IL RISCHIO E LA LIBERTÀ DELL’IMPRESA

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presidente di S.E.F.A. Holding Group Spa, Sala Bolognese (BO)

Secondo le ultime stime del Fondo Monetario Internazionale l’impatto della crisi economica causata dall’emergenza epidemiologica da Covid-19 inciderà sull’economia in modo nettamente superiore rispetto alla crisi del 2009. Le previsioni del FMI sono confermate anche nei principali settori d’impiego della siderurgia. Nell’edilizia, per esempio, le ipotesi di cauta ripartenza dei cantieri vanno da giugno a ottobre, mentre nell’automotive le immatricolazioni sono calate del 90 per cento durante i mesi di lockdown e anche la meccanica registra una contrazione del fatturato del 27 per cento, con la conseguente diminuzione dei consumi di prodotti siderurgici nel 2020. Nonostante queste previsioni, però, nei mesi dell’emergenza il vostro Gruppo SEFA Holding ha registrato un fatturato di poco inferiore a quello dello stesso periodo 2019. Sembra proprio che i mesi del lockdown siano stati per voi il tempo del fare e dell’emergenza della produzione, anziché del fermo attività. Come vi siete organizzati per rispondere alle incessanti richieste di acciai speciali, leghe e titanio da parte delle filiere produttive? La crisi nella siderurgia non è incominciata nel dicembre 2019, ma già nel maggio 2018. Le prospettive per il 2020 erano quindi positive, con la previsione di un recupero del 7-8 per cento sul 2019, in particolare nei settori degli stampi e della e-mobility. Diverse sono invece le stime per gli acciai comuni, che hanno subìto cali di fatturato del 60-70 per cento, mentre è aumentata la richiesta di acciai speciali. Nel primo quadrimestre 2020, il nostro Gruppo ha registrato la riduzione del 14 per cento del fatturato rispetto allo stesso periodo 2019 e un aumento del 2 per cento per la fornitura di titanio. Sono dati tuttavia molto positivi, dato il periodo. Sin dai primi giorni dell’epidemia, infatti, noi ci siamo sforzati di assicurare la consegna di acciaio a centinaia di clienti. Questa decisione ci ha permesso di combattere in tutti i modi per non chiudere l’azienda neanche un giorno, con l’impegno di continuare a offrire un servizio sempre più su misura e di essere un punto di riferimento per clienti e collaboratori, nel momento in cui erano smarriti.
Le aziende del Gruppo hanno sostenuto e contribuito all’attività delle filiere del manifatturiero. I nostri acciai speciali sono stati impiegati nel distretto biomedicale di Mirandola per le provette delle analisi del sangue o dei contenitori per la dialisi. Nella cosiddetta “fase uno”, in particolare, abbiamo fornito acciai per la costruzione di stampi per provette, triplicata per l’aumento esponenziale della richiesta di tamponi. Se avessimo chiuso le nostre aziende e consegnato gli acciai soltanto a maggio, infatti, avremmo perso tempo prezioso per la vita dei ricoverati negli ospedali. Invece, grazie alle tonnellate di acciai che abbiamo consegnato per la produzione di stampi, questi presidi medicali sono arrivati sul mercato in tempo per essere utili a tutti, già dalla fine di marzo.
Nei prossimi anni sarà incrementata la produzione di presidi medicali, fra cui monodose per nuovi farmaci e vaccini, fino ai dispositivi per apparati respiratori e per dialisi, perché anche lo stato effettuerà investimenti maggiori nella filiera medicale.
Il nostro contributo è stato essenziale anche per la fornitura degli acciai necessari a produrre tutti i pezzi di ricambio delle macchine per le cartiere, altro settore importantissimo, perché funzionale alla produzione di mascherine e tute per medici e operatori sanitari.
Ma abbiamo fornito anche acciai per i martelli dei mulini impiegati nel recupero della plastica dei presidi medicali usati e per i ricambi di componenti di macchine agricole, come le mietitrebbie per la raccolta del grano, altrimenti la pasta non potrebbe arrivare sulle tavole degli italiani.
