PROGETTIAMO E PRODUCIAMO SECONDO LA QUALITÀ, NON SECONDO IL PREZZO
Spesso dimentichiamo che per produrre una paletta di
plastica del caffè sono necessarie ore di ricerca e procedure industriali molto
avanzate, in modo che noi possiamo gustare un buon caffè a costi irrisori. Le
cose a cui diamo poco valore sono, quindi, il risultato del grande impegno di
imprese come la sua per rendere più semplici i nostri gesti quotidiani. Quanto è
importante trasmettere questo impegno ai consumatori? La ricchezza di
questo paese è costituita dall’impegno profuso ciascun giorno dalle imprese che
continuano a investire in Italia. Tuttavia, c’è ancora qualcuno che pensa il contrario.
In un articolo pubblicato su un quotidiano locale, nello scorso
luglio, è stato annunciato che una nota casa automobilistica estera, operante
in Italia attraverso l’acquisto di un’azienda bolognese, ha applicato un nuovo
contratto di lavoro ai dipendenti, consentendo loro di scegliere se prendere
cinque giorni di permessi aggiuntivi alle ferie oppure svolgere più ore di
lavoro, percependo più denaro. Il giornalista ha commentato lodando tale
politica e sottolineando la differenza con le imprese italiane, che, a suo
dire, approfitterebbero del basso costo del lavoro per i propri dipendenti.
Ecco, innanzi a queste annotazioni, da imprenditore italiano mi chiedo prima di
tutto perché i rappresentanti politici abbiano lasciato aziende italiane nelle
condizioni di arrivare a sottopagare i collaboratori e poi di essere svendute a
proprietà estere. E aggiungo: chi parla delle imprese italiane conosce davvero
il modo in cui sono costrette a operare in questo paese o parla per sentito dire?
Non trovo giusto che siano così mal informati i cittadini sulla reale situazione
delle nostre imprese.
Con questo modo di informare viene commesso più di un
delitto.
Il lettore è davvero disposto a credere a quello che legge
sui giornali, anziché a raccogliere e valutare in modo critico gli elementi a
disposizione? Quando i giornalisti scrivono considerazioni come queste, con che
criterio raccolgono le informazioni? Ascoltano soltanto i sindacati o anche gli
imprenditori? In quali termini queste informazioni danneggiano le miriadi di
piccole e medie aziende del paese? La prima cosa che mi viene in mente è
che in Italia abbiamo tanti giovani disoccupati. Ma una madre che ha letto
quell’articolo, come può consigliare al figlio di andare a lavorare in
un’azienda italiana? Questo è già il primo danno prodotto. Inoltre, la
pubblicazione di informazioni che non corrispondono alla realtà dimostra che è
più facile generalizzare, squalificando il paese. Nessuno si è mai preso la
briga di andare a interpellare gli imprenditori sul costo della manodopera. Io
non conosco la situazione di altre regioni, ma ho i termini di quella delle
regioni del Nord Italia, delle aziende del Piemonte, della Lombardia, del
Veneto, dell’Emilia-Romagna e della Toscana. Non mi risulta che in queste
regioni i dipendenti siano sottopagati. Ma l’idea che può maturare nella testa di
un giovane che cerca lavoro e legge notizie come queste è soltanto una: “Cosa
ci sto a fare qui in Italia?” Non faccio queste considerazioni per i miei
collaboratori, perché sanno bene che i premi che riconoscono alcune aziende di
proprietà estera sono pubblicizzati nel loro importo lordo, dunque sono di
valore dimezzato. Non ho mai visto o sentito un sindacalista che, alla fine
della riunione, abbia chiesto di parlare con l’imprenditore per fargli i
complimenti, oppure per avanzargli alcune critiche sul trattamento dei
dipendenti. Sarebbe un apporto interessante anche questo. Ricordo che in Italia
l’85 per cento del tessuto imprenditoriale è composto da piccole aziende, in
cui la prima preoccupazione dei titolari è che i loro dipendenti trovino un ambiente
favorevole, anche perché lavorano fianco a fianco con loro.
Qual è il vento che tira nel settore? È un vento che
in questo momento sta sgretolando il modo di lavorare che abbiamo avviato
collaborando con i nostri clienti, in questi anni. Per esempio, nel nostro
settore si stanno imponendo le aste degli stampi: le multinazionali pubblicano
on line aste per la costruzione di stampi. In particolare l’azienda committente
invia alcune informazioni via e-mail, dal momento che all’asta partecipano aziende
del settore di vari paesi del mondo. Per poter partecipare all’asta, occorre
aprire una posizione nel portale per via telematica. In generale, il giudizio
sull’azienda che partecipa all’asta non è effettuato da un operatore, ma
avviene sulla base delle certificazioni che dimostrano di avere le imprese che
aderiscono all’asta. Se mancano, non è possibile accedere alla pagina
successiva.
In questa viene chiesto, quindi, di fornire informazioni
riguardanti la solidità economica, la dimensione dell’azienda ecc. Se sono
superati anche questi parametri, è possibile procedere fornendo informazioni di
carattere esclusivamente burocratico.
Intanto, è necessario che una persona sia impiegata per
alcuni giorni a seguire questo iter on line. Partecipando all’asta, l’azienda
riceve una comunicazione che definisce quali sono le caratteristiche del
particolare che lo stampo deve produrre, accompagnate da un disegno
tridimensionale.
Poi, il partecipante all’asta deve inviare il progetto dello
stampo.
A questo punto, viene chiesto di scegliere con quale metodo
la proponente vuole partecipare all’asta: quello olandese, quello americano o quello
inglese.
