L’ABUSO DEI FARMACI: UN FEMMINICIDIO?

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neurologo, autore di Malati per forza. Gli anziani fragili, il medico e gli eventi avversi neurologici da farmaci, Maggioli Editore

Nel 2021 l’ISTAT ci aveva già allertati: nel 2070 saremo probabilmente dodici milioni di meno, sempre con più anziani e con famiglie rimpicciolite. Siamo già sotto i sessanta milioni, con un aumento annuale di ultrasessantacinquenni e con una diminuzione della fascia sotto i quattordici anni. Paradossalmente, si può dire che nascono più vecchi che bambini!

Unica nota positiva, l’aumento degli ultracentenari: nel 2022 ne sono stati censiti ventiduemila, duemila in più rispetto al 2020. La maggior parte di costoro per l’80% sono donne. Nella speranza di vita (SV) la donna, infatti, si assesta sugli 84,8 anni, mentre l’uomo, anche se sembra “recuperare” nell’ultimo decennio, è sugli 80.5. Di recente, anche per effetto del Covid, vi è stato comunque un rallentamento generale della crescita della speranza di vita, che peraltro vede differenze tra regioni, dove agli ultimi posti vi sono quelle meridionali.

L’aumento della speranza di vita è dovuto ai numerosi fattori che possiamo immaginare, alle invenzioni in campo sanitario e all’introduzione di provvedimenti sociali più disparati. Tutto questo però sta creando una “coda” di persone con patologie croniche e fragili. Racconto la fragilità paragonandola ad un bicchiere antico di cristallo: se rimane custodito in una bacheca ha certamente un destino migliore rispetto a un utilizzo sul tavolo davanti a me, per esempio in un brindisi alla conclusione di questo convegno (L’età, le donne, il fare, Bologna, 13 giugno 2023). Qui rischia di essere urtato e di rompersi e appaiono decisive, sì la struttura del cristallo ma, ovviamente, anche l’ambiente che lo circonda, le nostre attenzioni e cure.

L’anziano fragile è inteso, malgrado la progressiva diffusione, come persona scientificamente poco interessante persino nelle corsie e nelle residenze: grida, è scomodo da gestire, è ritenuto inguaribile e di scarso valore scientifico. Tuttavia, nella mia frequentazione trentennale dei geriatri, ho imparato che “inguaribile non significa incurabile” e che possiamo prenderci cura e migliorare tante situazioni critiche attraverso gli small gains, i piccoli guadagni, numerosi e variegati accorgimenti che possiamo adottare. Basterebbe a volte andare a trovare gli anziani a casa o in struttura residenziale e iniziare una battaglia contro la sedentarietà e, in particolare, contro la solitudine. “Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi, alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice”: questo è il logo, tratto dal libro di Antoine de Saint- Exupéri, Il piccolo principe, che ho scelto pochi anni fa per introdurre un convegno a Udine sul tema della solitudine nemica della salute. Cerchiamo di combattere la solitudine, la noia, l’abbandono e, infine, tentiamo di ridurre e persino di sospendere i farmaci se non necessari o addirittura inappropriati, con una revisione periodica e responsabile della terapia, in un soggetto peraltro variabile nella salute. Ma, prima ancora, badiamo ai dettagli: la modalità con cui l’anziano si presenta in ambulatorio, la velocità e la destrezza con cui si alza dalla sedia, quella della sua marcia. Osserviamo come si toglie e si mette le calze, lo stato delle unghie dei piedi: se non curate, può voler dire che non riesce a tagliarle in quanto in capace di piegarsi a sufficienza, o che non se ne cura in quanto è apatico o depresso, oppure che ha familiari che non si prendono cura di lui.

Sono le bandierine di segnalazione di un aspetto critico rilevante. Atul Gawande, nel suo libro Essere mortale, racconta la visita di un collega geriatra ad una paziente anziana oncologica: lo specialista si sofferma molto sui suoi piedi notando che sono molto malandati e che necessitano dell’intervento di un bravo podologo. Cosa che è poi avvenuta, e di conseguenza la signora ha ripreso a camminare bene.

Un accenno alle differenze di salute tra uomo e donna anziani. Se le aspettative di vita in Italia permangono maggiori nella donna rispetto all’uomo, non è così per le condizioni di salute, l’Aspettativa di Vita Sana (AVS). Lo scarto tra Italia e alcuni paesi euro pei è sensibile: anche se siamo tra i più vecchi abbiamo un’AVS inferiore ad altri paesi. Questo divario tra uomini e donne anziane in Italia è attualmente di circa due punti percentuali a favore degli uomini. In una proiezione per il 2047 tra gli over sessantacinquenni si prevede che una donna su quattro e un uomo su sei avranno disabilità fisiche in grado di limitare significativamente le attività quotidiane.