Nel packaging degli alimenti, settore di cui Bologna detiene il 70 per cento della produzione mondiale, abbiamo fornito acciai impiegati nelle varie operazioni di formatura e taglio dei blister, ma anche per le camme che contribuiscono alla trasmissione e alla variazione del moto nelle macchine. Le prime camme per le macchine di packaging sono nate a Bologna quando sono state impiegate nella chiusura ermetica delle famose bustine dell’Idrolitina del cavalier Gazzoni. Nei primi anni del Novecento, infatti, svolgevano questa funzione le operaie addette al confezionamento dell’Idrolitina. La polvere che rendeva l’acqua effervescente era dosata su un foglietto, chiuso a mano a mo’ di sigaretta. Poi un signore, il cavalier Gazzoni, ha detto che quel movimento poteva essere effettuato dalle camme delle prime macchine automatiche.
Noi oggi forniamo proprio quell’acciaio che garantisce il funzionamento delle camme impiegate per milioni di produzioni. Siamo orgogliosi della tradizione industriale italiana, per questo non abbiamo pensato di chiudere un solo giorno.
Ma questi risultati sono stati raggiunti grazie ai quasi cinquant’anni di collaborazione con Uddeholm, importante produttore siderurgico di cui siamo rappresentanti esclusivi nelle regioni di nostra competenza. Avremmo potuto anche decidere di collaborare con altri gruppi, invece abbiamo scommesso su un marchio che è oggi tecnologicamente il più performante in senso assoluto.
Non è un caso che, oltre alla fornitura di acciai speciali, in questo periodo abbiamo sollecitato i tecnici di Uddeholm a trasmettere ai nostri rappresentanti la cultura e l’esperienza tecnica nella siderurgia attraverso specifici webinar settimanali. Occorrerà, infatti, essere pronti a rispondere con efficacia alle necessità delle industrie che ritorneranno a produrre in Italia e che avranno bisogno degli acciai migliori. Ecco perché noi, assieme ai nostri clienti, dobbiamo cogliere questo momento come una nuova opportunità.
Cosa le ha consentito di non arrendersi alla notizia del blocco della produzione? La sicurezza che in tempo di guerra sono necessarie due cose: assicurare il nutrimento quotidiano, quindi la produzione alimentare attraverso l’operatività del manifatturiero, e curare l’approvvigionamento di materie prime, come l’acciaio, in modo da garantire la salute economica del paese.
Grazie alla nostra ostinazione di restare operativi durante le fasi del lockdown, ho raccolto grande partecipazione e solidarietà da parte di clienti e fornitori. Ci siamo esortati l’un l’altro ad avere fiducia e a trasmetterla a figli e collaboratori. Questi sono stati gli echi che abbiamo ricevuto da clienti soddisfattissimi, in qualche caso anche sorpresi del valore commerciale dei nostri prodotti: non discutevano dei prezzi, ma dei tempi di fornitura. Anche se noi non abbiamo assolutamente approfittato della situazione di emergenza, anzi in qualche caso abbiamo proposto pezzi in stock tramite “steel shop”, la vendita on line dei pezzi già pronti in magazzino, a costi convenienti e con tempi di consegna più rapidi.
La collaborazione con le imprese clienti in questa fase ha consentito di rinnovare la stima e lo scambio di parola più autentico. Prima del Covid-19, infatti, chi rispondeva dall’altra parte del telefono era considerato un po’ come un numero, una partita iva, ma oggi è un interlocutore con cui confrontarsi.
L’altra constatazione è stata che, a causa del Covid-19, l’industria è diventata anche una grande occasione di coesione sociale, come dimostrano per esempio i gesti di alcuni dipendenti che chiedevano di lavorare in azienda e non a casa, oppure di restare a casa soltanto un giorno alla settimana.
Fra gli effetti del lockdown non mancano anche i ritardi nei pagamenti. Perché invece è importante proprio adesso assicurare la puntualità nelle scadenze? La nostra disponibilità a discutere un nuovo scadenziario dei pagamenti è stata molto apprezzata, ma abbiamo chiesto anche uno sforzo ulteriore per non cedere alla difficoltà e rispettare le scadenze. Soltanto attenendosi a queste, soprattutto in questo momento, potremo assicurare un minimo di stabilità economica al paese. Il motto “Tanto mi salvo io” è proprio l’atteggiamento che adesso non bisogna attuare. La battaglia non è finita. In questo momento ci salviamo tutti se manteniamo lucidità nelle decisioni e ci atteniamo alla puntualità nelle scadenze. Quanto sta accadendo negli ultimi mesi è una prova di realtà per ciascuno.
