IL VIAGGIO DELLA VITA È NELLA PAROLA

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Qualifiche dell'autore: 
cifrematico, psicanalista, direttore dell'Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

La psicanalisi è un’acquisizione imprescindibile del novecento. La cifrematica dà a essa uno statuto non disciplinare né corporativo, non medico né psicoterapeutico. Nessuno oggi può ignorare il contributo della psicanalisi al testo occidentale. Salvo imbottirsi di luoghi comuni distribuiti in varie forme – dagli psicofarmaci all’alcool alle droghe – e finalizzati al benessere a tutti i costi, da raggiungere con il minimo sforzo e possibilmente senza pensare. Ebbene, se c’è qualcosa che la cifrematica non accetta è proprio la delega del cervello, l’assenza di pensiero e di lucidità.
La battaglia per la riuscita che ciascuno combatte nel viaggio della vita comporta anzitutto che mai, per nessun motivo e nemmeno per un istante, ci sia chi possa credersi vittima, incapace e irresponsabile, quindi posseduto o plagiato. Eppure, quanti uomini e donne sono pronti ogni giorno ad attribuire ad altri la responsabilità dei propri gesti e dei propri atti? E quanti sono coloro che ancora oggi considerano le donne come soggetti deboli, da proteggere, perché non cadano vittime di malintenzionati? Ma la questione forse non è quella di considerarle vittime quanto di favorire sempre più la loro riuscita in vari ambiti della società.
Constatando che la cifrematica e la nostra psicanalisi non sono finalizzate al benessere, c’è chi si chiede in che modo possano dare un contributo alla vita di ciascuno. Intanto, dire “la nostra psicanalisi” non è un modo per sancire una corporazione o una congregazione: la nostra psicanalisi è quella che dà testimonianza del “nostro” caso di qualità, del caso di qualità di ciascuno che si trova a fare cose straordinarie, con gioco e invenzione, anziché indugiare nel concetto di malattia mentale e quindi di caso patologico. Con la cifrematica, la psicanalisi può dare un apporto alla famiglia, all’impresa, alla città, che non devono più essere considerate istituzioni edificate su un terreno più o meno minato, spazi e territori da padroneggiare, da spartire, da dominare, attraverso una lotta fratricida e infanticida. “Facendo, nessuno toglie nulla all’Altro”, scrive Armando Verdiglione nel libro L’albero di san Vittore, “non facendo, ognuno toglie all’Altro l’infinito”. La città del fare è la città attraversata dal tempo, la città che si edifica sul terreno dell’Altro, con la sua ragione e il suo diritto. Anche qui sta l’apporto della nostra psicanalisi, nell’instaurazione del diritto e della ragione dell’Altro. Ma per questa instaurazione occorre la procedura per integrazione, una procedura non penale e non psicofarmacologica, quella in cui le cose procedono dall’apertura, dal due e non dall’alternativa esclusiva. Questa procedura consente in ciascun istante di lasciare aperta la questione, anziché di chiuderla per la fretta di sistemare le cose. Per questo la cifrematica propone il dispositivo di parola, che nulla ha da spartire con il concetto di sistema, sempre alla ricerca della soluzione e della salvezza.
Magari ognuno crede di cercare la salvezza, la soluzione per vivere, ma la pulsione, per ciascuno, è rivoluzione delle cose verso la qualità. Quindi conta il contributo che ciascuno può dare alla città e alla civiltà, non alla loro o alla propria salvezza. La città e la civiltà non sono più le stesse se c’è la parola. E non è scontato dare un contributo in questa direzione: la cifrematica offre gli strumenti perché ciascuno possa darlo, con un approccio intellettuale alla vita, all’impresa, alla famiglia, all’educazione, un approccio che non ha dinanzi il bene o il male, ma l’avvenire, un approccio in cui la crisi è incessante perché è il giudizio del tempo (“crisi” dal greco krisis, vuol dire “giudizio”), è la crisi che interviene facendo, inevitabile e ineludibile.
Ciascuno di noi è in viaggio, e il viaggio della vita è intellettuale, è nella parola. Credere che sotto la parola ci sia una sostanza vuol dire assegnarsi la pena, fare della vita un viaggio verso una meta obbligata, in cui tutto è definito e finito, in cui le cose, gli uomini, le donne, appesi all’albero della conoscenza, albero del bene e del male, hanno un prezzo.
A questi uomini e a queste donne il valore è negato e così la valorizzazione della memoria: si vedono predestinati e hanno già scelto, la questione per loro è chiusa, senza l’Altro e le sue virtù, senza il tempo e l’infinito che procedono dal fare. Il valore, il capitale intellettuale, la cifra non sono qualcosa da cui si parte ma a cui si giunge in seguito alla scrittura di ciò che si fa. Nulla si fa e nulla si scrive con l’idea di fine del tempo, con l’idea di padronanza su di sé e sugli altri, con l’idea di ricatto e di riscatto che dovrebbero contribuire alla salvezza. L’approccio intellettuale alla vita non punta alla salvezza ma alla qualità. Sta qui una delle più grandi novità della cifrematica e della nostra psicanalisi rispetto alle psicoterapie e alle dottrine che provano sempre a chiudere la breccia aperta dal rinascimento prima e da Freud poi e che si occupano della salute come principio. Sono lontane dal considerare la salute come istanza di qualità, che quindi non può essere posta a principio, ma procede dal fare, procede dal compimento del progetto e del programma di vita, giunge in seguito all’approdo.
Vivendo, il disagio e le difficoltà sono inevitabili. Ma divenire caso di qualità dipende dal modo in cui si affrontano il disagio e le difficoltà, che non sono mai sostanziali. Anche i problemi che sembrano più insormontabili sono sempre questioni intellettuali, che occorre affrontare parlando, facendo e scrivendo, instaurando dispositivi con ciascuno, in modo che nulla sia dato per scontato, chiuso, definito una volta per tutte.
La questione intellettuale è la questione aperta: nella parola, ciascuna cosa è intellettuale e parlando, facendo e scrivendo ciascuno ha la chance di divenire capitale intellettuale e giungere all’unicum.