Nel sistema olandese, è previsto in apertura un grafico in
cui sono inserite alcune cifre e una linea rossa che indica un target
approssimativo di costo che il committente è disposto a pagare per utilizzare
lo stampo prodotto dall’azienda proponente.
Non sono chiesti suggerimenti su come costruire lo stampo,
ma quanto chiede il produttore per fare questo lavoro. Ogni mezz’ora l’asta si
rinnova, cioè ciascun proponente inserisce la propria proposta di prezzo.
Naturalmente, viene inserito soltanto se inferiore al precedente e non può superare
quell’importo. Poi, dopo mezz’ora, un’altra azienda inserisce un altro prezzo e
se è superiore al precedente viene bloccato subito.
L’asta ha un termine di tempo prestabilito, per esempio due
giorni, in cui il produttore proponente deve monitorare l’arrivo di offerte più
basse.
Quando l’asta si chiude, compare il prezzo che il
committente ha valutato corretto. Se i preventivi sono al di sopra della linea
di prezzo stabilito, l’asta si chiude senza assegnare a nessuno il lavoro. Se,
invece, il prezzo di un produttore è al di sotto di quel livello, allora potrà
partecipare all’asta. Ma l’iter non si conclude con il prezzo più basso, perché
il committente selezionerà i tre importi più ridotti, rilanciando la richiesta
di un ulteriore ribasso entro un termine di tempo definito.
Il metodo americano, invece, non è contrassegnato dal
criterio del tempo, ma soltanto da quello del prezzo.
Il produttore inserisce la proposta di prezzo e, se ne
intervengono di più alti, sono cancellati immediatamente, mentre il primo
rimane in gara fintanto che non arriva un’altra proposta con il prezzo più
basso, che cancella il precedente e così via.
Il metodo inglese è molto simile a quello americano.
Ora chiamerei in causa il giornalista di cui parlavamo, per
fargli notare che sulla mappa di queste aste, in cui posso vedere dove sono i
miei concorrenti, ci sono aziende della Cina, del Vietnam, della Corea, del
Brasile, dell’Argentina e del Venezuela. Quale confronto ci può essere, quando non
sappiamo nemmeno se sono pagati i lavoratori delle aziende di questi paesi?
Questa è l’aria che tira.
Qual è il vento dell’Officina Meccanica Marchetti, che da
40 anni prosegue il suo viaggio senza scendere a compromessi sulla qualità
delle sue produzioni? Il vento che ci deve gonfiare le vele è un vento
diverso. Dobbiamo puntare sul fatto che le nostre aziende sono, prima di tutto,
aziende che risolvono problemi e che lavorano insieme ai propri clienti. Ma
sono aziende che lavorano insieme anche ai propri dipendenti, cercando di
migliorare le loro prestazioni, perché le richieste dei clienti sono sempre più
esigenti.
Il vento che bisogna assecondare non è l’aria che tira, ma è
quello che va in direzione della qualità e di traguardi migliorativi. Non
sempre, infatti, è possibile navigare spediti, qualche volta si naviga di
bolina, con il vento contrario. Allora, è necessario piegare le vele in maniera
tale che anche il vento contrario consenta di seguire una traiettoria che
permetta di arrivare al traguardo in un altro modo, anche impiegando più tempo e
energie, però sarà l’unica maniera per navigare controvento.
Perché navigate controvento? Navighiamo prima di
tutto contro la convinzione delle istituzioni che le aziende siano qualcosa di
negativo, che sporcano, che inquinano e che sarebbe meglio non ci fossero. Ma forse
inquina di più chi pubblica i luoghi comuni sull’impresa italiana.
Soprattutto, rema contro le nostre imprese chi continua a
pensare che siamo agli ultimi posti nelle classifiche delle imprese. Io, per
esempio, ho deciso che la nostra azienda non è adatta a partecipare ad aste di
questo genere, perché noi non vendiamo solo uno stampo: noi lavoriamo a fianco
del cliente, dunque quello che progettiamo, produciamo e testiamo non è
qualcosa che si possa comprare dappertutto nel mondo e al minor prezzo. Noi
vogliamo risolvere il problema specifico del cliente e dargli una risposta su
misura. Progettiamo facendo riferimento a come saremo fra dieci anni, per
questo cerchiamo di essere informati su cosa c’è di nuovo nel mercato. Ci
interessa capire di che cosa avranno bisogno i nostri futuri clienti fra dieci
anni.
E notiamo che gli aspetti tecnologici del nostro lavoro
stanno assumendo preminenza rispetto al fare anziché puntare sulla capacità di
pensare degli operatori. Ma noi riteniamo che in futuro avremo bisogno di più pensiero,
di più intellettualità e di maggiore capacità inventiva. Anche le macchine più
avveniristiche, infatti, non credo arriveranno al punto da avere tasti che si
spingeranno automaticamente da soli. Ci sarà sempre bisogno, invece, dell’uomo che
penserà se è meglio spingere un tasto anziché un altro. Perché è vero che gli
algoritmi danno soluzioni inimmaginabili, ma è proprio sicuro che indichino
sempre le soluzioni più giuste? Quando poi ci confrontiamo con la realtà, con
l’automobile a guida autonoma, per esempio, siamo poi sicuri che l’algoritmo
con cui è stata programmata sia in grado di impedire sempre che il veicolo
possa scontrarsi con un camion? Noi scommettiamo su nuovi modi di produrre, puntando
alla qualità, ma attraverso l’uomo che valuta con il suo cervello e la sua
esperienza se la leva della macchina che utilizza sia da spostare a destra o a
sinistra o se è meglio fare in un altro modo.