Mi soffermo brevemente sul concetto di genere.

Circa trent’anni fa nasceva un nuovo interesse sul tema della salute di genere. Nel 2002 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha decretato la necessità di cambiamenti nella pratica medica che tengano conto del genere. Essere uomo o donna, riguardo alla salute, fa quindi molta differenza. Ge nere contraddistingue quell’insieme di differenze genetiche, biologiche, socia li, e non solo sessuali, che connotano un uomo e una donna.

La diversità si può manifestare anche nella differente incidenza di alcune malattie, nell’epoca di comparsa, nei fattori di rischio, nei sintomi e negli approcci.

Vi sono malattie, dunque, che “prediligono” gli uomini e altre che “prediligono” le donne. Nelle donne, citando solamente alcune patologie, è più frequente l’emicrania, la nevralgia trigeminale e la cefalea muscolo tensiva, negli uomini la cefalea a grappolo; la malattia di Alzheimer prevale nelle donne, quella di Parkinson negli uomini; le donne, come sappiamo da tempo, tollerano l’alcol meno degli uomini, dove è maggiore l’azione di un enzima, l’alcol deidrogenasi, che metabolizza l’etanolo.

Anni fa sono stati pubblicati i risultati di un gran lavoro sulla connettività nel cervello effettuato dall’Istituto di Neuroscienze dell’Università della Pennsylvania. Per cui il cervello degli uomini avrebbe più connettività all’in terno di ciascun emisfero, e questo sarebbe utile all’organizzazione del lavoro, al fare, mentre le donne avrebbero maggiori connessioni immediate tra i due emisferi, quello più portato all’intuizione e al lato artistico con quello più razionale. Oggi queste risultanze sono sottoposte ad alcune critiche.

Non posso trascurare il tema variegato che riguarda i farmaci, rispetto a cui le donne hanno più problemi degli uomini. A distanza di quasi dieci anni dalla pubblicazione del mio libro Malati per forza, edito nel 2014, si comincia finalmente a parlare seriamente di deprescrizione farmacologica. Era ora! Aggiungo che questa strategia deve prevedere intanto una prescrizione iniziale appropriata e che attuare una deprescrizione in presenza di polifarmacoterapia (“tanti farmaci”) è come salire su un treno in corsa. Ci vuole coraggio!

La terapia dell’anziano non deve essere considerata una “terapia immutabile come un diamante, che è per sempre”. Occorre mettere in atto, come accennato prima, una revisione periodica dello stato di salute e della terapia della persona fragile, anziana o meno, e a una ragionevole deprescrizione, se possibile.

Nell’ambito del mio progetto “Ciabatte rosse”, ho parlato più volte di “Anziane e violenza: il femminicidio da farmaci”. Le donne anziane consumano più farmaci rispetto ai loro coetanei uomini e rispondono ad essi a volte in modo differente. Inoltre, sono più suscettibili agli eventi avversi che questi possono provocare.

Affrontando a questo punto il lato oscuro della ricerca farmacologica, c’è da aggiungere che questa si è prevalentemente avvalsa in passato di cavie animali e poi umane di genere maschile, quasi sempre di giovane età. Ciò è accaduto principalmente per i turbamenti che cambiamenti ormonali (ciclo mestruale) o gravidanze posso no apportare alla ricerca. I soggetti maschili, infatti, vengono considerati fisiologicamente più stabili, non avendo, appunto, la ciclicità ormonale né le gravidanze. Su quest’ultimo aspetto, inoltre, può esistere il pericolo di rivalsa legale nei confronti delle case farmaceutiche nel caso si sospetti che un farmaco abbia creato una malformazione nel nascituro. Anche per tali motivi nelle sperimentazioni di un farmaco vengono sempre esclusi bambini, donne gravide e, appunto, anziani/e, in quanto facilmente affetti da polipatologie e in politerapia.

Pensate, anche il Talidomide, pro dotto in Germania dalla ditta Grunen thal e approvato nel 1954, con eventi avversi quali la focomelia, è stato in uso dal 1959 e ritirato dal 1961-1962, dopo avere provocato ventimila casi nel mondo, di cui circa trecento in Italia. Solamente nel 2012 sono arrivate le scuse della ditta e il risarcimento per i sopravvissuti. Il farmaco non era mai stato sperimentato su cavie femmine e in gravidanza. Ribadisco una realtà di fatto: una donna anziana riceve una prescrizione di un farmaco testato quasi sempre su un maschio, e di vent’anni…

Uno studio di alcune decine di anni fa sui fattori di rischio vascolare (e non solo), come l’ipertensione arteriosa, l’ipercolesterolemia, il fumo e altri ancora, escluse le donne dalla Fase III della sperimentazione dell’aspirina sulle malattie cardiovascolari, fase alla quale furono ammessi, secondo il “New England Medical Journal” 22.071 uomini e nessuna donna.

