GLI STAMPI PER IL MATERIALE DELL’EDILIZIA FUTURA: LA CERAMICA

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presidente di Gape Due S.p.A., Sassuolo

“Di fronte a un calo del Pil drammatico per il settore ceramico”, ha dichiarato il presidente di Confindustria Ceramica, Giovanni Savorani (“Il Sole 24 Ore”, 21 maggio 2020), “il rilancio dell’edilizia è la strada principale che il governo deve perseguire e, in questo contesto, la ceramica è il materiale adatto per realizzare l’edilizia del futuro: più sostenibile e più salubre”. Sono 230 le aziende attive nella produzione di piastrelle e il 91 per cento ha sede in Emilia Romagna ed esporta l’85 per cento della produzione. Dal 1967, i vostri stampi hanno un ruolo essenziale in questo settore… Dico sempre che senza lo stampo non si fa una piastrella, e Gape Due S.p.A. è la più importante azienda di stampi del distretto di Sassuolo, sia in termini di fatturato sia in termini di innovazione e servizio al cliente.
Certamente, come ha sottolineato il presidente Savorani, nella ceramica trovano risposte esigenze di qualità della vita, di igiene e di sicurezza sanitaria che, dopo l’epidemia provocata dal coronavirus, sono ancora più sentite. Oltre ad avere proprietà antisismiche, di risparmio energetico e idrico, le piastrelle, infatti, sono anche estremamente facili da pulire e resistono ai processi di sanificazione, spesso condotti con prodotti chimici aggressivi, a cui le superfici dovranno essere sottoposte sempre più di frequente, soprattutto nei luoghi pubblici.
Mi auguro che queste nuove esigenze portino un incremento della domanda di ceramica nel mondo nei prossimi mesi e anni, parallelamente all’aumento della sensibilità di governi e cittadini per adeguare gli ambienti alle normative di prevenzione dei contagi.
L’industria ceramica e quella delle macchine per ceramica, di cui noi facciamo parte, ha sempre anticipato le esigenze e le tendenze del mercato e, proprio per questo, oggi è pronta ad affrontare le nuove sfide, nel rispetto delle direttive che dopo l’emergenza sanitaria sono diventate cogenti. Negli ultimi cinque anni, le imprese del settore hanno investito 2,2 miliardi di euro nell’industria 4.0 e hanno fatto dell’innovazione la propria strategia di sviluppo nel mondo. Noi stessi abbiamo cavalcato il programma di trasformazione digitale della fabbrica, inventando lo Smart Mould, che consente di garantire una diagnostica precisa e una manutenzione preventiva puntuale e programmabile, in grado di prevenire rotture e malfunzionamenti e scongiurare costosi fermi di produzione.
Voi siete stati chiusi per decreto, come la maggior parte dei gruppi di cui siete fornitori. Come avete organizzato la produzione dopo la riapertura? Innanzitutto, il 4 maggio, quando la maggior parte delle aziende ha avuto il via libera, abbiamo dovuto fare i conti con le complicazioni della burocrazia: leggendo le settanta pagine del decreto che facevano riferimento al nostro settore, c’erano così tante contraddizioni che non era ancora chiaro nemmeno ai consulenti delle associazioni di categoria se noi potevamo riaprire.
Lo studio pilota effettuato nelle aziende di Padova, scelte dalla Regione Veneto, per testare il manuale con le linee guida per la riapertura delle attività produttive, ha rilevato che il numero di contagiati tra lavoratori è stato di 4 su 1518, poco più dello 0,2 per cento. Il progetto, come riporta “Il Corriere della Sera” (18 maggio 2020), ha fornito una prima importante indicazione: “In azienda gli infetti non hanno diffuso il contagio. Pare che le misure di contenimento applicate sotto i capannoni stiano funzionando”.
Noi imprenditori non avevamo dubbi: non c’è posto più sicuro delle aziende, che si sono adoperate, fin dalle prime avvisaglie dell’epidemia, per garantire ai collaboratori il massimo livello di protezione dalla diffusione del coronavirus.
Addirittura, quando alcuni virologi nelle trasmissioni televisive rassicuravano i cittadini che non si trattava di un virus pericoloso e li invitavano a continuare a frequentare i ristoranti cinesi, alcuni imprenditori sono stati accusati di violazione della legge sulla privacy perché avevano osato misurare la temperatura dei dipendenti all’ingresso.
Comunque, nei nostri tre stabilimenti abbiamo sempre continuato a effettuare la sanificazione e a seguire le disposizioni dei protocolli di prevenzione.
Tra l’altro, non abbiamo mai avuto il problema del distanziamento sociale: considerando che i nostri locali godono di ampi spazi, non ci sono catene di montaggio e ciascun collaboratore gestisce in modo indipendente le lavorazioni.
Adesso abbiamo installato un dispositivo in grado di rilevare la temperatura fino a dieci persone simultaneamente, così si snelliscono i tempi d’ingresso.
Come hanno reagito i vostri clienti esteri al lockdown italiano? Abbiamo clienti nei paesi più industrializzati, fra cui Germania, Francia, Olanda, Finlandia, Stati Uniti, America del Sud e Russia. Oltre alle sedi estere dei grandi gruppi nostri clienti italiani, serviamo molte ceramiche di questi paesi, producendo una quota export del 40 per cento. Per fortuna, i nostri clienti sono stati solidali in questi mesi di emergenza, anche perché si è trattato di un problema che ha interessato tutto il pianeta e, con tempi e intensità differenti, ciascun paese ne ha fatto esperienza. Adesso speriamo di avere imparato la lezione che, anche nel malaugurato caso in cui in futuro ci sia un nuovo picco di contagi, non debbano essere le aziende a pagarne le spese.