IL CERVELLO DELL’IMPRESA È NEI DISPOSITIVI DI PAROLA

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ingegnere, CEO di SIR SpA, Modena

Dal 1984, SIR Spa automatizza processi di lavorazione complessi per i comparti più disparati: automotive, fonderia, aereospaziale, industria dei compositi e delle plastiche, logistica. Gli oltre 3600 impianti che avete progettato e installato in tutto il mondo vanno dall’automazione delle lavorazioni meccaniche di finitura ai compiti pesanti richiesti in fonderia, dalle operazioni di manipolazione, saldatura e pallettizzazione all’assemblaggio di gruppi complessi, dove i robot interagiscono tra loro per completare il task richiesto, lavorando in un ambiente a elevata integrazione. Considerando che ciascun impianto è ideato su misura per lo specifico cliente, quanta flessibilità richiede l’organizzazione del lavoro di centinaia di collaboratori, interni ed esterni, delle vostre sedi in Italia, Germania, USA e Cina? Le aziende occidentali oggi sono basate essenzialmente sul lavoro di squadra. Esiste ancora un’organizzazione piramidale con la figura dell’amministratore delegato o dell’imprenditore all’apice, ma tale struttura rappresenta soprattutto i differenti livelli di responsabilità e non una mera scala gerarchica, come accadeva in passato. Da un punto di vista decisionale, la piramide assume contorni più sfumati: le scelte non discendono più a cascata dall’alto in modo acritico. Le decisioni relative a un progetto vengono condivise da una squadra allargata, di cui fanno parte non solo i responsabili più elevati, ma anche le figure chiave che dovranno occuparsi della realizzazione operativa. La classica piramide dei ruoli è in pratica sostituita da piramidi parallele, in cui viene incentivato il lavoro in team e in cui ciascuno viene attivamente coinvolto per il raggiungimento degli obiettivi.
Le idee arrivano dai responsabili, ma ciascun componente del team è libero di commentare, esprimere il proprio parere e apportare il proprio valore aggiunto. È un approccio moderno, che ancora non ha preso piede nelle economie orientali, dove l’industria ha una storia più recente.
Forse anche a causa di un retaggio politico di stile più autarchico, le aziende orientali hanno una struttura gerarchica più rigida e consolidata, simile alle nostre realtà degli anni sessanta. Difficilmente un subordinato, in queste realtà, osa mettere in discussione una decisione di un superiore di ruolo, giusta o sbagliata che sia, o apporvi correzioni di sorta.
Un’azienda come SIR agisce invece come un team di Formula 1: anche chi ha funzioni più subordinate rappresenta un tassello importante che contribuisce alla riuscita. Al contempo, il lavoro diviene sempre più trasversale: mentre in un’organizzazione rigida ciascuno svolge esclusivamente il proprio compito, in un team ciascuno si presta ad aiutare anche gli altri componenti della squadra. Lo scambio di informazioni, idee e opinioni diviene il vero motore dell’azienda. L’ufficio tecnico può essere coinvolto in decisioni di marketing, quando occorre scegliere che tipo di applicazione esibire in una fiera. Al contrario, l’ufficio commerciale è quotidianamente coinvolto nell’ambito delle scelte tecniche.
Ciascuno sconfina nel lavoro degli altri e ha la possibilità d’interagire con responsabili e colleghi. La gelosia del know-how individuale, un tempo molto presente come strumento di mantenimento del proprio potere e della propria posizione, è stata sostituita dall’idea che nessuno è individualmente indispensabile, ma rimane comunque basilare per l’alchimia del team: in breve, il peso specifico della squadra è molto maggiore della somma delle parti. È probabile che questo approccio sia un risultato dell’internazionalizzazione: il fatto che negli ultimi vent’anni le aziende emiliane, anche le più piccole, siano state costrette a confrontarsi con il mercato globale ha consentito loro di assimilare la lezione delle realtà anglosassoni, da molti anni avvezze al lavoro in team.
Quindi, il cervello dell’impresa non è più localizzabile in qualcuno in particolare, ma nei dispositivi che s’instaurano per svolgere le varie attività, di volta in volta. Ma questo che implicazioni ha in termini organizzativi? Chi controlla, per esempio, che ciascuno si attenga alle regole stabilite e ai tempi concordati? Una piramide dei ruoli più sfumata può indurre a pensare che la struttura aziendale ne risulti indebolita. Non è così, perché regole, tempi e costi devono comunque essere rispettati e il controllo oculato rimane un caposaldo dell’organizzazione. Il lavoro di squadra, d’altro canto, rafforza il senso di responsabilità di ciascuno: è interessante notare come questo favorisca automaticamente il rispetto di determinate regole. Molte persone tendono a non abbandonare il posto di lavoro sino a quando non hanno portato a termine il loro compito, senza che nessuno li obblighi o li sproni a farlo. Semplicemente ritengono che il completamento del task sia importante per tutto il team.
E rispetto ai tempi di consegna, c’è un coordinatore, un referente in ciascuna squadra? I tempi vengono sempre rispettati perché espressamente indicati nei contratti stipulati con i clienti: un impianto deve essere tassativamente consegnato entro la data stabilita. Le grandi case automobilistiche hanno una pianificazione molto accurata sul lungo periodo. Il giorno esatto di avvio della produzione di una nuova auto viene stabilito con largo anticipo. Un eventuale impianto robotizzato asservito a tale produzione dovrà essere in funzione entro quel giorno, qualunque cosa accada.
