INDUSTRIAL BRAIN. DI UN’ENERGIA CHE NON FINISCE

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brainworker, cifrante e presidente dell’Istituto culturale Centro Industria

Il cervello industriale non è il cervello umano: sarebbe il cervello sottoposto all’idea di morte (secondo Aristotele, tutti gli umani sarebbero uguali perché mortali) e all’idea di fine del tempo (ovvero al decadimento, sulla base dell’idea di usura del tempo). Eppure l’industria non si oppone a noi, a voi, a loro, al pubblico: l’humus nella vita di ciascuno è il materiale del tempo che non finisce, è quando le cose si fanno, e l’humanitas è invece il terreno dell’Altro, ovvero quando, facendo, nessuno può rappresentarsi l’Altro, umanizzarlo secondo la rappresentazione di sé, quindi considerarlo debole, incapace oppure immortale.

L’industria non ha bisogno di un nuovo umanesimo, non si alimenta delle convenzioni intorno all’uomo finalizzate al suo presunto bene ultimo, all’unità amorevole, ovvero ideale, dunque mortifera. L’industria si alimenta dell’ingegno, perché industria (endo struo) è la struttura delle cose che si fanno, nell’intervallo fra il lavoro e la trovata, ovvero non espungendo l’Altro, quindi parlando, incontrando, facendo, scrivendo lungo i dispositivi della giornata.

Oggi si parla tanto d’innovazione, spesso scivolando in un tecnicismo che da un lato sembra negare l’arte e l’invenzione, il talento e l’ingegno, l’intelligenza e l’astuzia e dall’altro sembra riscattare il naturalismo finalizzato all’idea di ritorno a una presunta purezza iniziale che redime dalle colpe dell’industria. Ancora una volta ciò avviene in nome del pregiudizio contro l’industria, la struttura
del fare, e la sua novella. Cosa fa orrore della novità? Forse la novità mette in questione la convenzione, il conformismo, il canone ideale? Forse la novità mette in questione la burocrazia, il potere degli uffici? Bureau, ufficio, e kratéo, potere, comandare.

Il cervello non è il luogo del potere, nemmeno il cervello inteso come organo del corpo, che infatti, talvolta, sembra non rispondere ai suoi presunti comandi. In questi casi il suo cosiddetto “mal funzionamento” è la risorsa e l’occasione per inventare modi nuovi di fare le cose, per avviare un ascolto che procede dall’apertura anziché dal pregiudizio. Anche l’architettura delle connessioni neuronali, cui comunemente si rimanda, è un’idea di cervello che appartiene a coloro che hanno bisogno di vedere come funziona attraverso i suoi impulsi elettrici, ovvero di localizzare per credere, quindi partendo da un’idea religiosa di cervello, dall’idea unificante perché finalizzata alla verità ideale da raggiungere. Sulla base di questa idea conformista sono tolte l’apertura, l’ironia, la contraddizione, l’equivoco a scapito della novità e della modernità.

Ma l’industria, come il cervello, procede dall’apertura e non dall’unità, procede dalla sfida e coglie la verità come effetto dell’esperienza che è in atto. “Ma sendo l’intento mio scrivere cosa utile a chi la intende, mi è parso più conveniente andare drieto alla verità effettuale della cosa, che alla immaginazione di essa”, scrive Niccolò Machiavelli nell’opera Il Principe, mettendo in questione il conformismo dell’immaginazione. L’inventore della politica senza finalismo e senza cerchio – la politica del fare – consiglia di “leggere le istorie, e in quelle considerare le azioni degli uomini eccellenti” e “con industria farne capitale, per potersene valere nelle avversità, acciò che, quando si muta la fortuna, lo truovi parato a resisterle”. Il segretario fiorentino indica come modo della capitalizzazione per il principe la ginnastica intellettuale, l’industria della parola, il brain industry.

Nel testo di Machiavelli, il cervello risulta dispositivo intellettuale, dispositivo che procede dalla questione aperta. Industrial brain è il dispositivo intellettuale dell’industria, il dispositivo che si alimenta con il brain industry, con l’industria della parola. È la parola in cui sono rilanciati l’investimento e il contributo, quindi in assenza di gratuità. L’impresa è intellettuale se si avvale dell’industrial brain, dei dispositivi intellettuali, non conformisti, dei dispositivi di arte e invenzione, del cervello industriale che va in direzione della salute.

La direzione non è la guida. La guida ideale o spirituale parte dallo schema demonologico, secondo cui tutto ciò che è nuovo è una minaccia, quindi è imputato come reato. L’industrial brain instaura la modernità attraverso l’industria della parola, è un dispositivo intellettuale, un dispositivo della parola che diviene capitale. I dispositivi intellettuali sono essenziali al cervello, alla direzione. Senza i dispositivi intellettuali c’è il girare in tondo e a vuoto, perché la direzione è rispetto al valore ideale, sancito dal canone. Si oppone al canone l’atto pragmatico che interviene ei dispositivi intellettuali.

Actus, in latino, traduce il greco enérgheia. L’energia è l’atto, la vita in atto, la memoria in atto, pertanto la struttura dell’esperienza in atto. È in atto nei dispositivi della parola, nell’industrial brain, nel cervello industriale. Enérgheia non implica l’economia del potenziale, perché l’atto non finisce e non si consuma. Questa energia non è accumulabile. Accumulo è un concetto che incomincia a introdurre Marx. L’accumulo sarebbe possibile quando l’atto è inteso come atto ideale, quindi come sostanza, soggiacente a un’idea precostituita, in cui il tempo è escluso. Tutto ciò che è escluso da questa idea è accusato di essere contraddittorio.

I dispositivi della parola sfatano le idee precostituite, la propria idea, in breve, la mentalità, il canone che ognuno si dà per assoggettarsi all’idea di pena. La mentalità aborre l’esperienza, la struttura della parola in atto e la sua modernità. Il Capitale di Mar è sostanziale e mentale, la sua direzione è rivolta a economizzarne la fine, non è il capitale dell’industria della parola, il capitale intellettuale che non la smette con l’arte e con l’invenzione, con le opere d’arte e d’ingegno, il valore assoluto cui approda la direzione.

La struttura dell’industria della parola, con l’industrial brain, con il suo cervello industriale, con i dispositivi della parola in atto, è la struttura intoglibile della modernità, è la struttura della civiltà, è la struttura della vita civile e della cittadinanza planetaria. L’apporto del manifatturiero sta qui: attenersi all’istanza del valore assoluto senza lasciarsi travolgere dalla crisi energetica e dalla cosiddetta transizione ecologica. L’industria si alimenta dell’ingegno che non finisce, la parola in atto è la sua energia. Le testimonianze degli imprenditori che intervengono in questo convegno sono intellettuali, perché, lungi dal situarsi nell’accademia o nell’umanesimo, assumono il rischio proprio alla riuscita, quindi all’edizione.