Durante la crisi del 2008 noi abbiamo inventato strumenti nuovi per sopperire alle necessità economiche, promuovendo prestiti chirografari da parte di amici e dipendenti. Questa strategia è stata vincente. Avevo coinvolto anche mia madre, che fino ad allora percepiva interessi minimi sui soldi messi da parte. Quando le ho restituito il prestito, era felice perché, soltanto con gli interessi ricavati, era riuscita a pagare alla badante alcuni mesi dello stipendio, a conferma del fatto che finché c’è investimento c’è vita, e anche profitto.
Anche quella di questi mesi è stata una battaglia difficile, perché avremmo potuto chiudere e non dare l’esempio di tenuta sociale ai nostri dipendenti.
Purtroppo, il 50-60 per cento di cittadini non conosce come nascono i prodotti dell’industria o finge di credere che arrivino dal cielo nelle case degli italiani. Invece provengono da uomini che li hanno inventati, prodotti e confezionati e poi sono consegnati da chi li ha trasportati fino al negozio da cui li acquistiamo. Un’altra categoria dimenticata è stata quella dei trasportatori, i “motori” di questa società, i quali alimentano il nostro benessere con grandi sacrifici. Sono gli uomini che vediamo viaggiare nei camion sulle autostrade, migliaia di autotrasportatori.
Nei mesi del lockdown erano gli uomini che lavorano nell’alimentare e nel farmaceutico, per consegnare agli ospedali i presidi sanitari o per ritirare la plastica e i presidi medicali usati da riciclare.
Nella lettera pubblicata nel numero scorso della rivista lei hai precisato “Se salviamo l’impresa salviamo l’Italia”. Il Covid-19 ha messo in evidenza che, se l’industria viene bloccata, il paese è alla mercé del conquistatore di turno...
Occorre distinguere l’industria delle multinazionali da quella legata alla nostra tradizione industriale, che continua a investire nel proprio circuito produttivo, prima che nella finanza.
Nelle nostre piccole e medie industrie, in cui spesso lavorano meno di cento dipendenti ma il fatturato è nell’ordine di milioni di euro, i giovani hanno la possibilità d’imparare un mestiere e di acquisire il messaggio proprio dell’impresa italiana, come il rispetto dell’individuo e la formazione all’arte del fare. Questa cultura e questa integrazione mancano nella multinazionale. Nelle nostre imprese, per esempio, non ci sono complesse procedure burocratiche, perché la tendenza è quella di discutere di ciascun dettaglio e più volte nella stessa giornata. Ecco come nascono i prodotti del nostro ingegno che c’invidiano nel mondo. Per questo sono convinto che gran parte dell’industria emigrata altrove negli ultimi decenni tornerà a investire in Italia. Anche perché sarà sempre più necessario che produzioni strategiche per la nostra economia non si affidino più alla convenienza apparente che offrono altre economie, oggi risultate inaffidabili e spinte da logiche mercenarie. L’Italia non può essere il paese che umilia chi è nel tempo del fare, perché proprio la sua civiltà industriale ha contribuito all’inserimento nella nostra Costituzione delle libertà fondamentali, fra cui il diritto alla libertà d’impresa, che è anche diritto alla libertà d’invenzione.
L’industria deve tornare a essere motivo di orgoglio per i cittadini di questo paese, altrimenti queste imprese virtuose rischieranno di essere spazzate via nella prossima emergenza.
Basti considerare che l’Italia conta lo stesso numero di cittadini del distretto di Wuhan: 60 milioni. Siamo un paese grande come una regione della Cina, ma la nostra tradizione industriale ha radici molto più solide. Bene, è arrivato il momento di rilanciare queste radici.
E oggi è più che mai il tempo del fare… È tempo di pensare e di fare, di non sospendere o bloccare l’intelligenza e l’ingegno. È tempo d’inventare e di non avere paura delle critiche che arrivano da parte di chi ha pregiudizi verso l’impresa perché non ne coglie il valore. Le critiche non mancheranno e l’impresa attraverserà momenti difficilissimi soprattutto per gli aspetti finanziari, perché il primo a non rispettare le regole sarà lo stato, promettendo oggi quello che darà, forse, nei prossimi mesi. Sempreché poi non cambi direzione imponendo nuovi balzelli.
