L'AMORE SENZA FINE, L'ODIO SENZA RIMANDO
Intorno
all’amore e all’odio è diffusa una ricchissima produzione letteraria, artistica
e pseudoscientifica che esalta l’amore inteso nella transitività, dove si
tratta dell’amante e dell’amato e del desiderio di bene percepito come
sentimento, che farebbe legame, che costituirebbe relazione: qualcosa di
definito e convenzionale di cui si possa dire “So di cosa si tratta”, “È
capitato anche a me”, e che possa anche essere quantificato. Infatti, alcune
delle domande più frequenti a proposito dell’amore sono: “Tu mi ami?”, “E
quanto mi ami?”, “Mi ami quanto io amo te?”. Come stabilire la quantità
dell’amore? Attorno all’ipotesi di parità tra gli amanti sorge la disputa
sull’amore ricambiato e la misura dell’amore.
Nella
parola, la quantità non è quantificabile, è infinita ed essenziale allo scambio;
per questo la domanda va in direzione della sua cifra, del compimento del
progetto e del programma. Occorre che progetto e programma s’instaurino, si
precisino, si avviino e proseguano. Il proseguimento non è scontato, non è
automatico; il proseguimento esige la non accettazione dell’idea di cedimento.
Può sembrare cosa rara il cedimento, ma anche il fatto di rimandare al giorno
dopo o a un’ora dopo l’occorrenza che il programma esige, è un cedimento.
Rispetto a ciò che urge, pensare di non farcela, pensare di non essere
all’altezza, pensare di non essere adeguati, stare a pensare, è un cedimento.
Credere di dovere fare ricorso a qualcosa che aiuti dall’esterno per avere la
forza sufficiente per fare è un cedimento. E non si tratta nemmeno di
trascendere nell’euforia, perché anche l’euforia è un cedimento. Solo che è un
cedimento ammesso dall’apparato, perché l’apparato fornisce il rimedio. Così
come ciò che sta nella nozione di depressione è un cedimento, ma è un cedimento
accettato dall’apparato, perché l’apparato fornisce il rimedio. Così, ogni cedimento
rientra nell’economia del sistema. Nella parola, questa economia del sistema
non c’è, perché non c’è sistema.
Oggi,
diffusamente, l’amore è definito un sentimento. Ritengo che, tra breve, nella
manualistica psicologica, sociologica e disciplinare di ogni tipo, “diventerà”
un’emozione. Mentre il sentimento sarebbe uno stato dell’animo tra la
coscienza, la capacità e la facoltà di sentire, l’emozione è considerata la
reazione a un impulso, a uno stimolo, a un’azione che viene dall’esterno. Sia
nell’apparato medico e psicologico sia in quello educativo sia in altri
settori, l’importanza che oggi viene ascritta alle emozioni è in forte aumento.
Su questa impostazione, alle imprese e alle aziende oggi viene proposta come
grande invenzione l’intelligenza emotiva, una forma di padronanza e di
controllo delle emozioni, che sfocerebbe nel comportamento consapevole, in
grado di consentire l’autoefficacia. Di cosa si tratta? Sembra una bella cosa:
una nuova intelligenza, l’intelligenza emotiva. Quella che sembra una novità è
la riedizione del vecchio organicismo millenario, per cui ogni cosa deve avere una
sua sede in un organo. L’intelligenza emotiva, con le sue emozioni attribuite e
localizzate nell’encefalo, è la cosmesi di un principio della medicina aristotelica
greca e di quella cinese, secondo cui ogni organo è sede di un’emozione, con i
suoi umori. Una concezione umorale. L’intelligenza emotiva è un’emozione encefalica
padroneggiata. E buona parte di ciò che è definito neuroscienze ha come programma
l’innalzamento dell’importanza dell’emotività, con la relativa abolizione del
valore del ragionamento. Si tratta sempre e solo delle emozioni! Tutto si basa
sulle emozioni! “Che posso farci se mi comporto così? È per via dell’emozione!”.
Ognuno ha emozioni. Incontrollabili. Lo schema è questo: c’è uno stimolo e una
risposta; il tutto è mediato dalla chimica. Questa è la novità scientifica. Occorre
fare attenzione quando si sente proporre questa “novità della scienza”, perché
non si tratta di scienza, si tratta d’ideologia. È quell’ideologia che propone
la padronanza, il controllo, la gestione di sé e dell’Altro affidata alla
sostanza.
Quante volte
abbiamo sentito dire che anche nell’amore, in fin dei conti, si tratta di
chimica, la chimica della personalità, e nella sessualità si tratta della
chimica, la chimica dei corpi? Chimica ormonale, chimica dei mediatori, chimica
della sostanza. Chimica dell’animalità, per l’amore animale. Questa è la chance
della civiltà che si annuncia con le neuroscienze: l’apoteosi delle emozioni,
l’amore emotivo, azione e reazione, meglio se chimica, con botta e risposta.
Nessun calcolo, nessun progetto, nessuna comunicazione, nessun dispositivo intellettuale
per il programma di vita. Importa solo la chimica, si tratta del sentimento
chimico, dell’emozione chimica. La parola è tolta, la sua logica è tolta, la
sua cifra è abolita. E l’abolizione incomincia con la rappresentazione del due
in due persone, in due entità, in due modi, il positivo e il negativo, e con
l’idea di durata.
