LA VIA AMMINISTRATIVA, LA VIA DELLA SALUTE

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Qualifiche dell'autore: 
psicanalista, cifrematico, direttore dell’Associazione culturale Progetto Emilia Romagna

L’amministrazione pubblica è imprescindibile dalla società civile e sempre più dovrebbe contribuire al valore, anziché limitarsi a controllare che i cittadini e le imprese seguano le regole. Purtroppo, però, in Italia, quando si parla di amministrazione pubblica, il riferimento immediato è a una mentalità che Armando Verdiglione definisce “burocratura”, dittatura della burocrazia.
L’amministrazione è essenziale per la memoria: non ci sarebbe scrittura delle cose che si fanno, non ci sarebbe formalizzazione senza l’amministrazione.
Le fatture, per esempio, sono la scrittura di ciò che si fa. Nulla giungerebbe al valore senza questa scrittura. Ma che cosa sarebbe l’amministrazione aziendale, per esempio, se pretendesse di mettere un freno al programma dell’imprenditore? Sarebbe un limite per la vita stessa dell’impresa.
L’impresa poggia sull’infinito, e l’infinito non si conta. Nell’impresa, è il fare a instaurare la quantità, l’imprenditore non si basa su una quantità già data. Facendo, incontra l’aumento, l’abbondanza e il flusso infinito. Se l’amministrazione pretendesse di quantificare, dosare, misurare le cosiddette risorse in base alle quali stabilire cosa fare, l’impresa si bloccherebbe, perché è impossibile sapere in anticipo l’esito delle cose che si fanno. Caso per caso, l’imprenditore e i suoi interlocutori valutano, ragionano e scommettono, prendendo decisioni difficilmente applicabili in un altro caso e in un altro momento. L’amministrazione che punti all’ordine ideale, all’armonia sociale, non tollera l’infinito su cui poggia l’impresa. Considera l’infinito come portatore di anomalia. Allora, può accadere che l’amministrazione pubblica veda l’anomalia dell’impresa o dei cittadini come una minaccia per lo stato e faccia appello alla burocrazia come strumento di salvezza per garantire la normalità, mettendo tutti in riga, sulla base del buon senso, del consenso, del senso comune.
Ma quale artista, poeta, scienziato, imprenditore ha mai prodotto le sue opere limitandosi al rispetto dei canoni dell’epoca? Gli imprenditori che intervistiamo sul nostro giornale, “La città del secondo rinascimento”, nell’incontro con i clienti, i fornitori, i collaboratori, ciascun giorno, vivono nel racconto di un’avventura che non parte mai dall’idea di fine del tempo, di limite soggettivo, di stanchezza o di economia delle energie, ma fanno le cose secondo l’occorrenza. Non è escluso che questo sia fonte d’invidia per chi crede nella normalizzazione della società e nella sua omologazione.
L’anomalia, la differenza e la varietà, l’infinito dell’impresa alimentano l’ideologia dell’invidia, che nella provincia Italia non è mai stata sconfitta.
Nel nostro paese, la casta in tutta la sua burocrazia è giudiziaria, penalpopulista.
Non è una novità che l’Italia sia ostaggio delle corporazioni.
I politici e i loro movimenti si sono avvicendati nel corso dei decenni, ma i funzionari e gli impiegati della pubblica amministrazione sono rimasti sempre al loro posto nei ministeri, nei tribunali, nella pubblica sicurezza, nei comuni, nelle regioni, nelle sovrintendenze e negli altri enti territoriali.
Sono all’ordine del giorno gli esempi di pratiche bloccate che si traducono nel venir meno di guadagno, sviluppo e crescita nella vita di cittadini, aziende, scuole, università e associazioni.
È chiaro che non si tratta di dichiarare guerra a qualcuno in particolare: spesso sono i nostri stessi amici e parenti che lavorano come impiegati negli uffici pubblici. Ma la burocrazia a volte è stata usata per distruggere ciò che non rientrava nella logica del sistema, non rendeva omaggio all’“onorata società”, non pagava il dazio alle bande organizzate per la partecipazione al privilegio del potere.
Una cosa è certa: la burocratura non tollera l’impresa libera, dove le cose si fanno secondo l’occorrenza e il fare poggia sull’humanitas come terreno dell’Altro. L’impresa libera disturba, è sospetta, perché non sottostà ai canoni del pensiero unico. Le arti e le invenzioni che intervengono in ciascuna impresa sono sospette, possono portare a un valore incalcolabile e non riconducibile al compenso mercenario della “pena” assegnata al soggetto per produrre “beni di prima necessità”.
In breve, la burocratura non tollera il caso di qualità, che sfugge alla casistica e alle classificazioni e non rientra negli standard.
La burocrazia nasce con la cosiddetta riforma cattolica, contro il rinascimento, contro l’humanitas delle botteghe, contro la combinazione di cultura, arte, scienza, ricerca e impresa. Allora, dopo cinque secoli di ostracismo, è venuto il momento di valorizzare quel capitalismo intellettuale nato con il rinascimento ed ereditato dalle nostre piccole e medie imprese, dove il talento e l’ingegno danno frutti straordinari che conquistano il pianeta, senza bisogno di aggrapparsi all’idea d’impero.
L’Italia e l’Europa non provinciali oggi hanno il compito di promuovere il secondo rinascimento e non possono esimersi dalla battaglia per dissipare la mentalità burocratica. In che modo? Sta a noi trovare la via amministrativa, la via della salute, con i dispositivi di parola che instauriamo ciascun giorno.