45 ANNI D’INGEGNO NELL’ELETTRONICA PER L’AUTOMAZIONE INDUSTRIALE

Qualifiche dell'autore: 
presidente di SCE Group, della Fondazione ITS Maker e della Scuola Politecnica dell’Emilia-Romagna

Nel 2023 SCE festeggia il 45º compleanno, un traguardo che, come sempre avviene nel vostro itinerario di ricerca e d’impresa, è un trampolino di lancio per un nuovo viaggio...

Ciascun traguardo è figlio di uno sforzo, ma soprattutto di un sogno, e i sogni non devono mai terminare, i sogni non hanno età. Abbiamo vissuto tanti anni prosperosi, ma anche periodi di vacche magre: dal 2008 al 2015 siamo stati coinvolti in una crisi prodotta soprattutto dal fatto che eravamoimpegnati in ingenti investimenti in ricerca finanziati come storicamente facevamo, con i margini dei nostri fatturati. Quando i margini si sono assottigliati a causa della crisi globale, anziché limitare gli investimenti, pensando che la crisi durasse i classici due o tre anni, abbiamo insistito a investire. Purtroppo, la crisi è durata sette anni, nei quali la nostra struttura si è indebolita ed è passata attraverso importanti cambiamenti.

Apparentemente si è indebolita, in realtà, da lì è nata una SCE con basi molto più solide, perché avete mantenuto la rotta...

Certo, la rotta è rimasta quella di continuare a investire insieme ai nostri clienti per stare al passo del fabbisogno tecnologico in continuo aumento. E questo ci ha dato modo di recuperare, negli anni successivi al 2015, e di arrivare alla soglia dei quarantacinque anni con bilanci molto interessanti e ottime prospettive per il 2023, con ordini per il primo e il secondo trimestre, nonostante tutti gli interrogativi che ci hanno portato la pandemia e la guerra. Inoltre, stiamo acquisendo nuovi clienti messi in difficoltà nelle mancate consegne in cui si trovano molte multinazionali del nostro settore, quello dell’elettronica, a causa della carenza di materie prime. Del resto, le multinazionali si basano su algoritmi che in questo periodo prevedono consegne spesso superiori ai 18 mesi, ma le piccole e medie imprese come la nostra e quelle dei nostri clienti non possono lavorare con programmi a così lungo termine. Allora, oltre ad avere investito con largo anticipo sulle scorte di magazzino, ci siamo impegnati per sostituire alcuni componenti con articoli alternativi e siamo riusciti a raggiungere lo stesso risultato, ovvero abbiamo consegnato ai clienti, in tempi brevi, computer industriali equivalenti a quelli forniti dai colossi tedeschi e americani dell’elettronica.

Questa è la prova dell’ingegno italiano che alimenta il nostro tessuto industriale...

È merito soprattutto delle nostre maestranze, che non si sono mai fossilizzate su standard che ingessano le aziende, ma hanno sempre coltivato la ricerca, aggiornando continuamente le loro competenze. Abbiamo dimostrato di essere giovani, nonostante i nostri quarantacinque anni. Questo ci viene riconosciuto dai nostri clienti e anche da chi cliente non era e lo è diventato.

Quando è incominciata la sua vocazione per l’elettronica?

Molte passioni ce le portiamo dietro fin da ragazzi. Nel 1970 la mia famiglia, come quasi tutte quelle del vicinato, non aveva ancora la televisione e il desiderio di seguire i mondiali di calcio di quell’anno in Messico mi portò all’acquisto di un televisore usato; lo modificai con gli accessori per ricevere il secondo canale e, con l’aiuto di un amico, montai l’antenna sul tetto. Investimento globale: 12000 delle vecchie lire. Così riuscii a guardare i mondiali, estendendo la gioia a tutto il vicinato. Il mio insegnante di telecomunicazioni all’Istituto “Fermo Corni” di Modena, l’Ingegner Personali, negli anni cinquanta era stato il primo a portare a Modena l’antenna, da una fiera degli Stati Uniti: e i primi modenesi si avvicinarono alla televisione grazie a quel grande uomo. Quegli insegnanti trasmettevano la loro passione a noi giovani. In quegli anni dal Corni uscirono i tecnici che furono attori della crescita della Sip, la futura Telecom. Io stesso ho lavorato in Auso Siemens Telecomunicazioni, poi Italtel, a Milano: eravamo 14.000 dipendenti.