L’amore
incomincia: quanto potrà durare? È già finito. L’amore, sottoposto all’idea di
durata, è già finito, perché l’idea di durata è idea di fine: così è pensato il
tempo. Così sorge la paura, il sentimento più diffuso degli umani. Invece l’amore
pulsionale, l’amore nella parola, è l’istanza di soddisfazione della ricerca e
della sua scrittura. L’amore è l’esigenza costitutiva della pulsione, in
direzione della soddisfazione. Nell’annunciazione del progetto è impossibile
che non ci sia l’amore: senza l’amore, come istanza di soddisfazione che tende
a scriversi, il progetto non si formula. E si scrive proseguendo la domanda, nello
svolgimento della ricerca.
Freud ha
elaborato la proposta dell’amore da transfert. Anche Freud, si può dire,
scriveva in etrusco per la sua epoca, e non era letto, non era capito, perché
chi lo leggeva convertiva immediatamente quello che trovava scritto nella cosa
più vicina al suo modo di pensare. E anche oggi, avviene così. Quando un testo
è difficile, si compie un adeguamento. La formula “amore da transfert”, coniata
da Freud oltre cento anni fa, è stata intesa come l’amore che rivolge
all’analista chi si trova nell’esperienza analitica. Cioè, l’amore è stato
convertito in erotismo. L’amore da transfert sarebbe la relazione tra chi fa
l’analisi e lo psicanalista? È una rappresentazione della coppietta. Un modo di
riprodurre la coppia papà e mamma, marito e moglie, medico e paziente, maestro
e allievo, nella presunta coppia psicanalista e analizzante. E cosa li lega? L’idea
del bene dell’Altro. Banale, a dir poco, se non fosse chiaro che questa è la
via facile per rappresentare il legame sociale, la relazione sociale, sostenuta
dall’idea del segreto di mamma.
L’amore da
transfert non è relazione sociale. È l’amore che si situa nella parola. E la
prima struttura, parlando, è quella della metafora. Per descrivere qualcosa che
interessa, che entra nella qualificazione, la prima struttura è metaforica. È
la formula del “come se”. Quando parlando interviene la metafora, c’è uno
scarto, lo scarto del “come se” e in questo scarto sta l’amore strutturale,
l’amore della ricerca, l’amore che non si chiude mai, che non finisce mai,
l’amore da transfert. È questo l’amore costitutivo della ricerca che tende a
scriversi. E anche in quella che può sembrare annunciare la transitività tra uomo
e donna, donna e donna, uomo e uomo, in ciò che si enuncia si tratta dell’amore
che si trova nella struttura della parola. E occorre non confondere l’amore con
l’erotismo.
Qual è la
differenza tra l’amore e l’erotismo? L’amore è infinito, l’erotismo esige di
finire. È pensato dare soddisfazione finendo: questo è l’erotismo. L’atto
erotico ha importanza per la sua fine. Lì è situato il piacere presunto
conosciuto, che deve ripetersi in ogni atto, per l’appunto erotico. L’amore,
invece, è irrappresentabile, è l’istanza di soddisfazione della ricerca.
Accanto
all’amore, ma nell’intervallo, sta l’odio. Accanto, non in antitesi. Il
discorso comune – che come ogni vulgata è bifido, cioè, presenta l’alternativa
come possibile – mette l’amore da una parte e, come sua rappresentazione antitetica,
pone l’odio. Li converte in sentimento amoroso e sentimento odioso. Ma il
rancore, la rivendicazione, la vendetta non sono l’odio.
L’odio non è
il contrario dell’amore, non è la sua altra faccia. Anche l’odio è istanza di
soddisfazione, ma in un altro registro, ossia nel registro pragmatico, non già
nella ricerca, ma nel fare. L’odio è l’istanza che impedisce il rimando,
impedisce di procrastinare le cose, impedisce di cedere, impedisce
l’invischiamento. La proprietà dell’odio è il lasciare, senza invischiamento e
senza adesività rispetto all’occorrenza. Impossibile credere di fare presa
sull’odio, perché l’istanza di soddisfazione è pragmatica e istantanea. Le cose
incalzano. Questo incalzare delle cose verso la conclusione è l’odio come proprietà
del tempo. Non è la facoltà di qualcuno di odiare un altro, questa è psicologia
e va lasciata agli animali su cui sono condotti gli esperimenti. L’odio non è
attributo umano, non è una proprietà animale, è una proprietà del tempo.
L’odio, nel dispositivo della parola, impedisce il rimando, l’accantonamento,
il cedimento, perché è instaurato dall’occorrenza.
Invece, se
l’odio è assunto come attributo umano è volto in autolesionismo. Quando sulle
braccia, sulle gambe o sul corpo di ragazze e ragazzi è dato vedere molteplici
cicatrici di tagli in serie, quelle cicatrici sono il segno dell’assunzione
dell’odio. Se è assunto il principio geometrico di poter contenere il tempo, di
rimandare, di padroneggiare l’urgenza, l’istanza di soddisfazione pragmatica
negata è volta in azione e il tempo negato è rappresentato: per neutralizzare l’odio
del tempo è attuato l’espediente di tagliarsi, tagliare la pelle, tagliare la
carne, tagliare il corpo, tagliare il taglio. Tagliare la corda. Tagliare, per espellere
l’odio.
Anche nei
cosiddetti “disturbi del comportamento alimentare” (è sempre l’aspetto
zoologico del comportamento che è messo in evidenza nella psicopatologia
dell’epoca), l’autolesionismo è un modo del cannibalismo bianco, che assume
l’amore e l’odio come rappresentazioni delle relazioni umane, in assenza di
amore e di odio originari.
La relazione è originaria, non umana. È il due che
sta nella parola e non può essere tagliato. Per ciascuno la scommessa è correre
il rischio della parola con quanto d’imprevisto, imprevedibile e non assumibile
comporta.