L’ANNUNCIAZIONE E L’OBBEDIENZA CIVILE

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psicanalista, psichiatra, presidente dell’Associazione cifrematica di Padova

Per via dell’afasia e per via dell’alingua, per via della struttura linguistica che si scrive, è vano ogni tentativo di erigere un sistema sulla parola. Impossibile tradurre, trasmettere, trasporre soggettivamente, cioè secondo il modello sostanziale e mentale, quel che si dice, per riprodurre nel senso comune, nel luogo comune e nel consenso la realtà ideale: traduzione, trasmissione, trasposizione sono proprietà narrative della struttura, della memoria, dell’esperienza della parola che diviene qualità, valore, capitale della vita e che in virtù della narratività si scrive.

In virtù della procedura per integrazione e in virtù del processo di qualificazione in virtù del gerundio e del suo dispositivo risulta impossibile pensare la parola: pensarla e idealizzarla la renderebbe tangibile.

La parola non è padroneggiabile anche per la questione dell’annunciazione come memoria in atto, come struttura, come esperienza della parola. La rappresentazione iconografica dell’annunciazione di Maria proposta dal Vangelo è parodistica nel suo assetto, che tratteggia l’esigenza del dispositivo della parola. Quel che si enuncia non riproduce l’annunciazione. “Ándra ou ghinósco, Non conosco uomo”. L’enunciato di Maria è un teorema, un corollario della virtù dell’anoressia, virtù dell’atto di parola.

L’annunciazione non è né in presenza né in assenza: è senza agente annunciante e esige il dispositivo della parola che diviene valore, qualità capitale. Per l’annunciazione e per la procedura per integrazione la struttura si scrive e si compie: la sintassi si compie nella legge, la frase si compie nell’etica, il pragma si compie nella clinica. Legge, etica, clinica della vita, non riproducibili, non prescrivibili. Impossibile sapere o conoscere l’annunciazione. L’annunciazione, il suo gerundio, il suo processo linguistico avvengono nella simultaneità e per questo l’enigma dell’ascolto non si risolve.

L’ascolto è senza riferimento: non è la riconduzione al senso comune, al sapere condiviso o condivisibile, alla verità ritenuta fondamentale. Tolta l’annunciazione, ognuno può prescrivere a sé e a altri come le cose devono essere, oppure come devono avvenire. Tolta l’annunciazione, il soggetto ideale, naturale, innato, radicale o puro diventa il modello da realizzare o da essere; e allora ognuno ingaggia la lotta contro ciò che si oppone al conseguimento del modello presunto conosciuto, contro il tempo e contro l’oggetto, contro la domanda, contro la differenza e la variazione costanti, viste come deroghe al destino, deroghe al “naturale” corso delle cose.

La domanda diventa un fastidio. La tensione linguistica della domanda la sua proprietà linguistica e la sua specificità linguistica danno fastidio alla soggettività, per proteggere la quale ognuno evita l’analisi della circostanza, del dettaglio, di ciò che urge, di ciò che tende a qualificarsi. E adotta il metodo di puntare sul plurale, per realizzare il principio dell’uguale in ciò che accade, con la formula “tutte le volte che…”. La pluralità delle circostanze vorrebbe inscrivere le cose nella generalità e nella genericità, eludendo il caso di valore.

Nel caso di Cristo e di Maria di Magdala nei pressi del sepolcro, il mattino dopo la resurrezione, che cosa si annuncia in ciò che Cristo enuncia a Maria? “Mé mou áptou”, scrive Giovanni nel suo Vangelo, (20,17). È stato tradotto in latino “Noli me tangere”. L’integrità è una virtù dell’annunciazione, dell’intangibilità e un teorema dell’oggetto della parola. Cristo testimonia intorno a alcune virtù dell’atto e alle proprietà della struttura, con il teorema “Non c’è più contatto”: qui si tratta di annunciazione, con l’enigma come sua base. Quel che si enuncia non corrisponde all’annunciazione. Questa è una proprietà dell’annunciazione.

L’annunciazione non è “per tutti”, non è “per sempre”. Non è da confondere né con l’enunciazione né con l’enunciato. È estranea all’idealità, all’arbitrio dell’idea, alla pensabilità, alla sostanzialità dell’idea da cui procederebbe la tangibilità, che è sempre nella forma del contatto di spirito, della comunione spirituale, con la riproduzione economica dell’atto nel fatto.

L’annunciazione si specifica nell’oralità, per la cosa, proprietà linguistica di scrittura e per la vestis, specificità linguistica, con la testimonianza civile che contribuisce alla civiltà.

L’annunciazione non è comune, non è autoreferenziale, non è autologica, non è logica, non è pertinente al canone dell’unilingua, non è soggettiva, non consente l’autofagia della memoria nel ricordo. Impossibile il cannibalismo: la materia della parola non sfocia in sostanza comune. Nessun luogo della sostanza: non la volontà, non l’intenzione, non la psiche, non la mente, non l’encefalo, non lo spirito, non il fine comune, non il fine di bene. E con l’annunciazione il caso è di qualità. L’annunciazione ha due facce: l’autismo e l’automatismo e partecipa delle virtù del principio della parola. È la combinatoria di particolarità e di strutture (sintassi, frase, pragma). Costante l’annunciazione e costanti le sue virtù e le sue proprietà. Anche l’annunciazione ha la sua condizione nel sembiante, oggetto e causa, e esige l’ascolto con il suo enigma.

