IL SECONDO RINASCIMENTO CONTRO LA FILOSOFIA DEL NULLA

Qualifiche dell'autore: 
docente di Filosofia della politica all’Università di Bologna

Come filosofo di formazione anglosassone mi sono accostato alle opere di Armando Verdiglione con un misto di curiosità e di diffidenza, perché non sono amante dello stile evocativo francese, preferisco lo stile argomentativo anglosassone.
Nonostante ciò, leggendo i libri dell’Autore, ho trovato in essi una grandissima ricchezza: letti con attenzione, offrono molte soddisfazioni per la novità e ricchezza delle idee che propongono. La grammatica dello spirito europeo, per esempio, si apre parlando di una peste che dilaga a Milano nella nostra epoca, la peste della dissidenza, contro cui si appunta la moralizzazione tesa a imporre la normalità e prevedibilità di comportamento. Gli ottusi burocrati, gli artefici del pensiero normalizzatore di cui parla Verdiglione hanno individuato qualcosa di vero in questa e in altre sue opere: questo è un libro sovversivo perché si scontra con tante idee preconcette, con tante opinioni comuni che circolano nella nostra società e anche con quell’ultima tirannia che anche noi intellettuali ci siamo autoimposti, e cioè la tirannia del “politicamente corretto”. Questo è un libro sovversivo, come lo è la filosofia fin dalla sua origine in Platone: la filosofia costituisce, infatti, un’attività intellettuale che mira a liberare l’uomo dall’ignoranza, dall’opinione per farlo giungere alla verità.
Platone si rendeva conto – anche perché conosceva l’esperienza di Socrate, che era stato condannato a morte dall’Atene democratica perché introduceva, secondo l’accusa, nuovi dei e quindi corrompeva i giovani – che questa nuova attività intellettuale, di cui lui era consapevole artefice, metteva il filosofo contro la città: la filosofia è ricerca della verità, essa va oltre ed elimina quelle opinioni che sono valide per la gente comune; quindi il filosofo, inevitabilmente, entra in contrasto con la città e con i suoi concittadini. In effetti la filosofia non è solo descrizione, non è semplicemente una decostruzione dei meccanismi di potere: la filosofia ha un ruolo prescrittivo, critico, ci fa diventare inevitabilmente pensatori critici.
Dal punto di vista filosofico, in questo libro di Verdiglione c’è un chiaro nemico teorico: Martin Heidegger, uno dei filosofi più importanti del Novecento, che ha influenzato anche filosofie ben diverse dalla sua, tra cui il post-modernismo. Verdiglione coglie molto bene che la filosofia di Heidegger è la filosofia del nulla, una filosofia della morte, una filosofia che fa della morte il momento essenziale per comprendere l’esistenza umana. Heidegger aveva espresso questo in una frase che poi è diventata il centro dello scontro, in un celebre convegno a Davos nel 1929, con un altro grande filosofo tedesco, Ernst Cassirer. È un momento importante per la storia della filosofia del Novecento, perché da quel colloquio due tradizioni nel modo di fare filosofia si originano, costituendo quella che siamo abituati a chiamare la filosofia continentale, da una parte, e quella analitica anglosassone, dall’altra. Cassirer obiettava innanzitutto a Heidegger che non capiva cosa volesse dire in tedesco “Das Nichts nichtet” (“il niente nientifica”) e lo diceva anche per sottolineare che ciò che Heidegger affermava era volutamente oscuro.
Verdiglione coglie bene come questa idea del niente sia un niente verso la morte, e scrive: “L’homo mortalis non basta, per Heidegger: importa la morte salvifica, la morte propria all’homo immortalis. La morte autentica, che giova alla comunità, è la morte eroica, è la morte del soldato in battaglia, è la morte nella lotta.
L’humanitas della morte. La morte dell’homo mortalis, la morte di chi è un disvalore, la morte di quello che Heidegger chiama il ‘nomade semita’, la morte di chi è lontano dalla radice, di chi non è radicale, quella, non è la morte! Nelle camere a gas non avviene la morte, no, avviene la ‘fabbrica dei cadaveri’”. In questo modo, La grammatica dello spirito europeo coglie molto bene non solo il pensiero di Heidegger, ma molta storia filosofica e politica del Novecento.
Verdiglione ricorda molto bene come Heidegger sia stato per adesione morale, autentica, un vero nazista.
E se Heidegger è uno dei nemici filosofici che noi troviamo in questo libro, Ernst Jünger, l’altro autore che in quegli anni ha compreso il problema della tecnica, qui è quasi assente; non a caso, perché i due pensatori tedeschi avevano entrambi trovato nella tecnica la grande novità del Novecento, ma l’avevano interpretata in maniera assolutamente opposta. Per Heidegger, essa era il compimento e la fine della civiltà occidentale, per Jünger era la nascita di un nuovo tipo non solo di civiltà, ma anche di vero e proprio essere umano, quello che chiama “der Arbeiter”: l’operaio, il lavoratore, quello che è il protagonista di questa nuova epoca – scrive queste cose nel 1932! –, di questo nuovo sistema politico, che lui chiama della “mobilitazione totale”, fondato sull’impero della macchina. Heidegger considera questo scenario con pessimismo, Jünger con grande ottimismo.
Ma se in quest’opera Heidegger è il grande nemico filosofico, l’antidoto contro la sua filosofia del nulla, la speranza che possiamo avere per il futuro è rivolta al rinascimento, in quello che Verdiglione chiama “secondo rinascimento”. Io penso che il rinascimento sia stata una delle grandi glorie italiane, probabilmente l’ultimo grande momento in cui siamo stati protagonisti, abbiamo dato un lascito eterno alla civiltà occidentale, e più in generale alla civiltà mondiale. Pensatori come Machiavelli e Leonardo hanno, rispettivamente, dato origine alla modernità politica e incarnato il senso più alto dell’umanità; hanno compreso che un’epoca stava finendo e hanno contribuito al nascere di una nuova.
Un nuovo rinascimento può nascere solamente dall’abbandono della filosofia della morte e da una nuova filosofia della vita.