L’IMPRENDITORIA ITALIANA E LE NUOVE FRONTIERE DELLA ROBOTICA
La vostra azienda, SIR (Soluzioni Industriali Robotizzate),
opera nel campo dell’integrazione robotica dal 1984 e ha all’attivo oltre 3600
impianti installati in tutto il mondo. Oltre alla sede italiana in cui lavorano
100 dipendenti (e altrettanti collaboratori esterni), e alle filiali tedesca e
americana, avete recentemente aperto un distaccamento operativo nelle vicinanze
di Shanghai, con 40 persone dedite alla realizzazione di impianti che possano favorire
la diffusione della robotica nel paese del Dragone. Quali sono le prospettive del
settore per il prossimo anno? Le proiezioni dell’International Robotics
Association prevedono una crescita a due cifre, in particolare sul mercato
cinese, con valori di vendita prossimi alle 400.000 unità annue.
Per quanto riguarda SIR, dal 2014 a oggi abbiamo incrementato
di oltre un terzo il fatturato. Sebbene all’estero il mercato della robotica
sia in crescita pressoché costante, in Italia ci troviamo da alcuni mesi in una
condizione di stallo per quanto riguarda gli investimenti in automazione,
dovuta certamente alla situazione politica interna. A questo si aggiunga il
fatto che gli incentivi all’investimento garantiti dal programma Industry 4.0
sono ormai agli sgoccioli. Va comunque precisato che il mercato dell’automazione
storicamente ha sempre avuto un andamento altalenante, soprattutto per chi,
come noi, si occupa di integrazione di sistemi su misura.
Voi non riuscite a utilizzare il progetto di un impianto
già realizzato per un cliente anche per un altro che richiede un’applicazione
simile? Nell’integrazione robotica non esistono similitudini, ma
soprattutto differenze. SIR automatizza processi di lavorazione complessi per i
comparti più disparati: automotive, fonderia, aereospaziale, industria dei
compositi e delle plastiche, logistica.
Le soluzioni che progettiamo e realizziamo riguardano in
particolar modo le lavorazioni meccaniche di finitura dei manufatti, estese
anche ai compiti pesanti richiesti in fonderia quali taglio e sbavatura,
operazioni di assemblaggio, manipolazione, saldatura e pallettizzazioni. Tra le
tante implementazioni realizzate è importante menzionare l’assemblaggio del
gruppo di distribuzione dei motori nelle vetture ad alte prestazioni, dove i
robot, veri e propri attori del sistema, interagiscono tra loro per completare
il compito richiesto, lavorando in un ambiente a elevata integrazione. In
questi casi vengono applicati concetti di bilanciamento intelligente del carico
di lavoro, per cui un eventuale arresto di un robot della linea viene
immediatamente compensato dagli altri manipolatori, che modificano in modo
automatico il loro ciclo di lavorazione, facendosi carico anche dei compiti
propri. della macchina in avaria. Anche se abbiamo già realizzato queste
tipologie di automazione per diversi brand internazionali, si tratta comunque
di applicazioni che variano notevolmente da cliente a cliente. Per questo
motivo, il nostro è un approccio difficile da capire per la nostra capogruppo cinese
(un’importante realtà produttrice di motori elettrici), perché le grandi
industrie sono per lo più organizzate secondo i dettami della produzione
standard. Attualmente, SIR raccoglie oltre il 60 per cento del suo fatturato
sul mercato estero: questo significa che l’ingegno tecnico italiano viene
comunque riconosciuto e apprezzato, e ne è una prova il fatto di avere
realizzato molti impianti presso i più importanti costruttori di auto tedeschi.
Gli integratori di robotica tedeschi o americani tendono alla specializzazione
e non sono propensi, per mentalità e metodo, all’idea di automatizzare diverse
tipologie di processo e lavorazione, quali sbavatura, assemblaggio e controllo,
all’interno di uno stesso impianto.
Purtroppo, però, sul mercato globale occorre sempre lottare
contro il pregiudizio che l’imprenditoria estera ha nei confronti degli
italiani, sempre additati come quelli che “sanno fare tutto, quindi non sanno
fare niente”: in realtà la fantasia tecnica italiana si trasforma spesso in un
risultato prettamente pragmatico. Questo accade anche nei progetti europei di
cui SIR è partner: i partecipanti italiani sono gli unici che mirano al risultato
pratico, mentre paradossalmente i partner degli altri paesi, che erroneamente
riteniamo più realisti, hanno invece una mentalità idealista, mirando a
raggiungere il 100 per cento del risultato teoricamente atteso. Noi partiamo
invece dal presupposto che un progetto di ricerca, per definizione, non è
scontato che giunga al pieno soddisfacimento delle aspettative iniziali.
Preferiamo concentrarci sul raggiungimento di un risultato parziale, a patto
che questo si traduca in una soluzione pratica e funzionale. Lo stesso concetto
viene spesso applicato nella realizzazione degli impianti: quando, per esempio,
dobbiamo automatizzare una lavorazione di sbavatura, non è detto che il robot
riesca a eseguire la totalità del compito richiesto, perché possono esserci
aree non raggiungibili che occorre continuare a lavorare manualmente.
