I DISPOSITIVI DELLA RIUSCITA

Qualifiche dell'autore: 
cifrematico, presidente dell’Associazione Il secondo rinascimento di Ferrara

Quale direzione per il nostro viaggio, per il nostro itinerario? Qual è la via? E ancora, chi viaggia? Il viaggio di cui stiamo parlando è il viaggio intellettuale, è il viaggio della parola originaria. Non si tratta quindi del viaggio che gli umani vogliono o possono fare in giro per il mondo. Il viaggio della parola originaria è quello della parola che giunge a scriversi. Non nel senso della scrittura del giornale di bordo o del diario, ma scrittura dove le cose si dicono e si fanno, scrivendosi, giungono alla qualità, quella che la cifrematica chiama appunto la cifra. Il viaggio della cifrematica è intellettuale, mai voyeristico, non è alla ricerca di novità, di ciò che c’è da vedere, non è visibile e non è la visibilità che ci dà la direzione. Noi possiamo cogliere la direzione solo ascoltando ciò che tra le pieghe della parola si dice e si ode, nella sua particolarità, senza rappresentarsi.

Ma chi viaggia? Non certo chi si crede di essere, chi si conosce, chi s’immagina, si rappresenta, si raffigura o chi sta a vedere, a prevedere o a prevenire il viaggio, pensandolo contabile, decidibile, significabile. C’è chi crede di poter viaggiare con i propri principi, la propria lingua, le proprie idee, i propri valori naturali: comporterebbe viaggiare in tondo e a vuoto, perché costui si fa soggetto, sub-jectum, gettato sotto alla parola e tentando di padroneggiarla ne stabilisce il fondamento e la significazione.

Il soggetto è la morte della parola. È una figura gnostica che insegue, anziché la particolarità della parola, la particolarità soggettiva, con le sue rappresentazioni di bene e di male, di positivo e di negativo. Per cui, ecco il soggetto debole, incapace, plagiabile, o il soggetto forte, libero, padrone in casa propria.

Chi si pone come soggetto non viaggia. Può agitarsi, dimenarsi, correre, indaffararsi, ma non è turista; il turista è lo statuto intellettuale del viaggio e il viaggio della cifrematica esige essenzialmente il cervello, cervello intellettuale. Viaggiare senza cervello vale a non trovare mai la direzione.

Ma chi è disposto a viaggiare? Chi procede senza genealogia, chi non si situa nell’appartenenza a un’origine, a una classe, a una cappella, chi non pensa di conoscersi, chi non vive di ricorsi del vissuto, chi non ha riserve mentali e non dice: “Prima di fare, voglio ben valutare i pro e i contro, gli aspetti positivi e gli aspetti negativi. Li metto sulla bilancia del viaggio, ho davanti due vie e poi vedo quale intraprendere”, restando fermo nell’alternativa tra due, che esclude il terzo.

Il turismo intellettuale esige che il terzo, ovvero l’Altro irrappresentabile, sia dato: tertium datur. Senza l’Altro, senza l’adiacenza dell’atto di parola, il tempo finirebbe e il nostro viaggio giungerebbe alla fine, al limite rappresentato dalla morte della parola, dalla morte del dire, del fare, dello scrivere e, anziché giungere alla cifra, alla qualità, al valore assoluto, noi approderemmo alla morte come fine del tempo.

Non c’è alternativa al fare, alla navigazione, alla direzione del viaggio, alla riuscita. L’Altro tempo è il tempo del fare, e il fare non è né negativo né positivo, né giusto né ingiusto, né vero né falso. Facendo, troviamo sempre l’altro tempo, l’infinito nell’atto (di parola), non l’infinito potenziale di Aristotele.

Prendere tempo, perdere tempo, economizzare il tempo, aspettare il tempo giusto, affrettarsi per non perdere tempo sono tutti modi della gestione del tempo creduto cronologico e pensato finire, così la paura della fine del tempo porta ognuno a mediare, a delegare, a fare compromessi con gli altri e con se stesso. Ma quale business intellettuale potremmo mai fare, se il fantasma di morte, la paura, c’impedisce di svolgere il nodo della vita?

Il fare esige i dispositivi della riuscita. Dispositivo traduce il greco rythmos e il latino dispositio: facendo, interviene il tempo con la sua violenza e la sua rapina, ed è il ritmo, per il dispositivo che esige, a trarre il fare e scriversi. Tolto il ritmo, che procede secondo l’aritmetica delle cose, resta l’armonia sociale. Soltanto sulla base del ritmo avviene la scrittura. Ma il dispositivo non è dato, stabilito, costruito, imposto. I dispositivi s’instaurano, e non una volta per tutte. E evidenziano che il fare non è pensabile e non è soggettivo, per cui, lungo l’itinerario, i dispositivi che s’inventano, che s’instaurano, nascono dall’occorrenza e sono tanti, mai definiti una volta per tutte, sono dispositivi artificiali, intellettuali. Ciascuno può riuscire nei propri progetti, nei propri programmi soltanto se instaura dispositivi, ovvero se si trova nel ritmo. I dispositivi, nel nostro viaggio, sono essenziali, quindi, per concludere al piacere, piacere non erotico, ma il piacere che sottolinea come le cose si concludono. È un’istanza di conclusione il piacere, non di fine delle cose.

Le cose si concludono, non finiscono e il piacere è l’approdo alla cifra, alla qualità delle cose che diciamo, facciamo, scriviamo. Il piacere non è “questo mi piace, questo non mi piace”, non c’è modo di sceglierlo, di padroneggiarlo, perché giunge lungo l’occorrenza, lungo le cose che si fanno per occorrenza, secondo la contingenza, dove non c’è il possibile o il probabile, ma il contingente. La cifrematica propone a ciascuno dispositivi pragmatici, commerciali, finanziari, di vendita, di comunicazione, dispositivi di forza e di battaglia, dispositivi di direzione e tanti altri, tanti quanti l’occorrenza decide.