappresentare il legame sociale, la relazione sociale, sostenuta dall’idea del segreto di mamma.
L’amore da transfert non è relazione sociale. È l’amore che si situa nella parola. E la prima struttura, parlando, è quella della metafora. Per descrivere qualcosa che interessa, che entra nella qualificazione, la prima struttura è metaforica. È la formula del “come se”. Quando parlando interviene la metafora, c’è uno scarto, lo scarto del “come se” e in questo scarto sta l’amore strutturale, l’amore della ricerca, l’amore che non si chiude mai, che non finisce mai, l’amore da transfert. È questo l’amore costitutivo della ricerca che tende a scriversi. E anche in quella che può sembrare annunciare la transitività tra uomo e donna, donna e donna, uomo e uomo, in ciò che si enuncia si tratta dell’amore che si trova nella struttura della parola. E occorre non confondere l’amore con l’erotismo.
Qual è la differenza tra l’amore e l’erotismo? L’amore è infinito, l’erotismo esige di finire. È pensato dare soddisfazione finendo: questo è l’erotismo. L’atto erotico ha importanza per la sua fine. Lì è situato il piacere presunto conosciuto, che deve ripetersi in ogni atto, per l’appunto erotico. L’amore, invece, è irrappresentabile, è l’istanza di soddisfazione della ricerca.
Accanto all’amore, ma nell’intervallo, sta l’odio. Accanto, non in antitesi. Il discorso comune – che come ogni vulgata è bifido, cioè, presenta l’alternativa come possibile – mette l’amore da una parte e, come sua rappresentazione antitetica, pone l’odio. Li converte in sentimento amoroso e sentimento odioso. Ma il rancore, la rivendicazione, la vendetta non sono l’odio.
L’odio non è il contrario dell’amore, non è la sua altra faccia. Anche l’odio è istanza di soddisfazione, ma in un altro registro, ossia nel registro pragmatico, non già nella ricerca, ma nel fare. L’odio è l’istanza che impedisce il rimando, impedisce di procrastinare le cose, impedisce di cedere, impedisce l’invischiamento. La proprietà dell’odio è il lasciare, senza invischiamento e senza adesività rispetto all’occorrenza. Impossibile credere di fare presa sull’odio, perché l’istanza di soddisfazione è pragmatica e istantanea. Le cose incalzano. Questo incalzare delle cose verso la conclusione è l’odio come proprietà del tempo. Non è la facoltà di qualcuno di odiare un altro, questa è psicologia e va lasciata agli animali su cui sono condotti gli esperimenti. L’odio non è attributo umano, non è una proprietà animale, è una proprietà del tempo. L’odio, nel dispositivo della parola, impedisce il rimando, l’accantonamento, il cedimento, perché è instaurato dall’occorrenza.
Invece, se l’odio è assunto come attributo umano è volto in autolesionismo. Quando sulle braccia, sulle gambe o sul corpo di ragazze e ragazzi è dato vedere molteplici cicatrici di tagli in serie, quelle cicatrici sono il segno dell’assunzione dell’odio. Se è assunto il principio geometrico di poter contenere il tempo, di rimandare, di padroneggiare l’urgenza, l’istanza di soddisfazione pragmatica negata è volta in azione e il tempo negato è rappresentato: per neutralizzare l’odio del tempo è attuato l’espediente di tagliarsi, tagliare la pelle, tagliare la carne, tagliare il corpo, tagliare il taglio. Tagliare la corda. Tagliare, per espellere l’odio.
Anche nei cosiddetti “disturbi del comportamento alimentare” (è sempre l’aspetto zoologico del comportamento che è messo in evidenza nella psicopatologia dell’epoca), l’autolesionismo è un modo del cannibalismo bianco, che assume l’amore e l’odio come rappresentazioni delle relazioni umane, in assenza di amore e di odio originari.
La relazione è originaria, non umana. È il due che sta nella parola e non può essere tagliato. Per ciascuno la scommessa è correre il rischio della parola con quanto d’imprevisto, imprevedibile e non assumibile comporta.