Ottenere un risultato al 90 per cento su lavorazioni
complesse rappresenta comunque un notevole aumento di produttività e qualità.
Se ci concentrassimo sul raggiungimento del risultato
globale, come vorrebbero alcuni tecnici idealisti, impiegheremmo tempi biblici
per giungere a una soluzione minimamente funzionante. Senza voler fare discriminazioni,
dobbiamo quindi constatare che gli italiani, se da un lato sono rinomati per la
loro fantasia, dall’altro risultano molto più pragmatici di quanti si vantano
di essere con i piedi per terra.
Industry 4.0 ha dato un notevole impulso allo sviluppo
della fabbrica automatica.
Anche SIR ha automatizzato i propri processi interni? Abbiamo
attivato procedure e sistemi per proteggere il nostro know-how. Il valore di
SIR è dato principalmente dal suo patrimonio intellettuale: per questo abbiamo archiviato
tutta la nostra storia su un server altamente protetto al quale dipendenti ed
entità esterne possono collegarsi in locale o in remoto per lavorare, senza
però avere la possibilità di scaricare alcun file. È stato un processo di
trasformazione che ha richiesto uno sforzo notevole da parte dei collaboratori,
che hanno dovuto assimilare nuove metodologie di archiviazione, in modo che lo
stato di avanzamento di un progetto fosse leggibile e tracciabile da chiunque e
in qualsiasi momento. Inoltre, abbiamo effettuato la migrazione verso la progettazione
meccanica in 3D, anche perché questa metodologia è ormai l’unica insegnata
dalle università.
Questo ha comportato un notevole mutamento, soprattutto a
livello di approccio intellettuale, per i progettisti storici della SIR: si
tratta infatti di una modalità di progettazione completamente differente, anche
per la complessità dei programmi utilizzati.
Tutto ciò ha inizialmente causato un ovvio rallentamento
nella fase di studio meccanico della soluzione.
Tuttavia, adesso che il processo di digitalizzazione
dell’azienda è in via di completamento, incominciamo a godere dei vantaggi da
esso derivanti e siamo pronti per i nuovi scenari che si prospettano per il
futuro.
A che cosa si riferisce? Alla nuova robotica che si
sta velocemente affermando: le metodologie di programmazione off-line e
l’utilizzo dei sistemi di realtà virtuale per la progettazione permettono, per esempio,
di simulare il comportamento di una macchina o di una rete di macchine ancora
prima di averla costruita, comodamente seduti davanti al proprio PC. La simulazione
virtuale dei robot consente di ricreare le logiche di fondo e i movimenti che l’operatore
manuale compie per processare un manufatto e di vederne in anteprima i
risultati: tali movimenti verranno poi automaticamente trasformati in codice
macchina e inviati ai robot reali, che svolgeranno il compito richiesto senza
che sia necessaria alcuna difficoltosa programmazione sul campo. Si tratta
quindi di una vera e propria “automazione dell’esperienza”: l’operatore manuale
si trasforma da semplice conduttore dell’impianto a convogliatore di esperienza
e conoscenza. Anche l’interazione con l’ambiente è notevolmente aumentata: i
sistemi di visione artificiale evoluti, veri e propri occhi dei robot
industriali, presenti ormai nell’80 per cento delle applicazioni, possono
guidare un robot al prelievo di un elemento non solo sul piano, ma nello
spazio, proprio come farebbe l’uomo, e in completa sicurezza.
Ma i media sono concordi nell’affermare che la vera
rivoluzione sia la robotica collaborativa… Non sappiamo ancora se la
robotica collaborativa rappresenti solo un’operazione di marketing o se sia effettivamente
l’inizio della rivoluzione che ci porterà verso “Industry 5.0”. I robot che
interagiscono e lavorano a stretto contatto con l’essere umano richiedono una progettazione
particolarmente attenta all’analisi dei rischi: non solo il robot, ma anche le pinze,
le macchine accessorie e gli elementi manipolati devono garantire l’assoluta
incolumità dell’operatore.
In breve, tutta l’applicazione dev’essere collaborativa.
Questo comporta un differente approccio concettuale per l’integratore abituato
alla progettazione di soluzioni con macchine più tradizionali. Certamente, i
robot collaborativi possono avere un vantaggio nelle lavorazioni in cui il
robot viene percepito come strumento di aiuto secondario al lavoro manuale.
Ma si tratta comunque di applicazioni che, per loro stessa
natura, non possono che essere semplici, caratterizzate da pesi ridotti a bordo
e da movimenti a bassa velocità, per ovvie ragioni di limitazione dei rischi. È
chiaro che in tal modo viene meno la ragione principale per cui si utilizza la
robotica: la produttività.
Può darsi che in futuro questi robot saranno impiegati su
larga scala, ma, per il momento, le principali case costruttrici si limitano a
una produzione infinitamente ridotta se paragonata a quella dei robot
industriali tradizionali, che continuano a essere i protagonisti del mercato.
Per ora, la robotica collaborativa è più un’attrazione fieristica che una
realtà industriale affermata.