LA PAROLA, IL TEMPO, LA VITA NEL LABORATORIO DEL FUTURO
“Mai come in questi momenti è indispensabile fare fronte comune tra imprese e istituzioni, a difesa innanzitutto della salute di operatori e cittadini, ma anche della continuità della filiera produttiva. L’appartenenza ad associazioni di categoria offre agli organismi del settore TIC (Testing, Inspection, Certification) l’opportunità di discutere e di condividere problemi e soluzioni, oltre a quella di rappresentare un prezioso punto di riferimento per gli interlocutori istituzionali”. È questa la sua dichiarazione al termine della conferenza internazionale delle principali organizzazioni del settore delle prove e delle tarature (Eurolab, Alpi e Assotic), riunite a Roma il 19 maggio scorso per discutere del laboratorio del futuro. Può dirci qualcosa di più delle organizzazioni che lei presiede, Eurolab e Alpi, e del tema che avete discusso a Roma?
Eurolab è la Federazione europea delle associazioni dei laboratori di prova e taratura, che riunisce i rappresentanti di 24 nazioni e che dà voce ai laboratori europei su questioni politiche e tecniche che hanno impatto sulla loro attività e quindi sulla sicurezza e qualità di prodotti e servizi e, in definitiva, sulla qualità della vita dei cittadini. Infatti, non c’è oggetto che utilizziamo o alimento che assumiamo che non sia stato oggetto di test di laboratorio eseguiti per verificarne la conformità a norme, protocolli, standard. ALPI (Associazione Laboratori e Organismi di Certificazione e Ispezione), costituitasi a Milano nel 1987, rappresenta in Italia i laboratori e gli organismi di certificazione e ispezione. L’associazione ha come mission la rappresentanza dei propri associati in ambito italiano e internazionale. Ci proponiamo di farlo tutelando l’interesse dei cittadini, promuovendo la cultura della qualità, la salvaguardia dell’ambiente e la sicurezza di alimenti, prodotti e servizi. Quindi una missione nell’interesse degli associati, ma anche dei nostri stakeholders, che sono veramente tanti.
Nel corso del convegno collegato all’assemblea generale di EUROLAB che quest’anno, grazie all’impegno di ALPI-ASSOTIC, abbiamo avuto il piacere di organizzare a Roma, abbiamo affrontato il tema del Laboratorio del Futuro, ovvero di come le tecnologie abilitanti – come la digitalizzazione, l’intelligenza artificiale, i big data e analytics, ecc. – potranno influenzare le attività dei laboratori, ma anche le relazioni con il mercato e non ultime le relazioni interne.
Il mondo dei laboratori sta cambiando. Sullo sfondo della crescente digitalizzazione, vari processi e strutture devono essere ripensati per il laboratorio del futuro.
Le tecnologie abilitanti saranno sicuramente protagoniste del cambiamento, e la necessità di gestire e scambiare enormi quantità di dati pone nuove esigenze, anche relativamente alla loro archiviazione e manutenzione rendendo molto più sensibile anche il tema della sicurezza informatica.
Ma in questo processo non dimentichiamo l’uomo, le cosiddette risorse umane; l’evoluzione in atto nei rapporti di lavoro, nelle relazioni industriali vede, soprattutto nelle nuove generazioni, un aumento della consapevolezza che il lavoro non può prescindere da altri aspetti, da altri equilibri di vita personale e sociale. Allora, come ingaggiare i giovani, come motivarli, coinvolgerli, entusiasmarli, come trattenerli?
E che dire dell’influenza dello sviluppo tecnologico, della digitalizzazione sulle persone meno qualificate, persone impiegate in processi di base, processi che si sposteranno verso un alto livello di automazione, cioè più ad alta intensità di capitale rispetto all’intensità di impiego di personale. Infine, i laboratori dovranno anche abbracciare gli obiettivi ESG e prestare la dovuta attenzione ai temi della sostenibilità ambientale e sociale da raggiungere attraverso una governance attenta alle raccomandazioni della Corporate Social Responsibility ISO 26000 e agli obiettivi fissati dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
Abbiamo quindi ottime ragioni per preoccuparci dell’evoluzione dei laboratori verso il futuro e nella conferenza, grazie a un panel di relatori di alto profilo, abbiamo esaminato alcuni di questi aspetti. In particolare, l’esigenza di tenere conto del capitale intellettuale come fattore imprescindibile nella trasformazione in atto è stata sottolineata da più relatori, tra i quali sono spiccate le considerazioni di Álvaro Silva Ribeiro, a capo della divisione Metrologia e Quality Manager del Laboratório Nacional de Engenharia Civil (Portogallo) e presidente di RELACRE, secondo il quale, oltre a curare gli investimenti in tecnologie, dovremo sviluppare una maggiore flessibilità dei nostri processi, agire sulle competenze digitali, mantenere il focus sul benessere dei collaboratori, sulla parità di genere e sull’assenza di ogni discriminazione, sul coinvolgimento delle persone e quindi sulla condivisione degli obiettivi. In definitiva, tanta tecnologia ma anche tanto investimento sul capitale umano e sugli aspetti relazionali.