L’annunciazione si struttura lungo la valorizzazione della domanda. Esige l’ascolto e l’intendimento. L’arbitrio dell’idea, come idea di sé e idea dell’Altro, idea della cosa e idea della vestis, nega l’annunciazione, ne toglie l’integrità, togliendo il disturbo, la lacuna, il fiasco per istituire o costituire il discorso sistemico, rispondente alla padronanza, all’imperio, al controllo.

L’annunciazione non è rivelazione, non propone la fine del tempo. Con la struttura della parola – la sintassi, la frase e il pragma – per la rivoluzione di ciascuna cosa in direzione del valore il processo di valorizzazione è costante. Se il processo di valorizzazione cedesse all’arbitrio dell’idea – negativa, patologica, sostanziale, mentale, spirituale –, che si frappone agli indici della direzione della domanda, sorgerebbero contropiedi, contrappassi, contraccolpi e segnali del narcisismo della vita, come, per esempio, la noia, la nausea, lo smarrimento, l’infarto, l’ictus, la paura, lo spavento, il terrore, il panico.

L’annunciazione singolare triale, con la procedura per integrazione dissipa la dimostrazione dell’identità genealogica, familiare, sociale. La questione della parola è la questione del rinascimento e dell’industria della parola che procedono dal due e si rivolgono al capitale della vita.

L’obbedienza, ovvero ciò che si ascolta non è ciò che si pensa di avere capito, è proprietà della testimonianza civile. Il contributo alla civiltà non è il progresso, che ha la necessità dell’origine per definirsi, ma è la testimonianza del rinascimento e dell’industria della parola.

Nell’industria della parola, per il diritto e la ragione dell’Altro, l’esperienza è civile, è l’annunciazione che si scrive. La scrittura civile e la testimonianza civile hanno la loro base nell’industria della parola nel gerundio dell’atto.

E la testimonianza è la prova linguistica della scrittura civile, la prova linguistica dell’annunciazione, dell’esperienza nella sua integrità e nella sua attualità. Non si riassume. Non si definisce. La materia della testimonianza è materia dell’annunciazione. Le virtù dell’annunciazione sono le virtù dell’atto. E non c’è annunciazione ideale, perché l’ideale dovrebbe correggersi rispetto alla realtà effettiva.

L’ascolto non è una facoltà. Il soggetto dell’ascolto è una fantasia di padronanza finalizzata a dimostrare che l’ascolto è un esercizio di volontà e di padronanza. L’ascolto, tra il tempo e la piega, esige il dispositivo della parola, la mano intellettuale e l’integrazione delle particolarità e della struttura della parola.

Pensare di ascoltare ciò che qualcuno dice, per tradurre e interpretare e quindi spiegare la verità di quanto detto, è il miraggio della conoscenza con le facoltà che ne deriverebbero. L’ascolto esige il lettore e l’interlocutore, che non sono rappresentabili.

L’apertura non si chiude: questo è il proseguimento. Nel rivolgimento della parola dal due alla qualità, al valore, al capitale della vita l’apertura non si chiude. Nel dispositivo della parola l’apertura non si chiude. Non si tratta di predestinazione, non si tratta di inerzia, non si tratta di ontologia dell’essere o della qualità, ma della procedura per integrazione e della domanda, dello sforzo che non cessa, dello statuto intellettuale che si scrive.

Nel dispositivo della parola non c’è coppia. Fare coppia è l’imperativo platonico per la chiusura del cerchio del ritorno all’origine con la sua tristezza, sentimento del cedimento alla nostalgia, all’idea di ritorno. Rivolgersi all’origine nega la chance del simbolo, della lettera, della cifra, nega la chance della legge, dell’etica, della clinica della parola. Legge, etica, clinica della vita sono i compimenti della struttura della sintassi, della frase, del pragma che si scrive. La struttura si scrive e l’ambito e l’ambiente non s’immobilizzano, dissipando i pregiudizi, il sistema, il canone con la relativa tristezza, che è l’attesa della metamorfosi da vivo a morto o da morto a morto: cambia la forma, ma la sostanza è la stessa. Questa è la metamorfosi misterica e platonica. La sostanza è l’ipostasi e il riferimento ideale è sempre la sostanza.

La direzione della domanda è negata in nome della conoscenza della fine. Negando la direzione della domanda e presumendo che la direzione sia “per natura” o “per innatismo” o “per fatalità” o “per predestinazione” la forza è idealmente contrastata, contrapposta, impedita. La direzione negata è la direzione voluta, prevista, senza la domanda con i suoi indici. È la direzione senza la memoria in atto, senza l’esperienza in atto: è la direzione secondo l’idea di sé, l’idea dell’Altro, o la reminiscenza. La memoria negata è la memoria come tale o la memoria sostanziale, basata sul fatto; la reminiscenza nega la realtà effettiva perché pone dinanzi l’ombra ermetica, l’ombra che nasconde la realtà ideale. Due sono i volti della conoscenza: il mondo come prigione nell’attesa del liberatore e l’ombra ermetica che esige l’anamnesi e la diagnosi. Ma l’annunciazione sfata questa ipostasi.