Come è noto (o almeno dovrebbe esserlo) l’aspirina è un antiaggregante e pertanto può favorire emorragie ovunque nel corpo, nel cervello in particola re (il 20% circa degli ictus cerebrali è di tipo emorragico, il resto è ischemico). Si è poi visto che forse non è così efficace, come si credeva, nella prevenzione a livello cardiaco nelle donne.

L’aspirina comporta quasi sempre l’uso di gastroprotettori come il pantoprazolo, il lansoprazolo, l’omeprazolo e altri IPP (inibitori della pompa protonica), usati anche per ulcere e reflusso gastroesofageo. Alterando l’acidità gastrica, questi IPP, possono causare mancato assorbimento di magnesio, di ferro, e pure di calcio (con un aumento conseguente del rischio di perdita di massa ossea, ovvero osteoporosi), alterazione della flora batterica e con seguenti possibili infezioni secondarie anche gravi.

Una ulteriore parentesi sull’osteoporosi. Dopo i quarant’anni, può provocare la perdita di mezzo centimetro di altezza ogni dieci anni. Su questo fenomeno influiscono la genetica, la tipologia della muscolatura, soprattutto di quelle addominale e dorsale, il peso, lo stile di vita, la riduzione dei dischi intervertebrali, l’appiattimento delle arcate plantari, l’uso frequente di certi farmaci “contro”, come i cortisonici. La riduzione di statura può essere maggiore nelle donne rispetto agli uomini e, quando avviene con una certa velocità, è collegato statisticamente con un aspetto assolutamente negativo per la salute della persona anziana: le cadute. E comunque, devo aggiungerlo, l’osteoporosi non è una malattia caratteristica soltanto delle donne: circa il 20% degli uomini può soffrirne.

Mi soffermo anche sulla “malattia che rende vedove”, l’infarto del miocardio, malgrado anche le donne possano esserne, ovviamente, colpite.

Cosa ci insegna la storia. Nel 1768 il medico William Heberden, studiando l’angina pectoris, l’attacco ischemico transitorio cardiaco, avvalendosi di cento casi di cui solamente tre donne, arrivò a definire una serie di sintomi, tra i quali il noto dolore restrosternale che si irradia al braccio sinistro. Nel tempo si è visto che la donna può ave re spesso sintomi d’esordio differenti, come dolore alle spalle, al dorso, al col lo, alle mascelle, difficoltà di respiro, nausea, vomito, sudorazione fredda, spossatezza, sintomi influenzali. Questo dato deve essere preso in considerazione poiché i cosiddetti sintomi tipici, in poche parole, portano subito ai provvedimenti immediati, come l’applicazione di stent coronarici, mentre quelli atipici, se non riconosciuti tempestivamente, fanno perdere tempo prezioso. L’infarto del miocardio nelle donne dal 1990 al 2002 è aumentato del 14,2% legato presumibilmente ai cambiamenti di stile di vita, come il “multitasking”.

Desidero ricordare ancora che il tratto Q-T del tracciato elettrocardiografico della donna è più lungo rispetto a quello dell’uomo. Diversi farmaci, come di recente anche il Donepezil usato per la demenza di Alzheimer e di corpi di Lewy, possono allungare ulteriormente questo tratto, aumentando il rischio di danno cardiaco e di morte.

Accenno ad altri due aspetti degni di attenzione. Il primo riguarda, tra i tanti farmaci, la classe degli ipotensivi calcio-antagonisti: possono provocare edemi alle caviglie in misura maggiore nelle donne rispetto agli uomini. Gli ACE-inibitori provocano invece tosse, anche qui in misura maggiore nelle donne rispetto agli uomini.

Due parole sui fattori di rischio per le malattie cardiovascolari. Ipertensione arteriosa, cardiopatie, fumo, abitudini alimentari, sedentarietà, depressione, dislipidemie, diabete, obesità, apnee notturne e altro agirebbero con differente incidenza sulla salute degli uomini e delle donne.

Una utile riflessione conclusiva: le donne, avviandosi alla menopausa, subiscono la chiusura di quell’importante ombrello protettivo sulla salute presente negli anni precedenti. Quindi, almeno da quel momento in poi, se non prima, dovrebbero pensare sempre di più alla propria salute.

