CHI TUTELA L’IMPRENDITORE?

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direttore generale, Arco Chemical Group

È del mese scorso la notizia che i circa 200 Ceo della Business Roundtable – di cui fanno parte oltre 180 aziende come JpMorgan Chase, Apple, Amazon e Accenture, che impiegano 15 milioni di dipendenti — hanno prodotto un documento che afferma la priorità della responsabilità sociale dell’impresa: “Accanto alla massimizzazione dei profitti, ogni compagnia deve avere come scopo quello di arricchire la vita dei propri dipendenti, dei consumatori, dei fornitori e delle comunità, servendo gli azionisti in modo etico e rispettando l’ambiente”.
Il vostro Gruppo, come ciascuna piccola e media azienda italiana, non ha avuto bisogno di aspettare il 2019 per attuare politiche di responsabilità sociale nei confronti sia dei lavoratori sia dell’ambiente… L’attenzione che abbiamo sempre avuto per la salute delle persone e dell’ambiente è provata dalla nostra storia: quasi trent’anni di conquiste, frutto dell’investimento costante nell’eccellenza. Basti pensare che, già nel 2008, il nostro Gruppo è stato insignito del Premio all’Innovazione Amica dell’Ambiente (di Lega Ambiente) per Gynius, l’erogatore di detergente destinato alle imprese di pulizia, che riduce in modo drastico i consumi e i rifiuti e può essere gestito dallo smartphone o dall’ufficio.
Un percorso che ci ha portato a essere la prima azienda italiana a realizzare e immettere sul mercato del cleaning professionale europeo una gamma completa di prodotti a marchio Ecolabel, a prediligere forme di distribuzione che riducono l’impatto ambientale, eliminando gli ingombranti contenitori in plastica a vantaggio di piccole confezioni monodose di detergenti concentrati e a presentarci all’ultima edizione della fiera Pulire (Verona, 21-23 maggio 2019) con lo slogan “Detergenza Green Certificata”. Il nostro programma di Green Cleaning va al di là delle scelte di sistema, delle attrezzature e dei prodotti chimici, perché comprende anche politiche, procedure, formazione e responsabilità condivise che riducano al minimo l’impatto dei materiali per la pulizia sulla salute degli occupanti dell’edificio e che proteggano l’ambiente nel suo complesso. Ecco perché consideriamo i nostri clienti partner e non semplici acquirenti: forniamo loro anche la formazione delle persone addette alle pulizie, che riescono in questo modo a sentirsi protagonisti del pulito intelligente, anziché meri esecutori di ordini superiori.
Io credo che le dimensioni delle imprese italiane abbiano sempre consentito una forte collaborazione fra datori di lavoro e dipendenti e credo che i nostri imprenditori abbiano da sempre adottato politiche di welfare aziendale e responsabilità sociale.
Secondo un’analisi pubblicata di recente dall’Economic Policy Institute, il compenso dei Ceo è aumentato del 940 per cento dal 1978 a oggi, mentre quello del lavoratore medio del 12 per cento.
È difficile trovare in Italia una simile sperequazione e non ha molto senso attaccare un capitalismo da cui la speculazione è quasi assente. Anzi, rischia di ridurre la fiducia dell’opinione pubblica verso le piccole e medie imprese, già gravate da una tassazione iniqua e da una burocrazia al limite della sopportazione.
Negli ultimi anni, è sorto un dibattito intorno all’esigenza di trasformare le relazioni industriali nel senso di una maggiore partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa… Fermo restando che l’imprenditore non può essere equiparato a chi non corre il rischio d’impresa, sarei la persona più felice del mondo se in futuro si trovassero nuovi modi per consentire ai lavoratori di partecipare al rischio e, di conseguenza, agli utili.
Finora, però, i sindacati e gli organi istituzionali nati per la tutela dei lavoratori hanno appoggiato l’idea di una becera contrapposizione fra l’imprenditore, visto come sfruttatore, e i dipendenti, considerati vittime irresponsabili e incapaci. I collaboratori del nostro Gruppo si offenderebbero se qualcuno attribuisse loro questo ruolo, perché possono testimoniare di partecipare attivamente a un progetto importante – non dimentichiamo che abbiamo contribuito alla cultura del pulito intelligente, rivoluzionando un settore povero di contenuti tecnologici –, che va a vantaggio della loro crescita intellettuale, oltre che del loro utile economico. E sono gli stessi collaboratori, soprattutto quelli che sono con noi da quasi trent’anni, a pagare le conseguenze quando, malauguratamente, arriva un collega che non ha voglia di lavorare. Chi tutela l’imprenditore in quei casi? Non può intimare il licenziamento senza che si apra una vertenza che ha costi proibitivi e mette in serie difficoltà l’organizzazione, mentre il lavoratore in questione continua a percepire uno stipendio senza essere produttivo per l’azienda. Per non parlare dei casi in cui un lavoratore assunto a tempo indeterminato si permette di abbandonare il posto di lavoro avanzando richieste assurde, supportate anche da organi pubblici.
Un imprenditore che scommette nella qualità ha l’esigenza di avere una squadra affiatata, che rema nella stessa direzione. E dovrebbe essere tutelato come ciascuno dei suoi collaboratori.
Questo deve capire la politica se vuole veramente cambiare le relazioni industriali.