L'IMPRESA NON ESCLUDE LA FAMIGLIA

Qualifiche dell'autore: 
membro del CdA di Villa Giulia (Bologna)

Intervista di Pasquale Petrocelli

Può dare una breve testimonianza della sua attività d’imprenditrice?

Ho incominciato a lavorare nell’impresa di famiglia quando ancora studiavo all’università. Mi sono laureata in Economia e commercio e da vent’anni mi occupo della contabilità di strutture per anziani, compresa la nostra, e credo che le mie due attività – di commercialista e d’imprenditrice – s’integrino, anziché escludersi a vicenda. E non è un caso che io sia anche consigliere dell’ANASTE (Associazione Nazionale delle Strutture per la Terza Età), che faccia parte del Consiglio direttivo della Regione Emilia Romagna – dove, partecipando alle riunioni, seguo tutte le problematiche inerenti alle strutture –, e che sia presidente di una commissione di promozione e sviluppo della nostra categoria.

In che modo, a Villa Giulia, si combinano l’impresa e l’assistenza alla terza età?

Villa Giulia ha un organigramma all’interno del quale ciascuno ha le proprie funzioni e mansioni in settori che sono complementari tra loro, anche se ciascuno ha la propria indipendenza ed è responsabile della propria funzione. È ovvio che non siamo un’impresa no-profit, però facciamo il nostro lavoro con un’ottica morale e umana. È ciò che contraddistingue Villa Giulia rispetto ad altre strutture: l’anziano non è il prodotto finale del servizio a cui noi ci dedichiamo. 

In che modo oggi l’anziano non diventa soltanto l’oggetto di un nuovo business? 

C’è stato un periodo in cui le strutture per anziani venivano considerate un vero e proprio business: alberghi, palazzine e villette venivano trasformati in case di riposo, era un’attività con una forte redditività, un margine molto alto rispetto ad altre attività industriali, di commercio o di artigianato. Attualmente, con le nuove normative e le leggi degli ultimi dieci anni, queste speculazioni non sono più così sfrenate. Oggi, occorrono requisiti minimi molto costosi, per cui la redditività diminuisce. E allora rimangono sul mercato soltanto le strutture che credono in questo tipo di lavoro e di servizio.

Quanto le donne, secondo lei, possono dare un contributo a quest’altro modo dell’impresa dove il lucro, anziché assente, non è semplicemente una finalità? 

Nel nostro settore constatiamo che la donna ha una sensibilità diversa, è più in grado di aiutare chi ha bisogno, di capire ed erogare il servizio di cui una persona ha bisogno in un determinato momento. A Villa Giulia abbiamo tutte assistenti e un solo terapista. Non facciamo discriminazioni tra uomo e donna, ma constatiamo che la donna ha in sé questa vocazione di essere comunque sempre a disposizione del prossimo.

Ritiene che ci sia un’incompatibilità tra l’impresa e la famiglia?

Io sono convinta che sia meglio una mamma appagata che torna a casa ed è a disposizione dei figli, anziché una mamma depressa, che sta in casa tutto il giorno e guarda i cartoni con i figli. Non si tratta della quantità di tempo che si dà ai figli, ma della qualità. Dico quindi alle mie colleghe che hanno iniziato un’avventura imprenditoriale e hanno la tentazione di fermarsi nel momento in cui intervengono problemi nuovi con la famiglia e i figli da seguire, di avere coraggio, perché, con una buona organizzazione, si può fare ciascuna cosa, senza esclusione. Ho sempre vissuto in una famiglia in cui la donna lavorava al pari dell’uomo e in cui non c’è stata mai discriminazione: ci si aiutava l’un l’altro, c’era un senso di collaborazione.