IL CUORE DELL’IMPRESA? LA SUA CULTURA

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presidente di TEC Eurolab, Campogalliano (MO)

Il vostro team di esperti, avvalendosi di tecnologie di ultima generazione, fornisce supporto tecnico altamente specializzato per il controllo e il miglioramento di materiali, prodotti e processi alle principali industrie dell’aeronautica, dell’automotive e del biomedicale, in Italia e in Europa.
Il 2020 è il trentesimo anno della vostra attività al servizio delle imprese clienti, ma oggi i vostri esperti non intervengono più soltanto nell’urgenza di determinare le cause di una rottura improvvisa, come un pronto soccorso, bensì a monte dei processi produttivi, analizzando i materiali e decidendo, insieme al cliente, eventuali miglioramenti delle prestazioni di un pezzo, come, per esempio, le palette della turbina del motore di un aereo. Voi contribuite alla salute delle imprese e dei loro prodotti e, mai come nel vostro caso, è vero che l’istanza della salute di un’impresa è l’istanza di qualità… La salute è frutto di attenzione a ciascun dettaglio della vita: abbandonarsi, lasciarsi andare o lasciar andare le cose non porta certo la salute e tanto meno la qualità. Se penso alla salute di un’impresa non penso al conto economico o allo stato patrimoniale, mi viene in mente il paragone con il corpo umano. Il cervello è la direzione strategica, ma per il governo dell’impresa occorre che l’intero sistema nervoso sia collegato con il cervello, il quale deve percepire immediatamente i segnali che provengono, per esempio, da un arto periferico, fosse anche il mignolo del piede, e prendere le misure adeguate per evitare complicazioni. Quindi, chi ha funzioni direttive deve instaurare dispositivi di comunicazione con ciascun referente, in modo da ricevere tutte le informazioni rilevanti al governo dell’impresa in ciascun istante, senza essere subissato da miriadi di segnali ridondanti, che costituiscono uno spreco. Questo vuol dire che deve essere promossa una cultura d’impresa che punti al coinvolgimento di ciascun collaboratore nel produrre valore assoluto per noi e per i clienti, anziché lasciare ognuno nella propria comfort zone o favorire idee di isolamento, di sfruttamento e di dipendenza. L’impresa è sempre più un contesto sociale e come tale ha implicazioni nella vita di ciascuno.
Nella nostra azienda lavorano oltre cento collaboratori di età compresa fra i venti e i sessant’anni, pertanto dobbiamo affrontare molti dei problemi che intervengono nella società, come per esempio il divario generazionale.
Di recente, un ingegnere trentenne mi ha chiesto consiglio per trovare il modo d’interloquire con un ventenne: “Parla una lingua che non capisco”, diceva. “Va bene, proverò a capirlo io, che ho sessant’anni”, ho ironizzato. Ma il problema c’è e va affrontato con un approccio intellettuale, procedendo dall’apertura e ascoltando la novità che ciascuno enuncia, indipendentemente dall’età o dal ruolo. Non dobbiamo mai dare nulla per scontato, ma non per essere buonisti, anzi, se ci accorgiamo che un collaboratore non ha le competenze per svolgere la mansione che gli è stata affidata, non dobbiamo esitare e indulgere nel “rispetto”: la nave in mezzo al mare in tempesta ha bisogno di persone in grado di tirare giù le vele, e anche in fretta; chi non lo è deve dedicarsi ad altro, non può intralciare il processo in atto.
Per tornare alle similitudini, l’azienda, come il corpo umano, ha i suoi arti: le braccia, che sono i nostri dispositivi produttivi, e le gambe, i nostri dispositivi commerciali, che portano l’azienda nei mercati di tutto il mondo. Allora, possiamo chiederci se abbiamo le dita giuste, i macchinari giusti, gli attrezzi giusti per fare le cose in modo efficace e se ciò che facciamo abbia un valore oppure se stiamo facendo cose che nel mercato non sono apprezzate. E, poi, se le gambe vanno a passo spedito o se per caso zoppicano e hanno bisogno di sostegno. Se i dispositivi tecnici e quelli commerciali s’integrano a vicenda raggiungono risultati eccellenti, che hanno un sicuro riscontro economico. Poi, è chiaro che nessuno può prevedere eventi catastrofici come la crisi globale del 2008 o improvvisi cambiamenti nelle mode o nell’utilizzo di nuove tecnologie: il destino di un gigante della telefonia come Nokia, per esempio, si è giocato tutto sull’avvento del touchscreen, sottovalutato fino al momento in cui Apple ne ha fatto il suo cavallo di battaglia vincente. Ma, in tempo di pace, il coordinamento e la collaborazione fra i vari dispositivi mira alla qualità e porta alla salute dell’impresa.
Ora, questo collante si chiama cuore: ciò che abbiamo indicato come cultura diffusa, che consente alle persone di recepire segnali e di dare risposte qualificate sia all’interno sia all’esterno dell’impresa è il suo cuore, qualcosa che è differente in ciascuna impresa.
Un’impresa così può affrontare qualsiasi sfida… A differenza dal corpo umano, un’impresa non è obbligata a morire, per cui può prendere decisioni strategiche pensando all’infinito: diversamente dai fondi d’investimento che per loro natura fanno scelte a tre, quattro o cinque anni, alcune famiglie d’imprenditori sono arrivate ormai alla quarta o alla quinta generazione.