UN APPROCCIO SCIENTIFICO PER L’AMBIENTE, OLTRE I LUOGHI COMUNI

Immagine: 
Qualifiche dell'autore: 
CEO di Reagens Spa, San Giorgio di Piano (BO) e presidente di ESPA (European Stabiliser Producers Association)

Nella precedente intervista per il nostro giornale (n. 71, dicembre 2016), lei sosteneva che in Cina – paese comunemente considerato indifferente alla salute dell’ambiente – sarebbero intervenute trasformazioni enormi dal punto di vista tecnologico nell’arco dei successivi tre o quattro anni. Quali sono le novità in tale direzione? Alla fine del 2017 la Repubblica Popolare Cinese ha vietato l’importazione di scraps (rifiuti di plastica, carta, tessuti e residui ferrosi da tutto il mondo), portando, ovviamente, notevoli scompensi nella gestione delle materie prime secondarie nella maggior parte dei paesi industrializzati.
Oltre a essere estremamente positivo, questo è un segnale molto importante: se un paese considerato “inquinatore” come la Cina si sta muovendo in maniera responsabile, presto sarà la volta dell’India e di altri paesi produttori, in cui non c’è ancora una cultura della sostenibilità ambientale. La Cina, inoltre, rispetto ad altri paesi, ha il vantaggio, almeno in questo ambito, di una direzione statalista, molto accentratrice, per cui le decisioni divengono immediatamente esecutive.
Lei ritiene che in questo cambio di marcia sia stata influente l’azione di organismi internazionali, come il TNS (The Natural Step), o di organizzazioni di produttori, come l’ESPA (European Stabiliser Producers Association), di cui lei è presidente, che ha condotto un’importante battaglia per la sostituzione degli stabilizzanti al piombo dal PVC in tutta Europa? Nel nostro settore ci stiamo impegnando molto per estendere le politiche di sostenibilità ambientale ai paesi al di fuori dell’Europa. A questo, però, va affiancata un’attività che fornisca loro sistemi non soltanto ecologicamente più compatibili, ma anche competitivi in termini di costo-performance: nulla di “verde” avrà mai successo, se non è anche competitivo in termini economici.
Comunque, sono tanti i paesi come la Cina e l’India, in cui la sostituzione dei metalli pesanti con soluzioni simili a quelle europee è all’ordine del giorno. Questo avviene grazie agli sforzi non soltanto della nostra Associazione, ma anche della Comunità Europea. Il Commissario Europeo per l’Ambiente, Karmenu Vella, organizza periodicamente missioni nei paesi del mondo più industrializzati, proprio per promuovere le politiche ambientali che hanno avuto successo in Europa. Di recente, per esempio, mi sono recato io stesso con il Commissario Vella in missione in India, per parlare con i principali industriali indiani, con il Ministro dell’Ambiente e con quello dell’Industria, dando testimonianza della nostra esperienza positiva nel settore del PVC.
A proposito di esperienza positiva, dopo gli ottimi risultati ottenuti con Vinyl 2010 (il primo accordo volontario tra i produttori europei di PVC), avete rilanciato poi con VinylPlus. Con quali impegni? Forse il principale impegno che tutta l’industria del PVC ha preso è in termini di riciclo: abbiamo un target di 800.000 tonnellate di PVC da riciclare entro il 2020 nell’Europa dei 28 e, alla fine del 2017, eravamo arrivati a 630.000 tonnellate. Quindi, stiamo procedendo nella giusta direzione.
Fra l’altro, questi obiettivi di riciclo sono stati sposati anche dalla Commissione Europea, che si è prefissa elevati target di riciclo anche per tutti i materiali plastici, da raggiungere tra il 2025 e il 2030. Target che, nel caso del PVC, è già all’orizzonte, perché prevediamo di arrivare nel 2030 a un milione di tonnellate. Tra l’altro, i numeri mostrano che il PVC è uno dei materiali più facili da riciclare dal punto di vista sia tecnologico sia economico.
Spesso si parla d’inquinamento dei mari, marine littering, provocato dalla plastica, ma ciò che può essere più o meno inquinante è l’uso di una sostanza, non la sostanza di per se stessa. Tuttavia, il marine littering non riguarda il PVC, che è utilizzato per la produzione di beni di lunga durata, come i tubi, che durano oltre 100 anni, e gli infissi, che hanno garanzie di durata di almeno quarant’anni e non sono certo oggetti che si trovano per strada o nel mare. Inoltre, è stato proprio il PVC ad aprire la strada verso soluzioni più innovative in termini di riciclabilità, innovando anche i prodotti, in modo da contenere maggiori percentuali di materiale riciclato.
