LA REIFICAZIONE DELLA SCIENZA CONTRO LA PAROLA

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scienziato, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica di Milano

Sabine Hossenfelder, fisica teorica del Frankfurt Institute for Advanced Studies, nel 2019 ha scritto sul suo blog che la ricerca sui fondamenti della fisica è in una fase di stagnazione da quando è stato completato il modello standard della fisica delle particelle, cioè almeno da mezzo secolo. Altri esperimenti di rilievo hanno poi confermato questo modello, come, per esempio, l’osservazione nel 1983 dei bosoni W e Z dell’interazione debole, che è valsa il premio Nobel per la fisica a Carlo Rubbia; oppure, la più recente (2012) osservazione del bosone di Higgs. Tuttavia, la teoria alla base di questi esperimenti è ferma agli anni settanta. Un caso analogo per l’astrofisica è la recente osservazione dell’anello di fotoni intorno a due singolarità spaziotemporali (i cosiddetti buchi neri) supermassicce: la galassia M87 nella costellazione della Vergine (2019) e Sagittarius A* al centro della Via Lattea (2022). Sono le immagini delle regioni più vicine all’orizzonte degli eventi mai realizzate, ma, anche in questo caso, la teoria di queste singolarità era stata pubblicata nel 1963 da Roy Kerr.

Hossenfelder denuncia, tra le altre cose, la drammatica carenza filosofica tra i suoi colleghi teorici, che li porta a considerare esclusivamente la tecnica matematica. In effetti, è sufficiente dare un’occhiata ai lavori pubblicati negli ultimi tempi per notare un completo distacco dalla realtà fisica, per non dire della chiusura in un mondo di fantasia. I saggi ruotano quasi tutti intorno a domande del tipo: quali sono le conseguenze se il tale parametro ha il valore x invece di quello realmente misurato y? La cosiddetta teoria del multiverso è l’esempio più lampante: non riuscendo a spiegare con la sola tecnica (ovviamente) perché viviamo in questo Universo così fatto, è stata postulata l’esistenza di infiniti universi, ciascuno con differenti valori delle costanti fondamentali. Per esempio, ci saranno da qualche parte degli universi in cui la carica elettrica dell’elettrone ha un valore più alto o più basso di quello misurato. Di conseguenza l’Universo sarebbe così com’è semplicemente perché viviamo in uno degli infiniti universi disponibili, quello in cui le costanti fondamentali hanno i valori che abbiamo misurato.

Chi pensa che si tratti di questioni distanti anni luce dalla vita quotidiana (perdonate il gioco di parole), deve capire che questa stagnazione non riguarda solo i fondamenti della fisica, ma anche la tecnologia che ne deriva. Nel 2014, il giornalista scientifico Michael Hanlon scrisse che la tecnologia contemporanea non è altro che una rifinitura di quella sviluppata nel dopoguerra, in quel periodo chiamato Quarto d’Oro che va, approssimativamente, dal 1945 al 1971. Per esempio, gli smartphone si basano sulla rifinitura e assemblaggio di tecnologie inventate nel Quarto d’Oro: il transistor (1947), il circuito integrato (1958), il touch screen (1965), le batterie al litio (1970), il microprocessore (1971). E queste tecnologie si basano tutte sulla meccanica quantistica sviluppata nella prima metà del XX secolo. Si fa un gran parlare di investire nella ricerca scientifica, quando, de facto, si investe nel raffinare tecnologie datate. La ricerca teorica è considerata marginale, per non dire inutile, in quanto non produttiva. Come ha scritto Giorgio Israel nel 2006, questo è il risultato del dilagare dello scientismo, che si fonda sul pensiero post-moderno, antiumanista e materialista. La scienza è una tecnica più una filosofia: lo scientista non solo è convinto di fare scienza rinunciando alla filosofia, ma pensa anche di poter applicare la tecnoscienza – come la chiama Israel – a tutto lo scibile umano. Si pensi ai programmi di palingenesi della specie umana su basi scientifiche operata dalle dittature nazifasciste e comuniste nel XX secolo: appare subito evidente quale mostruosità possa generare tale scienza mutilata. Nonostante tutto, lo scientismo continua ancora oggi a imperversare, anche se, come un virus, ha mutato la sua forma, riproponendosi nella religione del naturalismo rousseauiano, di cui Greta Thumberg è la sacerdotessa. Il guaio è che le istituzioni scientifiche continuano a chiudere gli occhi, mentre – come nota Israel – c’è una disperata necessità di ammettere che nella scienza molti problemi sono causati più da nemici interni che esterni, che determinano anche la distruzione della fiducia della gente, come si è visto nel corso della recente pandemia col dilagare di varie ciarlatanerie alternative alla medicina.

