OCCORRE DISTINGUERE FRA INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE

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scrittore, già direttore di “QN: Il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno”

Nella quotidianità del nostro lavoro di giornalisti c’è anche un po’ di superficialità, perché alle dieci di sera “occorre chiudere” e non c’è tempo per i dibattiti. Pertanto, considerando che i giornali in fondo sono “monarchie incostituzionali”, tanti passaggi che possono essere sfuggiti si ritrovano nel libro di Dario Fertilio, Le notizie del diavolo. La parabola ignota della disinformazione (Spirali), frutto di un lavoro di ricerca molto interessante.

Non penso che esista un grande fratello della comunicazione. A me nessuno ha mai detto ciò che devo scrivere. Indro Montanelli mi diceva ciò che “non” dovevo scrivere, cioè le falsità. Credo piuttosto a quella che Fertilio chiama “omologazione”, e anche a quella che chiama “censura morbida”, per cui alla fine ci si adatta al trend dell’informazione più diffusa, più comune, meno problematica e con meno conseguenze per chi la fa. Ritengo dunque che non ci sia una guida dell’informazione mondiale, e nemmeno locale.

Occorre considerare una distinzione, spesso trascurata, tra informazione e comunicazione. I social, che ormai vengono scambiati e omologati con l’informazione, in realtà sono comunicazione. La differenza tra informazione e comunicazione è che nella comunicazione ciascuno può dire ciò che vuole, attualmente senza pagare dazio. Ma credo che sarà molto difficile – trattandosi di una dimensione globale, universale – giungere a una dimensione giuridica che introduca la distinzione corretta fra comunicazione, che è alla portata di tutti, anche attraverso i social, e informazione, che è prerogativa di noi professionisti, anche se comunque non dobbiamo considerare vera in modo assoluto. Occorre ammettere che oggi in Italia i giornali sono prevalentemente “gridati”, che siano di destra o di sinistra. Alcuni, tra cui quelli del mio gruppo, fanno ancora informazione, anche perché tengono conto delle radici locali, altri la fanno meno. Ricordate poi che i più presenti nei talk show sono proprio gli editorialisti di quotidiani che vendono poche copie, anche dell’ordine di poche migliaia. Resta comunque fondamentale che tutti noi addetti ai lavori, ma soprattutto voi, destinatari della comunicazione, teniamo ben presente questa differenza tra informazione e comunicazione, e non perché l’informazione che do io, o che dà Dario Fertilio, abbia il timbro della verità – proprio perché ciascuno può cadere nelle trappole che l’autore riassume così bene e diffonde nel suo libro – ma perché almeno ne rispondiamo. Nella mia fortunata carriera di direttore di giornali ho avuto novantadue cause, la maggior parte delle quali erano dovute ad articoli scritti da altri sui giornali che dirigevo, ma anche in qualche caso ad articoli scritti da me, cause di cui un paio sono ancora in corso. Nel primo grado ho subito anche condanne a pene detentive, poi in appello commutate in pene pecuniarie. Ma se avessi scritto le stesse cose, o anche molto peggiori, su Twitter, Facebook, Instagram, Tik Tok, non avrei avuto nessuna causa. Tenete presente che sui social il pensiero è libero – e questo è interessante –, ma è anche incontrollato.

A proposito di fake news, ricordo che abbiamo visto scene molto belle, anche entusiasmanti, delle “primavere arabe”, salvo poi apprendere, in un secondo tempo, che si trattava di manifestazioni avvenute non in Tunisia in quel giorno, ma in Pakistan quindici anni prima. Il mio invito quindi, rivolto innanzi tutto a noi stessi, cioè a chi fa questo mestiere, è quello di cercare di avere la maggiore indipendenza e correttezza possibili, e al pubblico, anche quando diventiamo noi stessi pubblico e fruiamo dei social prendendo per buone le cose che ci vengono dette, di avere la massima attenzione a quanto ci viene comunicato.

Dario Fertilio, nel suo libro, a pagina 15, scrive una cosa molto vera: “In generale, gli uomini desiderano trovarsi dalla parte giusta e accettano anche notizie palesemente false, se servono a rafforzarli in questa convinzione”. È vero. Uno dei complimenti maggiori che riceviamo noi giornalisti è quando qualcuno ci ferma per strada e ci dice: “La leggo tutti i giorni, la penso come lei”. E noi ci riteniamo bravi e ci sentiamo gratificati perché qualcuno la pensa esattamente come noi. Siamo insomma reciprocamente contenti. Lui di leggere quello che vuole sentirsi dire e noi di avere la conferma che quello che abbiamo scritto ha, a sua volta, un riscontro nel lettore.