Vorrei spendere alcune parole sulla pubblicità televisiva di alcuni farmaci, in modo particolare sul Geffer, un medicinale attivo a livello delle prime vie digestive per contrastare vomito, nausea e altro ancora. Si tratta di un prodotto che agisce negativamente sui recettori cerebrali della dopamina, con la possibilità di provocare parkinsonismo, con o senza tremori, distonie acute, distonie e discinesie tardive, sindrome della Torre di Pisa e altri disturbi legati alla disturbata funzione extrapiramidale. E lo stesso principio attivo del più famoso Plasil: la metoclopramide. Paradossalmente, anche una o due bustine possono cagionare distonie acute nelle persone giovani, mentre nelle persone anziane l’uso del farmaco anche solamente oltre i cinque giorni consecutivi può creare sintomi di parkinsonismo e altro ancora.

Tuttavia, sono tanti i farmaci con possibili effetti avversi di questo tipo, in prevalenza (lo ripeto) sulle persone anziane. Per esempio gli antipsicotici tradizionali come Serenase e Haldol, con il principio attivo Aloperidolo, poi Entumin, Largactil, Talofen, Moditen e vari altri.

Una diversa categoria di farmaci coinvolge in prevalenza l’acetilcolina, con un’azione antagonista. Ne cito solo alcuni di uso comune, come Buscopan e simili, antidepressivi “vecchi” come Laroxyl adoperati spesso per sinto matologie dolorose, antidepressivi di un’altra classe, i serotoninergici (SSRI) come la Paroxetina (con diversi nomi commerciali, ovviamente, fatto che crea ulteriori difficoltà a memorizzar li tutti!), e altri ancora, vere e proprie “mine vaganti” che possono, tra i vari effetti avversi, alterare la memoria.

E sollevo pubblicamente una questione essenziale: pensate davvero che noi medici, e anche i farmacisti, conosciamo tutte le azioni avverse dei farmaci, anche se sui bugiardini l’invito a rivolgersi a queste due figure professionali, in caso di reazioni avverse, appare chiaro? Da sempre si enfatizza l’errore chirurgico, come la garza dimenticata all’interno del corpo. Esisto no purtroppo gli errori riguardanti la prescrizione dei farmaci, soprattutto agli over sessantacinque, i quali han no una probabilità due volte e mezzo superiore rispetto alla popolazione generale di subire reazioni avverse. Rispetto a quelli chirurgici, questi errori sono ampiamente sottovalutati.

Le conoscenze richiedono studio, esperienza, umiltà professionale, sacrificio. Insomma, lo avete compreso, il problema nodale è quello dell’appropriatezza delle prescrizioni di farmaci dopo una corretta diagnosi. Di fronte a queste manchevolezze ed errori nelle prescrizioni non basta indignarci, qualche volta occorre anche ribellarci: è una questione di responsabilità. Nel mio libro Malati per forza ho citato tante situazioni reali che non hanno mai ricevuto alcuna denuncia.

Abbiamo “rispetto”, parola che insieme ad altre (tra cui “sacrificio”, appena enunciato) sta scomparendo dal vocabolario, per le figure professionali con il camice bianco, ma nello stesso tempo, se riteniamo di avere qualcosa di giustificato, comprovato, da ridiscutere, provate a parlare con loro.

Ho scoperto la Carta di Firenze, che, nell’articolo 5, recita: “Il tempo dedicato all’informazione, alla comunicazione e alla relazione è tempo di cura”. Anche se i tempi attuali sono duri, se manca personale, se la Sanità Pubblica viene smantellata sempre di più a favore di quella privata, combattiamo la medicina della fretta e torniamo ad imparare umilmente dagli errori. Il grande clinico medico Augusto Murri, nei primi decenni del secolo scorso, con scarsi strumenti terapeutici, dice va: “Bisognerebbe creare una cattedra di Storia degli Errori in Medicina. È mio dovere farvi assistere come me dici agli errori e commentarli. Della terapia vi parlerà il mio aiuto: lui ci crede”.

Due punti critici finali. Qual è la figura che dovrebbe tenere le fila di tutti gli specialisti e dei loro interventi riguardanti una persona anziana con diversi e frammentati interventi sulla sua salute? È il medico di medicina generale. Ma è in grado di farlo in presenza di complessità? Infine, non va dimenticato, c’è la questione dell’aderenza alla terapia farmacologica (e non) da parte dei cittadini: risulta non molto elevata, soprattutto verso i noti fattori di rischio generale come ipertensione e diabete.

Salute: dobbiamo occuparcene tutti se vogliamo essere bravi medici, bravi cittadini, augurandoci che a governare ci siano bravi politici. Anzi, meglio: bravi statisti, ovvero non quelli che pensano alle elezioni di dopodomani ma a coloro che ci prospettano con serietà programmi sociali e di salute a lunga scadenza!