Nei fondamenti di fisica, i problemi generati dalla tecnoscienza si manifestano principalmente con la reificazione della matematica. La matematica era per Galilei la linguausata da Dio per scrivere il libro della natura, mentre per Niels Bohr non c’era solo la lingua matematica, ma qualunque linguaggio. La fisica riguarda ciò che possiamo dire a proposito della natura, non ciò che è la natura, come scrisse il fisico danese. Invece, nel 2014, il cosmologo Max Tegmark ha affermato che l’Universo è matematico. Fra parentesi, questo è un equivoco in cui incorre anche Israel, quando attribuisce a Galilei la visione per cui il mondo è matematico. C’è un’enorme differenza tra ciò che scrisse Galilei, quando parlava della matematica come una lingua, e la visione odierna di un mondo matematico, che è la sostanzializzazione della lingua matematica. Sarebbe un po’ come dire che il mondo è italiano o inglese o una qualsiasi altra lingua (dialetto romagnolo?): ridicolo!

Come scrisse Giovanni Vailati in un saggio del 1899, Alcune osservazioni sulle questioni di parole nella storia della scienza e della cultura, il punto di partenza della scienza è la parola, matematica o qualunque altro insieme di segni, non le cose. Associamo le parole alle cose, facciamo supposizioni e semplificazioni, cerchiamo di precisare al meglio le convenzioni linguistiche per rappresentare la realtà fisica e costruire i binari su cui far procedere le inferenze logiche, perché tutto ciò che possiamo fare è costruire un isomorfismo tra la logica della lingua adottata e la realtà. Pensare che la scienza sia la realtà, che il mondo sia matematico, vuol dire reificare la parola matematica o, come scrisse Ludwig Wittgenstein, sostanzializzare un sostantivo. Si pensi al celebre quadro Il tradimento delle immagini (1929) di René Magritte, in cui il pittore disegnò una pipa e scrisse: “Ceci n’est pas une pipe”. Lo scientista è invece convinto che il quadro sia una pipa! E poi ci si sorprende della stagnazione?

Ancora Vailati scrisse che la nostra idea di esistenza reale è molto effimera: in fin dei conti, dicendo che una cosa esiste realmente, noi crediamo che se un altro essere umano interagisse con tale cosa, avrebbe le nostre stesse sensazioni (cosa peraltro non scontata: si pensi, per esempio, a un daltonico). Non essendo possibile sentire ciò che sente un altro essere umano, abbiamo il linguaggio che ci consente di interagire tra di noi. Con oggetti macroscopici l’interazione è relativamente semplice: seppure con tutte le ambiguità dei linguaggi, un tavolo è facilmente individuabile e riconoscibile. Ma quando si ha a che fare con concetti astratti, come l’amore o la libertà, già nascono problemi. Per questo, nella scienza, si discute spesso a proposito di definizioni e si è costruita una lingua astratta come la matematica.