Qualcuno potrebbe fare obiezioni rispetto allo squilibrio nella quantità di notizie riportate. Per esempio, a proposito dell’attuale guerra in Ucraina, ci si può chiedere come mai abbiamo in grande prevalenza notizie dalla parte ucraina e pochissime da quella russa. La risposta è molto semplice: perché non ci fanno andare dall’altra parte. Il mondo è pieno di vicende in cui si sta da una parte sola perché da quella opposta non ci lasciano andare. Ciò avviene, in particolare, se sono al potere regimi dittatoriali che, a loro volta, “vendono” la loro verità. Dove tale verità non è venduta, anche noi giornalisti riusciamo in qualche modo a inserirci; poi magari possiamo essere condizionati, entrando nel citato meccanismo di assuefazione alla notizia. Quindi, affinché la stessa notizia possa essere completa e giudicata in modo compiuto da parte dei lettori, occorre considerare anche qual è la possibilità di accesso alle fonti.

A ogni modo resta a nostra disposizione un’informazione certificata, che comunque, anche se falsa, risponde della sua falsità, ed esiste una sterminata comunicazione non certificata in cui la fake news s’infila in modo molto più facile e penetrante. Il bello dell’opera di Fertilio è che egli ha scoperto queste cose quando esisteva soltanto l’informazione certificata. Io me ne sono accorto meno, anche perché ho avuto un grande maestro come Montanelli. Quando Berlinguer ebbe un malore nel corso di un comizio a Padova, intorno alle nove di sera, il mattino seguente Montanelli ci disse che già dalle undici della sera precedente dieci giornalisti del “Corriere” si trovavano a Padova per seguire la vicenda. Quindi mi disse: “Vai tu; prima, però, vieni di là perché devo dirti una cosa”. Usciti dalla riunione andai con lui e mi avvertì: “Guarda che questo è un servizio difficile: ‘Il Giornale’ è considerato di destra, poi è un servizio delicato perché non sta morendo uno qualunque, ma il segretario del Partito Comunista. Tieni anche presente che la maggior parte dei nostri lettori sarà molto più contenta che muoia di quanto siamo noi”. Capii grazie a lui che dovevo andare per raccontare quello che succedeva, e tenendo ben presente la sua raccomandazione di equilibrio. Dopo due giorni Berlinguer morì e io scrissi il pezzo di cronaca, la cui pagina conservo ancora, con a fianco il “fondo” di Montanelli, intitolato Il migliore dei nemici. Ovviamente, “nemico” come lo s’intendeva allora, cioè come avversario politico, non come oggi, in cui l’avversario politico è un nemico contro cui versare fiumi di odio.

Quindi, io mi sono accorto meno delle cose che Fertilio evidenzia perché ho rivolto la mia attenzione molto di più agli insegnamenti ricevuti, che portavano alla correttezza, all’onestà, al rigore dell’informazione e al rispetto dei lettori. Per esempio, in occasione del mio primo pezzo, che scrissi da Parigi – quindi da una dimensione che non era la mia, che venivo dalla provincia –, Montanelli mi chiamò e mi disse: “Possiamo leggerlo assieme?”. “Certamente”, risposi io. Allora cominciò a leggerlo e mi chiese: “Questo inciso?”. Risposi: “È una mia riflessione”. “Allora la togliamo. E questa parentesi, è roba tua?”. “Sì”, risposi io. “Allora togliamo anche questa”. Insomma, tolse quelle due o tre cose che, di mio, avevo fatto scivolare nell’articolo. E aggiunse: “Per essere il primo pezzo che hai fatto, è buono. Però ti devo spiegare una cosa. Di ciò che tu pensi a me e ai lettori non interessa assolutamente niente, quindi non metterlo. Se fai un pezzo di cronaca, racconta quanto accade. Poi, quando sarai diventato grande, ti chiederò un commento: allora tu lo scriverai, ma non nel pezzo dedicato alla cronaca”. Questa fu un’altra grande lezione, che mi depistò dall’andare a rintracciare le fake, perché non le ho mai coltivate, avendo ricevuto l’insegnamento di raccontare le cose che vedevo, che ovviamente non sono mai oggettive. Possiamo dire, dunque, che chi fa questo mestiere, chi lo ha fatto e chi continua a farlo come noi, può leggere con una certa serenità il libro di Fertilio e il grande lavoro che lui e altri fanno sulla ricerca e sulla caccia alle fake news e dare così anche a chi ci legge la serenità di avere di fronte un prodotto che non sarà il migliore ma, certamente, il più onesto possibile.