IL BRAINWORKING PER LA COMUNITÀ PRAGMATICA

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brainworker, scienziato della parola, presidente dell’Istituto culturale “Centro Industria”

Quando qualcosa non funziona o non va secondo le aspettative, quando le cose sembrano precipitare vi è chi cerca la via facile, la sostanza che non faccia pensare troppo: per alcuni lo stordimento, assicurato dall’assunzione di droghe, alcool o psicofarmaci, per altri l’ideologia del successo, rappresentata dalla prestanza ideale, da raggiungere colmando le mancanze che non consentirebbero di confermare questo ideale. Sulla credenza nella mancanza hanno prosperato schiere di professionisti, consulenti sempre esperti in quello che manca all’altro. Queste idee di sostanza negano, idealmente, l’assoluto della parola e promuovono il tabù dell’ascolto. Nella famiglia, per esempio, accade che in assenza di ascolto si trasmettano i ricordi, le abitudini e i pregiudizi: la famiglia diventa così il luogo del compromesso dei fantasmi di ognuno. La questione dell’ascolto occorre che si ponga anche nell’impresa, perché l’idea di sostanza può far credere che il profitto sia l’unico metro per valutarne la qualità. Ma anteporre il profitto ideale alla riuscita comporta che, talora, le idee più innovative, dunque meno rassicuranti, dello stesso imprenditore e dei suoi collaboratori siano ignorate, con conseguenze che si ripercuotono nell’avvenire dell’azienda.
In assenza di parola, e dunque di ascolto, può accadere, per esempio, che l’imprenditore sia presunto sbagliare o ingannare o approfittare del proprio statuto. Ecco un’altra idea di sostanza: la vittima, ovvero chi ritiene di essere stato sfruttato dall’imprenditore. Così, in seguito a vertenze basate su aspetti personalistici, alcune aziende chiudono i battenti. Il trionfo dell’ideologia del ricatto e del riscatto, sempre sostanziali, porta l’azienda al fallimento.
Ma questa ideologia può intervenire anche fra il padre e il figlio che lavorano nella stessa impresa. Può accadere che il figlio dell’imprenditore fondatore proponga un programma opposto a quello che aveva indicato il padre, semplicemente perché quello era il programma del padre, da cui il figlio deve differenziarsi. Il risultato può essere o che il padre s’impone come padrone dell’azienda, scoraggiando il figlio a restarvi, o che il padre ritenga di essere figura ingombrante, al punto da “tagliarsi fuori” dall’azienda. L’enunciato più diffuso è che “in fondo, è giusto fare largo ai giovani”: in questo caso interviene un’idea di fine del tempo. Come gestirà l’azienda quel figlio che opera nella credenza che per fare occorreva escludere il padre? Interviene l’ideologia dell’esclusione e della prestanza, non l’integrazione e l’abbondanza. Queste rappresentazioni evitano il ragionamento, il discernimento, la lucidità, sospendono quel cervello di cui scrive Niccolò Machiavelli: fra i tre cervelli, il più eccellente è quello che discerne, ragiona e intende.
Nella comunità pragmatica, come nella famiglia, nell’impresa, nella città non ideali – quindi non sostanziali – è questione di brainworking, è questione di cervello come dispositivo intellettuale, come dispositivo di direzione. Compito del brainworker non è cercare la mancanza per fondare la propria identità professionale, ma attenersi all’articolazione della parola nelle conversazioni, nei testi, nella scrittura di ciò che si fa ciascun giorno. Questo intervento non procede dall’ideologia della sostanza e della fine del tempo, semmai contribuisce all’instaurazione del cervello come dispositivo di direzione dell’impresa, dispositivo per chi si trova nel rischio assoluto, per giungere a una produzione non conforme allo standard, per giungere al profitto intellettuale.
L’economista Emilio Fontela, con il quale abbiamo tenuto i primi corsi di brainworking in Italia, patrocinati dal Fondo sociale europeo, alla fine degli anni novanta testimoniava dalle pagine della “Città del secondo rinascimento” come l’imprenditore stesso sia artista perché interviene, come nella bottega rinascimentale, integrando arte e invenzione, facendo. Ecco la comunità pragmatica, che procede non dall’unità secondo il consenso e il senso comune, ma dall’apertura secondo la logica particolare a ciascuno.
Gli artisti sono in concorrenza? Non è possibile metterli a confronto per stabilire, secondo l’ideologia dell’invidia – che procede sempre dalla visione e non dall’ascolto – quale sia il migliore. Anche l’imprenditore non può temere concorrenza, se si trova in un processo di valorizzazione del percorso culturale e del cammino artistico dell’azienda, che costituiscono la sua particolarità. L’impresa che ignora la particolarità e il proprio itinerario, che ha bisogno di confermarsi nello standard, non ha avvenire.
Compito del brainworker è dissipare l’idea di sostanza che interviene in assenza di parola e di ascolto, minando anche i dispositivi di produzione. Questi dispositivi comportano anche un’altra produzione, la produzione di talenti che si trovano lungo l’occorrenza dell’azienda e dell’imprenditore stesso, perché di arte e di cultura vive l’impresa: vive di ingegno. Questa la lezione di Leonardo, che inventava e produceva nella bottega, una moderna impresa del rinascimento. L’imprenditore non conosce i suoi talenti, perché non sono naturali, ma li constata quando si trova nell’occorrenza assoluta e deve intervenire per via d’ingegno. Altro che rischio calcolato! L’impresa che si trova in un rischio incalcolabile inventa e produce non a partire dalla concorrenza o dalla conoscenza, ma lungo l’occorrenza assoluta, che i presunti concorrenti nemmeno immaginano. La concorrenza ha davanti l’Altro, rappresentato come nemico, ma solo chi si confronta con l’assoluto della parola inventa, perché si trova nel fare senza pregiudizi e senza rappresentazioni della paura. Machiavelli avverte: “Molte volte, per la paura solamente, sanza altra esperienza di forze, le città si perdono”. Con l’instaurazione del brainworking la città non è spaziale e non è ostaggio della paura nella misura in cui costituisce la comunità pragmatica, la comunità dell’arte e dell’invenzione per un’altra produzione.
 
**Il testo di Caterina Giannelli è tratto dall'intervento al convegno Come l’arte e la cultura trasformano la famiglia, l’impresa e la città (Rocca di Vignola, 9 aprile 2016)