Se ci sono ritardi, occorre lavorare anche di notte, il sabato e la domenica.
Il nostro lavoro è caratterizzato da tempistiche serrate nelle varie fasi del processo realizzativo, in modo da rispettare scadenze ben definite a priori per quanto riguarda il precollaudo di accettazione presso SIR e il collaudo finale presso la sede del cliente. Eventuali ritardi costerebbero all’azienda pesanti sanzioni, per cui ciascun responsabile di ogni fase produttiva deve attenersi ai tempi indicati e risponderne. Quando una fase viene terminata, il compito del relativo responsabile non è comunque concluso, in quanto ciascuno continua a interessarsi alla buona riuscita del progetto, senza rimpalli di responsabilità. Nel caso un ente si trovi in difficoltà, tutti interagiscono per risolvere la situazione e impedire il protrarsi del problema.
La squadra è quindi caratterizzata da una comunicazione costante e lavora sempre in modo coordinato, non a compartimenti stagni, come poteva accadere in passato. Vengono tenute continue riunioni di aggiornamento, a cui partecipano i responsabili dei vari enti e in cui vengono discusse tutte le problematiche: chi fa cosa, come e quando.
Incontri pragmatici, che poi costituiscono i dispositivi di parola. Dispositivo vuol dire ritmo, è la traduzione latina del greco rythmos: gli incontri con una cadenza costituiscono un ritmo, un dispositivo, che ha effetti sull’organizzazione… Affinché un’organizzazione sia efficace, non bastano i software di gestione dei processi, certamente utili per avere una chiara fotografia di ciò che sta accadendo. Le decisioni rimangono però di esclusivo appannaggio delle persone. Solo confrontandosi si può fare la scelta corretta. Lo stesso strumento della posta elettronica non può sostituire la conversazione: non è sufficiente inviare una mail agli altri colleghi avvisando di un problema, perché equivarrebbe a una delega di responsabilità, come dire: “Io vi ho avvisato, adesso pensateci voi”. Le soluzioni derivano esclusivamente dall’incontro e dalla discussione attiva e propositiva. Gli strumenti informatici e digitali rimangono dispositivi, per così dire, fotografici, e non di parola.
Nella comunicazione automatica viene meno anche l’impegno… Al giorno d’oggi esistono tanti modi per disimpegnarsi. Si pensi a chi fa colloqui di assunzione tramite test scritti per capire se un candidato può essere adatto a una determinata mansione.
Per comprenderlo, occorre ben altro. Più che le hard skills, identificabili nelle conoscenze del candidato, occorre valutare quali siano le sue soft skills: attitudine alla risoluzione di un problema, mentalità, entusiasmo, predisposizione all’apprendimento, capacità di apportare idee utili. Sono aspetti che si possono intuire esclusivamente parlando: ecco perché i dispositivi di parola continuano a essere strumenti insostituibili. Oggi, a supporto dell’attività commerciale, esistono software di configurazione molto avanzati, in grado di determinare prezzi di prodotti e servizi in base ai costi di realizzazione e altri parametri iniziali. Ma nel processo di vendita, non possiamo ridurre tutto a una mera equazione matematica.
Ciascuna soluzione e ciascun cliente hanno le loro peculiarità, per cui è necessaria una sensibilità umana e adattiva che può derivare solo dai dispositivi di parola. A volte l’automazione dei processi sembra invece fungere da vero e proprio scaricatore di responsabilità. Si tende in pratica a utilizzare questi strumenti per sfuggire da un consapevole processo decisionale e dal rischio che ciascuna decisione comporta. Non è chiaro se l’attuale, diffuso atteggiamento antidecisionale dipenda o meno dal tipo di educazione ricevuta. Qualunque sia la causa, le nuove generazioni tendono comunque a evitare il più possibile il processo di scelta. Allo stesso tempo, ambiscono già al primo impiego agli alti livelli della piramide organizzativa, paradossalmente, proprio quegli stessi ruoli che richiedono una più alta capacità decisionale. Il turnover elevato che molte aziende stanno sperimentando deriva da un’instabilità di fondo delle giovani risorse professionali, contraddistinte da un continuo anelito per i posti di livello superiore, ma restie ad accettarne le relative responsabilità.
Forse non trovano interlocutori. Non è facile instaurare dispositivi di parola… Anche il sistema scolastico contribuisce a produrre questa condizione, creando aspettative troppo ambiziose se rapportate alla realtà dei fatti.
Sorprende anche come oggi sia davvero difficile trovare qualcuno che sappia parlare un italiano corretto.
Moltissimi credono che sia un aspetto secondario della propria istruzione: eppure la lingua è la struttura di base che permette la comprensione di tutti gli altri aspetti della tecnica o dell’arte. Un tempo si diceva che chi non sa leggere, scrivere e fare di conto non potrà mai giungere ad alti obiettivi. In un mondo in cui ci si fa forti della propria incompetenza, questa massima appare stantia e superata. In realtà, è ancora e più che mai tremendamente vera.