Poi la passione è cresciuta nel tempo e credo non smetterà mai, come non devono smettere i sogni degli imprenditori. Si spera che possano essere gli stessi sogni, con tutte le varianti del caso, che proseguono con i desideri dei figli. Ma non si può dare mai per scontato.

I suoi figli oggi sono alla guida dell’azienda di famiglia, dove hanno incominciato a lavorare molto presto...

Tiziano, che segue gli aspetti tecnici, organizzativi e di produzione, ha incominciato a lavorare subito dopo il diploma in elettronica e poi ha seguito un corso di specializzazione al Politecnico di Milano, mentre Simone, che si occupa degli aspetti commerciali e amministrativi, dopo la laurea in economia aziendale, ha lavorato in un’altra azienda, prima di entrare in SCE. Entrambi hanno deciso di fare gli imprenditori da poco tempo, perché la crisi del 2008 li aveva un po’ scossi, rallentando la loro decisione. Oggi sono protagonisti della trasformazione in atto e stanno dando un contributo straordinario alla nostra crescita.

Invece sua moglie, Gabriella Sanna, oltre a essere socia, di cosa si occupava?

Ha curato sempre gli aspetti amministrativi e, all’inizio, quando eravamo artigiani, dava una mano anche in produzione, oltre a gestire la famiglia con grande impegno e cura: sicuramente è il perno dell’intera nostra famiglia e ora si dedica in minima parte all’azienda, dando valore a un impegno più importante, quella di fare la nonna a cinque meravigliosi nipotini e nipotine.

Quando avete smesso di essere artigiani?

In realtà, anche se la nostra organizzazione è di tipo industriale, siamo ancora “artigiani”, nel senso che produciamo un’elettronica sartoriale per affiancare i nostri clienti nelle loro richieste verso prodotti sempre innovativi e spesso destinati a serie non elevate.

Chi produce qualcosa che non c’era prima sul mercato ci chiede, oltre alla funzionalità tecnologica di ultima generazione, di fare incontrare le esigenze di produzione con quelle delle normative sanitarie e ambientali, spesso talmente stringenti da scoraggiare la messa a punto di nuove apparecchiature da parte di piccole realtà come le nostre. Prendiamo l’esempio della Marotta Evolution, recentissimo cliente SCE che produce un’apparecchiatura automatica per la lavorazione della burrata. Fino a metà del 2020 l’introduzione della panna nella mozzarella avveniva tramite una siringa azionata dalla mano dell’uomo. Carmine Marotta e i suoi collaboratori sono riusciti a fare in modo che la macchina imiti il gesto della mano e lo renda automatico. Si è curato anche un ambiente asettico per la sicurezza alimentare del prodotto, rispettando e addirittura migliorando le normative vigenti, non soltanto in Italia, ma anche in ambito internazionale. Soltanto così questa apparecchiatura, introdotta sul mercato appena due anni fa, ha potuto già conquistare clienti che producono, oltre che in Italia, in America e in Australia, godendo di un primato tecnologico mondiale a soli 24 mesi dalla presentazione al mercato del prototipo.

In ciascun settore, l’automazione ha bisogno di elettronica avanzata, studiata e messa a punto per raggiungere i risultati cui punta il nostro committente. È questo il contributo che abbiamo sempre dato alla trasformazione in tutti i settori. Al di là dell’importanza della tecnologia, credo che il valore aggiunto espresso dalla nostra azienda sia stato quello di saper ascoltare i bisogni dei clienti e di creare con loro quei rapporti umani assolutamente necessari per affrontare i tanti momenti complicati che s’incontrano sul mercato.