Nei suoi articoli sulla nostra rivista lei ha sempre ribadito come anche un tecnico che trascorre gran parte delle sue giornate in laboratorio è chiamato a parlare con i clienti, quindi, deve avere gli strumenti per instaurare dispositivi di comunicazione efficaci…
È con la parola che andiamo a definire le cose che faremo nel tempo, sia nella vita personale sia nelle relazioni industriali; l’accordo viene raggiunto verbalmente, grazie alla parola. Dopodiché, a questa parola può fare seguito un contratto, che sancisca l’accordo con la parola scritta, ma inizialmente è la parola nella sua oralità, è l’incontro che dà avvio a un’attività. E oggi le tecnologie ci aiutano perché, grazie alle video conferenze, il numero di incontri è aumentato, le distanze non sono più un limite e riusciamo a cogliere l’espressione del nostro interlocutore, così ricca di informazioni, anche se si trova dall’altra parte del pianeta.
Attenersi agli accordi con i clienti e i colleghi in modo assoluto è imprescindibile nei dispositivi aziendali, ma, in seguito alla pandemia, si è insinuata una tendenza al relativismo, frutto dell’idea che tutto sia possibile, perché all’improvviso può intervenire un’emergenza e mandare all’aria qualsiasi programma. Per cui, nulla più conta in modo assoluto e ognuno può permettersi di rimandare o, addirittura, di non prendersi neanche l’impegno di consegnare il lavoro in un giorno preciso, così non ha bisogno nemmeno di giustificarsi del ritardo…
Proprio constatando questa tendenza intervenuta negli ultimi due anni, stiamo digitalizzando i processi che possono aiutare la nostra struttura, i tecnici, i commerciali, a tracciare tutto il processo di produzione del servizio in modo da potere assicurare al cliente una data di consegna certa.
Occorre comprendere come non sia facile enunciare una scadenza e, una volta stabilita, riuscire a mettere insieme due cose da cui si genera il ritmo dell’esperienza: da un lato la velocità e, dall’altro, l’accuratezza con cui dare forma all’impegno preso, enunciato con la parola e scritto nel contratto. Questo a volte vuol dire dover correre o comunque variare i ritmi, mentre generalmente ci piacerebbe che sul lavoro il ritmo fosse costante, più semplice da gestire. Purtroppo, così non è. Uno dei timori nel prendersi la responsabilità di enunciare una scadenza, quindi nel definire il tempo di un’attività, è la paura del ritmo, la paura di dover correre ancora di più quando si sta già correndo. Allora, ecco che ometto di dire quando riuscirò a terminare un lavoro, non comunico al cliente la data di consegna e così, non dicendo niente, credo di salvarmi, invece, mi sto condannando, perché il cliente incomincerà a chiamarmi in continuazione per sollecitare il lavoro, per avere certezza del rispetto dei suoi tempi, che non sempre possono essere i nostri tempi. Il tempo e la parola sembrano due cose semplicissime, eppure, sul tempo e sulla parola le aziende possono andare incontro a clamorosi insuccessi. Quindi, forse, nelle aziende, anche nella nostra, occorre interessarsi di più a questi due termini, il tempo e la parola.
Nella civiltà della parola, il tempo non è la mannaia da cui occorrerebbe salvarsi, come notava lei. Parlando, non c’è il “pericolo di morte”, per cui bisognerebbe evitare di dire qualcosa che potrebbe comportare un danno per chi lo dice. Anzi, parlando, ciascuno ottiene un risultato che non si sarebbe mai aspettato: per esempio, nel caso che citava lei, il collaboratore che sa già di non riuscire a mantenere i tempi delle commesse precedenti può comunicarlo al cliente, facendogli capire che è disposto a fare anche gli straordinari, se l’urgenza lo richiede, in modo che il cliente non si senta trascurato…
La prima cosa che s’impara nei corsi di project management è la corretta definizione, esplicitazione, dell’obiettivo e della sua qualità, del costo, ovvero delle risorse necessarie, e del tempo necessario al raggiungimento di quell’obiettivo, tenendo conto delle risorse a disposizione. Dopo di che, occorre programmare le azioni. Obiettivo, tempo e costo sono gli elementi fondamentali di ciascun programma. Allora, come si può pensare che il tempo del cliente non sia rilevante? Soprattutto se è necessario entrare all’interno del suo flusso di processo, cioè se il nostro servizio può bloccare o sbloccare parte del processo di produzione o di consegna del nostro cliente.
Non dobbiamo avere paura del tempo, dobbiamo valutarlo il più correttamente possibile, dotandoci di tutti gli strumenti necessari allo scopo. Poi il tempo del lavoro è un tempo finito e non sempre saremo in grado di far coincidere il tempo di consegna con le attese del cliente, ma la comunicazione, l’utilizzo della parola, se la utilizziamo, ci mette nelle condizioni di stabilire accordi e lavorare, noi e il cliente, in modo più sereno, programmando, concordando, rispettando i termini della parola data. L’assenza di parola sancirebbe l’insuccesso, una condanna già scritta.