UN'INTERPRETAZIONE DELLA TRADIZIONE

Qualifiche dell'autore: 
poeta, scrittore, drammaturgo

Due pastori avanzano nel campo, hanno litigato, si fermano, non si guardano. Il volto del primo guarda verso l’orizzonte esterno, lo sguardo dell’altro, analogamente, è rivolto a un altro orizzonte esterno. È un momento molto importante, perché gli occhi dei due, che non si guardano, colgono le espressioni, la forma facciale, un po’ pietrificata come spesso nell’iconografia ci viene rappresentata la faccia dei sardi.

Ho iniziato con questo episodio perché proprio la questione dello sguardo attraversa buona parte del libro di Bachisio Bandinu, La maschera, la donna, lo specchio (Spirali). Questa fenomenologia esistenziale della percezione attraversa tutto il libro. Lo sguardo è importante, può aiutare, può togliere la vita, può in qualche modo penetrare, può vedere, oppure può essere semplicemente superficiale. Lo sguardo riguarda anche il rapporto con l’acqua: Narciso si specchia nell’acqua. E qui c’è anche una differenza interessante fra la cultura contemporanea e quella antica: Narciso che si specchia nell’acqua poi rischia di annegare, l’uomo moderno che si specchia non corre lo stesso rischio, perché il tessuto con cui ha a che fare è superficiale. Si è persa la sostanza e, se si è persa la sostanza, probabilmente, si può dire anche che si è persa la tradizione.

Io non sono tradizionalista, lo divento però dopo la lettura di questo libro, in quanto c’è una sorta d’interpretazione dinamica della tradizione, in questo caso, della Sardegna. Sardegna che c’è e non c’è. La Sardegna appare, ma a volte è completamente slegata dal contesto verso altri contesti, come se l’autore si chiedesse che cos’è l’immagine, da dove viene l’immagine, qual è il rapporto dell’immagine col mondo contemporaneo. Partendo da un mondo della tradizione, l’autore estende la sua riflessione a problemi contemporanei. Questo luogo della tradizione appare importante perché costituisce un substrato del nostro pensiero e del nostro vivere. E così, anche i romanzi della Deledda, di Dessy, o di Salvatore Satta acquistano in questo contesto importanza e spessore, come se gli scrittori fossero i continuatori della tradizione all’interno di una tradizione. Ed ecco che allora tante cose, che in genere annoiano o vengono sottovalutate, acquistano peso, in questa lingua, che costituisce un tessuto da interpretare. Da un punto di vista filologico, scavando all’interno delle parole, l’autore giunge fino al momento in cui una parola ha cominciato a significare qualcosa. Lega dunque la parola anche a ciò che accade. Per cui nomina sunt consequentia rerum, cioè il nome delle cose finisce per diventare proprio le persone che interpretano e che hanno una identificazione molto forte con quanto accade e che la tradizione racconta.

Ma, nella ripartizione del libro c’è un elemento molto importante – i sequestri di persona –, in cui finalmente ho trovato una descrizione di come sta il rapito, di come pensa il rapito e di come il rapito a un certo punto elabori una sindrome di Stoccolma nei riguardi dei rapitori: se un rapitore è cattivo e uno più buono, il rapitore più buono finisce per inserirsi nella psicologia del rapito il quale considera il luogo, che in genere è una grotta, come la sua vera casa. E quando ritorna a casa non riesce più a orientarsi, perché non riesce più a ritrovare quelle situazioni.

Anni fa mi fu commissionato un testo teatrale sul caso Lombardini, un caso drammatico di un magistrato. Mi misi in contatto con una giornalista sarda che mi diede tutta la documentazione, e costruii il testo su Lombardini secondo fonti giornalistiche. Rapimento, sequestro moderno? Nel libro di Bandinu il sequestro di persona è il rapimento antico immesso in un mondo moderno. La faida rivela un complicato assetto familiare – e qui abbiamo un capitolo a sé sulla faida, sulla vendetta e sulla maschera della vendetta –, personale, articolato dalla libido narcisistica e dalla libido aggressiva, dalla paura di castrazione e dal fantasma di castrazione.

Un altro capitolo affascinante è quello sulla donna, capitolo di grande fascino ma anche di una grande irritazione, perché mostra in effetti ciò che c’è un po’ sotto la pelle, sotto la scorza: “La malignità della donna sta nel corpo, non nell’animo come è per l’uomo. L’animo della donna è l’istintualità inscritta nel corpo stesso”. C’è un surplus e “questo surplus” è sempre insufficiente: questa insufficienza la rende ingovernabile. Nella donna è sempre in atto una ipertrofia dei sensi: sente rumori non verificabili, capta odori particolari, avverte sapori non decifrabili, ha le voglie, le doglie e le visioni, col tatto recepisce particolari messaggio, ha timori inspiegabili, rivela ciò che è assente e anticipa ciò che sta per accadere”. Finito di leggere questo brano, mi veniva da dare un ceffone a mia moglie, cui, tuttavia, ho detto: “Guarda cosa dice questo signore sulle donne!”. Lei, senza batter ciglio, ha risposto: “Sì, è vero”. Potremmo dire che in questo libro si tratta proprio di una fantasmatica che la tradizione ha conservato, ed è questa fantasmatica che concerne ciascuno di noi. Sergio Dalla Val ha affermato che molte cose che Bandinu dice sulla donna, appartenenti alla fantasmatica della tradizione, non sono poi così differenti dall’attuale fantasmatica intorno a esse, come emerge dalla clinica psicanalitica.