Voi avete “educato” alle nuove tecnologie i vostri clienti, siete stati pionieri in tanti settori...

Certo, quando è nata la macchina elettrica, siamo stati tra i primi a mettere a punto i sistemi di controllo delle batterie al litio. Oltre a studiare sistemi per la gestione energetica delle celle (commissionatoci poi anche da aziende cinesi), già agli inizi del secolo abbiamo realizzato dispositivi di trasferimento dati a bordo macchina per consentire la telesorveglianza dei dati da remoto. Da qui, il campo si è allargato al controllo di posizione e ad altre applicazioni che poi sono entrate nell’uso quotidiano. Oggi un rilevatore di posizione di persone o di veicoli costa qualche euro, mentre all’epoca aveva un costo proibitivo. Alla fine del secolo scorso, alcuni allevatori emiliani ci chiesero di studiare un sistema per monitorare la distribuzione nei campi dei liquami animali, la cui densità non doveva superare un limite stabilito per legge. Per arrivare a questo risultato dotammo le autobotti che prelevavano il liquame dalle stalle di primi sistemi di controllo satellitare, con un costo incredibile, anche perché noi partivamo da zero e gli unici sistemi esistenti erano operativi in campo militare e chiaramente le informazioni non venivano divulgate. Oggi i sistemi di posizionamento satellitare sono talmente perfezionati e industrializzati che ormai tutti gli smartphone ne sono dotati, spesso a costo zero, anche perché intanto è cresciuto enormemente il numero di satelliti e di informazioni messe a disposizione degli utenti. Nei nostri quarantacinque anni di attività abbiamo visto una proliferazione straordinaria di queste tecnologie, ma noi rimaniamo comunque una realtà focalizzata sull’automazione industriale, o meglio sull’elettronica per l’automazione e nei personal computer industriali da inserire in ambienti gravosi. Oggi fortunatamente le condizioni estreme riguardano sempre più le macchine e sempre meno gli operatori. Nelle industrie ceramiche, per esempio, fino a poco tempo fa, lo smalto veniva spruzzato in pressione sul supporto ceramico provocando una nebulizzazione che inquinava il reparto intero e non erano sufficienti i tradizionali sistemi di aspirazione, per cui gli operatori erano costretti a usare mascherine e spesso stivali di gomma. La digitalizzazione delle applicazioni ha trasformato il sistema produttivo. In cinque anni di collaborazione con un’importante azienda del settore, SCE ha messo a punto l’automazione per depositare lo smalto senza apporto residuo sull’ambiente. Oggi, possiamo andare in smalteria in giacca e cravatta. È anche questo uno dei casi per cui le famiglie dovrebbero essere informate di come le industrie oggi sono organizzate e come sono cambiati i mestieri; si pensa ancora all’operaio metalmeccanico come colui che indossa la tuta blu sporca di grasso. Sono stereotipi da superare. La fabbrica oggi è tutt’altra cosa e, allora, occorre che non solo le famiglie, ma soprattutto gli insegnanti delle scuole medie visitino i nostri ambienti di lavoro e si rendano conto dei vantaggi che possono trarre i giovani nello svolgimento di mestieri tecnici qualificati, dando un contributo anche al nostro tessuto industriale. Il mondo è cambiato, quindi coloro che si occupano dell’educazione dovranno aggiornarsi, altrimenti, si ripeteranno gli errori che abbiamo commesso negli ultimi trent’anni, orientando i ragazzi verso mestieri di cui c’è eccedenza. I genitori devono documentarsi e conoscere le opportunità che offre il territorio. Certo, se un ragazzo ha una vocazione, occorre lasciare che la segua; le vocazioni vanno rispettate, però non dobbiamo confonderle troppo spesso con le vocazioni dei genitori.