Come ho scritto, ciò cui possiamo aspirare è costruire un isomorfismo con la realtà. Anche in questo caso, finché ci sono corpi macroscopici a misura di essere umano va tutto relativamente bene (fisica classica). Con esperienze al di fuori delle possibilità umane, come il piccolissimo (meccanica quantistica) o il velocissimo (relatività), riemergono i problemi. Ma anche il successo della fisica classica, che ha generato il determinismo, il positivismo e quindi lo scientismo, in realtà, nasconde delle insidie. Laplace (1796) disse che conoscendo posizione e impulso di tutti i corpi dell’Universo si sarebbe potuto prevedere il futuro. Ancora oggi, di tanto in tanto, si leggono dichiarazioni di studiosi che affermano che ciò è possibile, anche se in teoria. Ma, ancora una volta, questo sarebbe vero con la reificazione della matematica, se la parola matematica fosse il corpo fisico. Ciò che noi indichiamo con le quantità “posizione” e “impulso” sono solo due tra le infinite proprietà dei corpi fisici che noi riteniamo utili per un certo discorso. Abbiamo cioè trascurato tutte le altre proprietà, perché non essenziali al nostro scopo, che è quello di calcolare la dinamica di un corpo fisico macroscopico. Ma la realtà ci indica che questo non è sufficiente. Già la fisica quantistica ha mostrato che per i corpi microscopici non è possibile misurare contemporaneamente queste due quantità, perché, misurandone una, si cambia l’altra. Ma anche i corpi macroscopici non si salvano: la teoria del caos ha infatti dimostrato che, nella dinamica su tempi molto lunghi, anche ciò che abbiamo trascurato perché ritenuto insignificante può influire significativamente. Il determinismo non è possibile neanche in teoria, semplicemente perché la parola non è la cosa. Ceci n’est pas une pipe! Se poi questo non basta, è sufficiente vedere la stagnazione nella scienza e nella tecnologia prodotta nell’ultimo mezzo secolo dall’ideologia scientista, che nega la parola.

Per contro, si può notare che lo sviluppo della scienza è andato di pari passo con la smaterializzazione della parola. Su questo ho già scritto il libro Scienza e linguaggio (Aracne Editrice), ma qui è utile rammentare qualche esempio. Leggete i libri scritti da Arnold Sommerfeld, premio Nobel per la fisica, nonché maestro di ben altri undici premi Nobel: vi troverete annotazioni linguistiche e una grande cura delle parole. Paul Dirac, noto per l’equazione che porta il suo nome e che anticipò la scoperta dell’antimateria, scrisse un libro di testo sulla meccanica quantistica con un’attenzione quasi maniacale per le parole, al punto che a lezione leggeva semplicemente il suo testo e, di fronte alla richiesta di uno studente di spiegare un punto con altre parole, rispose che non era possibile, perché quelle scelte erano le migliori. Quando il matematico italiano Gregorio Ricci Curbastro inventò il calcolo tensoriale, oggi alla base della teoria della relatività, fu osteggiato da molti colleghi, che pensavano fosse solo un rimaneggiamento linguistico di idee conosciute. Tuttavia, Albert Einstein aveva già provato tutte le idee conosciute per la gravitazione quando si rivolse disperatamente a Marcel Grossman, invocando aiuto. E Grossman gli suggerì il cosiddetto rimaneggiamento di Ricci Curbastro, che risultò estremamente efficace per essere una mera questione linguistica. Si pensi ai grandi dibattiti tra Einstein e Bohr, che rappresentano i momenti più belli dell’età d’oro della fisica teorica, da cui nacque la meccanica quantistica: sono tutte discussioni linguistiche, gedankenexperiment (esperimento mentale), senza metter piede in laboratorio. Eppure, la tecnologia elettronica odierna non esisterebbe senza quello scambio di battute. Leggete le biografie dei grandi scienziati: più o meno tutti riconoscono l’importanza della parola e intendono come il linguaggio strutturi il modo di pensare e quindi l’inventività. Proprio Einstein, dovendo preparare un saggio a proposito della sua vita, scrisse: “L’essenziale nell’essere di un uomo del mio tipo sta proprio in ciò che pensa e come pensa, non in ciò che fa o soffre”.