POLITICHE DEL LAVORO IN ITALIA? RACCOGLIAMO I FRUTTI DEL MALGOVERNO

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presidente di Finmasi Group

Sono rimasto molto colpito dalle considerazioni di Pietro Ichino a questo forum (La macchina e la tecnica. L’invenzione, l’arte, la libertà d’impresa, 10 settembre 2020), che prendono spunto dal suo recente libro L’intelligenza del lavoro (Rizzoli). L’Autore, in pratica, ci ha detto che il tasso di disoccupazione nel nostro paese non dipende tanto dalla mancanza di offerta di lavoro quanto dalla carenza, nel nostro tessuto produttivo, di servizi al mercato del lavoro che consentano alla domanda d’incontrare la sua offerta. I dati che egli ha riportato sono sconvolgenti: alla fine del 2019, l’Agenzia nazionale delle politiche attive al lavoro (ANPAL) e Unioncamere censivano in Italia 1,2 milioni di posti di lavoro qualificato e specializzato che rimanevano permanentemente scoperti per mancanza di persone disponibili a ricoprirli o in grado di ricoprirli.
Tutto questo mentre la disoccupazione raggiungeva il 9,8%, pari a 2,4 milioni di persone senza lavoro, e mentre chiudevano, come ogni anno, 20.000 imprese artigiane per raggiunti limiti di età del titolare, senza alcun passaggio del testimone né dal punto di vista della trasmissione del mestiere né da quello dell’avviamento commerciale.
Chi dovrebbe assolvere al compito di organizzare i servizi al mercato del lavoro di cui parla Pietro Ichino, se non le istituzioni dello stato? E qual è il ruolo dei sindacati in questo mancato incontro fra domanda e offerta di lavoro? Dinanzi a tale fallimento, possiamo continuare ad affermare che il lavoro sia una priorità per i rappresentanti della nostra Costituzione? Ancora una volta, dobbiamo constatare che chi ci ha governato negli ultimi cinquant’anni ha abdicato alla sua funzione di sostegno e promozione dello sviluppo economico del nostro paese, mentre noi imprenditori eravamo impegnati a produrre ricchezza, spesso dovendo aggirare i mille ostacoli che ci vengono posti dinanzi proprio da coloro che dovrebbero darci una spinta per accelerare il nostro cammino.
In questo paese le cose giuste non trovano ospitalità. In questo paese bisogna fare di necessità virtù. Io, come imprenditore, non sono per nulla soddisfatto: da un lato, perché non riesco a mettere in pratica le mie buone intenzioni e, dall’altro, perché le istituzioni non mi aiutano a migliorare le mie capacità e quelle delle mie aziende per poterne fare un combinato disposto dove chi s’impegna riceva il giusto riconoscimento.
Parlo come imprenditore “diversamente giovane”, che ha incominciato a ventidue anni da autodidatta, con una storia comune a tanti nella nostra regione, quella di ragazzi di famiglie “malestanti”, che hanno ricostruito l’Italia dalle macerie del dopoguerra.
Ma, a quanto pare, potrebbero dire le stesse cose quei giovani che si affacciano oggi sulla scena dell’economia.
Anzi, oggi le cose sono peggiorate dal fatto che sembra che ormai il mercato non abbia più bisogno di niente. È facile per le istituzioni pararsi dietro gli incentivi all’innovazione: occorre capire che cosa vuol dire innovare, quale prodotto innovare e, soprattutto, a chi venderlo. La capacità di acquisto non è naturale, si forma se è stata creata ricchezza nel consumatore. Ma come si può creare ricchezza se chiunque sia al governo non aiuta il cittadino e l’impresa? E, se l’impresa è martoriata e frenata nel suo sviluppo, come si fa a creare reddito? La complessità del mercato globalizzato richiederebbe sostegno incondizionato delle istituzioni alle imprese per districarsi nella miriade di insidie che si presentano nel corso della loro navigazione. Invece, la pubblica amministrazione è sempre più autoreferenziale e continua a produrre disavanzo di anno in anno, fino a sfiorare il nuovo massimo storico di 2579 miliardi di euro in agosto scorso.
A questo aggiungiamo le cattive abitudini che viziano i rapporti fra clienti e fornitori nei pagamenti. Fanno parte del nostro Gruppo un’azienda con sede in Germania e una con sede in Francia. In entrambi i paesi, abbiamo incontrato difficoltà enormi, ma sul versante dei pagamenti è tutta un’altra musica: se ritardi tre o quattro giorni un pagamento vieni segnalato immediatamente e metti in gioco la tua reputazione. Quando succederà questo in Italia? L’augurio che mi faccio e che faccio ai giovani è quello che un giorno l’amministrazione pubblica e il sistema politico possano farsi carico del ruolo istituzionale di agevolare l’attività delle imprese e con esse quella dei cittadini di questo paese, che hanno voglia di lavorare per vivere meglio o di vivere per lavorare meglio.