NON POSSIAMO SMARRIRE LA ROTTA PROPRIO ORA

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presidente di Checchi e Magli Srl, Budrio (BO)

Voi operate nel settore agroalimentare attraverso la progettazione e la costruzione di macchine agricole per il trapianto di piante orticole e la vostra azienda è stata ritenuta strategica per assicurare la fornitura delle derrate alimentari nei giorni cruciali della pandemia. Come avete gestito l’emergenza della produzione? Noi abbiamo continuato l’attività senza interruzioni. Tuttavia, dopo le prime settimane della “fase uno”, in cui il codice identificativo della nostra attività economica (Ateco) era menzionato fra quelli delle imprese ammesse a restare operative, all’improvviso è stato tolto dall’ennesimo DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri). Il venerdì sera il governo aveva decretato che il settore poteva continuare l’attività e poi, la domenica seguente, il nostro codice è stato escluso dalla lista, a causa delle pressioni ingiustificate da parte delle organizzazioni sindacali.
Allora noi abbiamo comunicato alla Prefettura i dati dell’azienda, completi di tutte le prescrizioni di legge, fra cui sanificazioni effettuate e protezioni individuali. Di queste ultime ci siamo dotati fin dalle prime avvisaglie dell’emergenza, per questo a noi è sembrato molto strano che mancassero addirittura negli ospedali. Altri imprenditori e dirigenti di imprese hanno deciso di chiudere, perché hanno subìto pressioni eccessive. A questo si è aggiunta la minaccia di rispondere penalmente di eventuali casi d’infezione contratta dai collaboratori.
La normativa non è chiara. Come sia possibile dimostrare con assoluta certezza scientifica che il contagio sia avvenuto in azienda e non altrove, nonostante la costante disinfezione dei locali, è ancora un mistero.
Sono convinto che questa emergenza poteva essere gestita con maggiore equilibrio, com’è avvenuto in altri paesi come la Germania, dove le imprese non soltanto hanno continuato a lavorare, ma hanno addirittura chiesto la riapertura di alcuni fornitori italiani. In Italia, invece, è prevalsa la tendenza a seguire la strada più facile, quella della chiusura indiscriminata. Non so in quanto tempo riusciremo a recuperare i danni provocati dal calo della produzione dovuto a queste decisioni, ma posso assicurare che l’interesse alla tutela della salute dei propri collaboratori è maggiore per l’imprenditore di quanto non sia per i nostri politici. I collaboratori sono il patrimonio fondamentale per l’imprenditore. Non a caso in oltre quarant’anni di attività non siamo mai ricorsi a neanche un’ora di cassa integrazione. E combattiamo ciascun giorno perché non vorrei cominciare adesso.
Quali sono le strategie per i prossimi mesi? Stiamo studiando nuovi modelli di macchine, che progettiamo e costruiamo a Budrio e abbiamo avviato collaborazioni con alcune università.
Sappiamo che potranno arrivare mesi difficili, ma non possiamo smarrire la rotta proprio ora. Inoltre, è ormai chiaro che, quando il governo italiano o l’Unione europea dichiarano di mettere a disposizione liquidità, in realtà si tratta di prestiti. Ma questi potranno essere restituiti soltanto se le imprese continueranno a lavorare e a incassare i propri crediti. Alcuni settori, come per esempio quelli del turismo o della ristorazione, difficilmente riusciranno a recuperare le perdite economiche. Altri, invece, come quello agroalimentare, hanno incrementato il business. Mio padre ci diceva sempre che occorrevano almeno cento anni per inventare un proverbio. Nelle aziende agricole della mia infanzia ricorreva spesso questo: “Il male delle pecore è il bene del cane”, ovvero: quando la pecora muore, il cane mangia meglio del solito. Sta a noi cogliere quanto sta accadendo come un’opportunità, ma occorre procedere dall’equilibrio.
Cosa resta nella memoria dei giorni più intensi della diffusione del coronavirus? In una trasmissione televisiva è stata ripresa la scena di alcuni elicotteri e droni che segnalavano un subacqueo intento nella pesca, a circa duecento metri dalla riva, vicino a casa, poi scortato in caserma da due poliziotti. Mi è sembrato un modo davvero eccessivo di far rispettare la legge e ho pensato a quando, qualche anno fa, abbiamo consegnato alle forze dell’ordine i filmati, con riconoscimento facciale, di due delinquenti intenti nella commissione di un furto a pochi metri dai nostri uffici, poi ripetuto più volte nei pressi di altre aziende dell’area. I danni alla vettura del nostro collaboratore ammontavano a oltre 7.000 euro, a fronte dei 1.500 che percepisce dallo stipendio netto mensile. Non abbiamo saputo più nulla dei malfattori. Non sono queste la legge e la giustizia del paese in cui sogno di vivere.