Non mancheranno i sostegni economici, la cui entità però sarà sempre troppo ridotta rispetto alle esigenze delle imprese. Noi non possiamo contare sull’assistenzialismo e sull’idea di sopravvivenza. No, noi riusciremo soltanto se le nostre mani, le nostre idee e chi ci è accanto concorreranno a fare e a inventare qualcosa di nuovo: il tempo di fare è oggi.
Negli ultimi mesi ho ascoltato trasmissioni televisive in cui all’impresa sono rivolti attacchi analoghi forse soltanto a quelli contro l’Ilva di Taranto, da parte di chi si è accomodato sull’assistenzialismo statale. Quel tempo è finito. Oggi c’è il bisogno di fare, e di fare subito. Questo paese si risolleverà senza chiedere elemosine, ma anche se deciderà di non depauperare il suo patrimonio industriale. Ecco perché occorre intendere che se si salva l’impresa si salva il paese.
Cosa pensa dei casi di suicidi di imprenditori nei mesi del lockdown? L’impresa non è esente da rischi, anzi vive nella necessità assoluta di rischiare. Ma questo rischio è rischio di vita. Ecco perché ora non deve essere castrata la libertà di fare, la libertà di creare, la libertà di costruire e la libertà di produrre: l’impresa deve essere libera. L’imprenditore non ha niente da temere, perché quanto ha acquisito fino a oggi non è un punto di arrivo, è una meta a cui approdare. Non abbiamo motivo di avere paura quindi.
Ha paura chi crede di avere e blocca il cervello, che invece dovrebbe essere volto alla produzione e a valorizzare il proprio percorso. Sono convinto che questo sia un momento di grande opportunità, perché oggi non sono vincenti i due soldi messi da parte. Io sono preoccupato delle mie mani, della mia voglia di fare e di trovare altri come me che abbiano la necessità di fare. La paura di vivere non appartiene all’imprenditore che ha rischiato tutta la vita.
Quali scenari si delineano per le industrie nei prossimi anni? Prospettive come l’auto telecomandata, la mentalità ecologista e il telelavoro da casa seguono l’ideologia della città ideale, cioè della città vuota in stato di lockdown permanente.
Queste sono fantasie finanziate da chi non rischia nulla perché investe soldi di altri, i soldi pubblici purtroppo.
Questi signori annunciano il cambiamento facendo i conti con le nostre tasche e poi vengono anche a fare la morale. Mentre gli imprenditori che sostengono il paese rischiano tutto, e oggi anche l’accusa penale, come una beffa oltre al danno. Ciascun giorno dobbiamo incoraggiare amici, colleghi e collaboratori, confrontarci con i loro problemi e motivarli nelle funzioni da svolgere, nonostante sembri crollare tutto intorno a noi. Perché poi raccolgono più audience gli esperti del “saper fare senza rischiare”. Quanto ancora vogliono pubblicizzare che un mondo senza industria sarebbe migliore? La maggior parte dei nostri clienti non ha assolutamente intenzione di favorire la famosa decrescita felice, anzi la crisi è diventata un’occasione per reinventare la produzione e lo sviluppo, di prodotti e di cultura.
Oggi l’ideologia della città ideale promuove la necessità del “distanziamento sociale” rappresentando il telelavoro come una risorsa, ma non è assolutamente così. È stata una necessità temporanea dovuta all’emergenza, ma non funziona nella maggioranza dei casi. Ritengo invece che sia un modo per promuovere la precarietà del lavoro e quindi la decrescita. Nel nostro lavoro, stare a casa, tra un tegamino e l’altro, vuol dire essere assenti e non combattere insieme nell’emergenza quotidiana. Mai come ora clienti e collaboratori hanno bisogno di parlarsi non tramite uno schermo e di fare trattative non per telefono: c’è la necessità assoluta di incontrarci, di confrontarci e guardarci negli occhi. E nel nostro caso il cliente ringrazia, perché riceve qualcosa di più di un pezzo di ferro.
Ma oggi questa industria è snobbata a vantaggio di burocrati che hanno paura di fare. Per questo oppongono la burocratura.