LA MECCANICA QUANTISTICA TRA SCIENZA E MISTICISMO

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scienziato, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica di Milano

Nel XX secolo, la fisica ha incontrato una radicale trasformazione. La teoria della relatività e la meccanica quantistica hanno costretto gli studiosi a interagire con un mondo di cui non hanno e non possono avere esperienza diretta. In fisica classica, una grandezza matematica era associata a un oggetto fisico visibile e tangibile: velocità e posizione di una mela che cade o di un pianeta che si muove. Effettuare una misura implicava che se ne trascurasse l’effetto perturbativo. Nella fisica quantistica questo non è più possibile, per via del principio di indeterminazione di Heisenberg. La transizione non è avvenuta senza scossoni. Se sulla parte tecnica c’è accordo diffuso (è sufficiente vedere la tecnologia nata da queste teorie, per esempio i computer, gli smartphone, i GPS), i problemi nascono quando si passa all’interpretazione. Nel 2013, Maximilian Schlosshauer, Johannes Kofler e Anton Zeilinger hanno pubblicato i risultati di un sondaggio tra i fisici quantistici presenti a una conferenza: il risultato fu che solo il 42 per cento dei presenti era a favore dell’interpretazione standard o di Copenhagen, mentre il restante si divideva tra diverse interpretazioni, con anche un 12 per cento privo di preferenze. È normale avere opinioni diverse o cambiarle, ma vorrei sottolineare che tutto avviene mantenendo valida la matematica, tant'è che gli organizzatori del sondaggio si rammaricano di non aver inserito “zitto e calcola” come opzione nelle risposte. Una cosa del genere non avviene nella fisica classica. Basta navigare nel web per rendersi conto che quel sondaggio forniva un quadro ottimistico e che le interpretazioni fantasiose abbondano. Non sto parlando di certi personaggi pittoreschi esterni all’accademia, ma di professionisti che lavorano nelle istituzioni, il che fornisce loro una certa aura di attendibilità. Magari insegnano correttamente la tecnica matematica, ma poi si abbandonano a fughe interpretative che oscillano tra lo spiritualismo e il mentalismo, per non parlare del misticismo. Sembra che avere eliminato l’oggetto fisico visibile e tangibile abbia generato tanti orfani del positivismo materialista, che hanno cercato di rimediare alla perdita sostanzializzando la parola o invocando il cognitivismo o debordando nel misticismo. Come avviene nel Tao della fisica di Fritjof Capra, un fisico teorico che ha lavorato in diverse prestigiose università (fra cui Parigi e Stanford), che cercava nelle religioni orientali l’interpretazione della meccanica quantistica. Un esponente del mentalismo è invece Casey Blood, che ha lavorato per la Rutgers University, e che propone una mente quantica. Anche il più noto Wolfgang Pauli negli ultimi anni di vita si era lasciato abbindolare da Carl Jung nel proporre una teoria sincronicistica basata sull’entanglement quantistico, il collegamento istantaneo tra gli stati quantici di due particelle. Più diffuso è lo spiritualismo, capeggiato dai neoplatonisti, come Roger Penrose o Max Tegmark, e da studiosi dell’informazione quantistica, come David Deutsch, che oggi va molto di moda. In tempi recenti, diverse fondazioni americane hanno orientato i loro finanziamenti verso la fisica fondamentale, dato che ormai la ricerca di base non viene più finanziata dalle istituzioni scientifiche, ossessionate dall’utilitarismo per compiacere il tax payer. Tra queste fondazioni c’è il Foundational Questions Institute (FQXi), che di tanto in tanto bandisce un concorso per un saggio, con titoli già indicativi di certi orientamenti. Il bando aperto in questo periodo ha un sapore decisamente teleologico: “Vagando verso una meta, come può una matematica senza mente originare scopi e intenzioni?” (sic!). La sorgente di queste derive filosofiche può essere individuata nel cambiamento nell’uso del linguaggio, che già fisici come Niels Bohr o Paul Dirac indicavano nei loro saggi: si tende a interpretare concetti come misura o osservazione in senso classico anche per i quanti. Un esempio è il famoso gatto di Schrödinger, che si basa sul principio di sovrapposizione degli stati quantistici, un concetto che non è applicabile a un oggetto macroscopico (e vivente!) come un gatto. Risulta quindi scontato che il forzare l’applicazione generi un paradosso apparente. Senza contare che un altro punto fondamentale è trascurare il tempo: ciò era possibile in fisica classica, ma non lo è trattando di quanti. Come scrive Dirac nel suo celebre manuale: “Il carattere intermedio dello stato risultante dalla sovrapposizione si esprime dunque nel fatto che la probabilità di ottenere un particolare risultato in un’osservazione è intermedia fra le corrispondenti probabilità degli stati originari, non nel fatto che il risultato stesso sia intermedio tra i corrispondenti risultati per i suddetti stati”. Ovvero, il tempo introduce un taglio tra ciò che è probabile prima della misura e ciò che risulta dopo la misura. A differenza dalla meccanica classica, dove la misura è in un certo senso passiva, l’osservazione quantistica è attiva, ovvero l’apparato sperimentale interagisce con l’oggetto della misura. In fisica classica vedo una mela anche prima di misurarne posizione e velocità e assumo che la misura effettuata non abbia alterato significativamente posizione e velocità del frutto. In fisica quantistica, si può dire di avere osservato una particella solo dopo averne misurato la posizione o la velocità in un certo tempo, ma nell’istante successivo già la velocità e la posizione non sono più note. Come più volte ha sottolineato Niels Bohr, nella fisica quantistica diventa essenziale l’attenzione al linguaggio, sia della matematica sia della lingua parlata. Religioni orientali, menti quantiche, parole e simboli sostanziali sono solo fantasie non richieste dalla fisica, i cui collegamenti hanno la stessa validità delle correlazioni bislacche tra due serie numeriche che si trovano sul web, per esempio tra il consumo pro-capite di mozzarella e il numero di dottorati in ingegneria civile.