Per esempio, oggi i profili degli infissi non sono più prodotti con un unico blocco di PVC vergine estruso, ma sono quasi tutti ottenuti per coestrusione: una parte sottile esterna di PVC vergine con elevate performance meccaniche e di stabilità alla luce e una parte interna, composta da PVC riciclato proveniente da vecchi infissi o altri oggetti, che serve soltanto da riempitivo e conferisce altre proprietà meccaniche.
Il vostro è un impegno importante, che affronta una questione culturale prima di tutto. Spesso, la poca informazione sul tema porta a considerare il PVC inquinante a causa dei metalli pesanti… I metalli pesanti non si usano più nel PVC in Europa ormai da tre anni: tutti i prodotti fabbricati con PVC vergine sono additivati con sostanze atossiche o comunque prettamente in linea con la legislazione REACH.
Inoltre, all’interno di VinylPlus, abbiamo sviluppato un approccio di valutazione della sostenibilità dell’uso degli additivi, che abbiamo chiamato ASF, Additives Sustainability Footprint. Questo permette non tanto di valutare gli effetti tossici a breve termine, quanto il loro valore nel lungo termine di utilizzo nelle varie applicazioni, prendendo spunto non soltanto dagli aspetti basati sull’LCA (Life Cycle Assessment) della sostanza, ma incrociandoli con gli obiettivi di sostenibilità dettati dal TNS, l’Ong svedese con cui collaboriamo in maniera proattiva da circa dieci anni e c’impone criteri di sostenibilità inflessibili.
Allora, incrociando i due generi di dati, siamo giunti a uno schema che, per ogni applicazione del PVC rigido o plastificato, prende in esame tutti gli additivi che in esso possono essere compresi: c’è un panorama di 168 domande da valutare che danno una visione d’insieme sullo stato attuale di sostenibilità dell’uso degli additivi per una certa applicazione, il che significa sapere a che punto si è e quale strada bisogna percorrere per migliorare progressivamente il grado di sostenibilità.
Interessante, è un approccio scientifico.
Infatti, lavoriamo insieme alle università per ottenere la convalida di questo processo.
È un processo di qualificazione che conferisce valore aggiunto all’intero settore… Certo. È stato ideato per il PVC, però come approccio potrà e dovrà essere esteso ad altri materiali, per i quali possono valere gli stessi criteri.
In questo modo, sarà possibile decidere quale sia il materiale più adatto per ciascuna applicazione: grazie alla possibilità di adottare criteri oggettivi e scientifici nell’analisi, in funzione dell’applicazione, i materiali saranno valutati non soltanto dal punto di vista del costo e della performance, ma anche delle caratteristiche di sostenibilità ambientale.
La Reagens ha di recente inaugurato una nuova sede commerciale in Brasile… Abbiamo una sede produttiva in Argentina ma, siccome il Brasile è il paese più importante del Sud America, abbiamo trovato una struttura di distribuzione e di assistenza tecnica locale che lavora bene e di cui siamo soddisfatti.
Il vostro Gruppo ha sedi e stabilimenti in vari paesi. Quanto è contata nel governo della vostra impresa la rivoluzione digitale? Con l’avvento di Industria 4.0 sembra che tutto debba essere governato attraverso gli algoritmi, il vostro invece è un esempio del modo in cui nessuna tecnologia possa sostituirsi al cervello dell’impresa, che appartiene al patrimonio intellettuale dell’imprenditore e dei collaboratori… Questo, però, non è specifico soltanto di Reagens, penso che non esista nessuna attività in cui in qualche maniera la gestione non sia oggetto del pensiero umano e della collaborazione fra le persone, altrimenti non può avere un grande successo nel lungo termine.
La digitalizzazione deve servire per snellire i processi e renderli più efficienti, più sicuri, più di qualità, ma questo è normale e occorre che le società investano in questa direzione: trent’anni fa si trattava di sostituire il telex con il fax, l’accelerazione c’è stata ed è stata molto importante.
Sono ancora tante le cose da fare in questa direzione, ma sono tutti aspetti che riguardano l’operatività, non il cervello della società.